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domenica 17 aprile 2022

Mi manca la fede

"Mi manca la fede e non potrò mai, quindi, essere un uomo felice, perché un uomo felice non può avere il timore che la propria vita sia solo un vagare insensato verso morte certa".

(Stig Dagerman) 

lunedì 19 aprile 2021

Che rida come un bimbo

Da un articolo dell'Osservatore Romano sulla poesia, che toglie i "falsi pesi" alla realtà (come dovrebbe fare anche la fede), recupero questa splendida poesia di Giuseppe Ungaretti, da Il Sentimento del Tempo, datata 1934. 


Senza più peso


Per un Iddio che rida come un bimbo,

Tanti gridi di passeri,

Tante danze nei rami,


Un'anima si fa senza più peso,

I prati hanno una tale tenerezza,

Tale pudore negli occhi rivive,


Le mani come foglie

S'incantano nell'aria...


Chi teme più, chi giudica?


(1934)


La memoria richiama i versi quasi coevi di T. S. Eliot, nei Quattro Quartetti


Si leva il riso nascosto

Dei fanciulli tra il fogliame, 

Presto ora, qui, ora, sempre


Sul loro valore in chiave mistico-letteraria, ancora l'Osservatore Romano.




domenica 14 febbraio 2021

Il grande trasgressore

Dio è un "grande trasgressore".

Papa Francesco, preghiera dell'Angelus, domenica 14 febbraio, commentato di Vangelo del giorno (MC 1, 40-45): Gesù bacia e guarisce il lebbroso.

"Mentre la Legge proibiva di toccare i lebbrosi, Gesù si commuove, stende la mano e tocca il lebbroso per guarirlo. Qualcuno direbbe: ha peccato, ha fatto quello che la legge vieta, è un trasgressore. È vero, è un trasgressore. Non si limita alle parole, ma lo tocca. E toccare con amore significa stabilire una relazione, entrare in comunione, coinvolgersi nella vita dell’altro fino a condividerne anche le ferite. Con questo gesto, Gesù mostra che Dio non è indifferente, non si tiene a “distanza di sicurezza”; anzi, si avvicina con compassione e tocca la nostra vita per risanarla con tenerezza. È lo stile di Dio: vicinanza, compassione e tenerezza. La trasgressione di Dio; è un grande trasgressore in questo senso".

domenica 3 gennaio 2021

Il Dio in agguato

Grande lettura questa Vita di Gesù di Francois Mauriac, che a più di 80 anni dalla sua prima uscita in francese (nel 1936) e a più di 70 dalla sua prima edizione italiana (1950), mantiene intatto il suo fascino, gettandoci nella concretezza scandalosa del mistero di questo legnaiuolo ebreo che si rivela Figlio dell'uomo e Dio in agguato. 

Una biografia letteraria, che racconta la vita del Cristo con gli occhi dello scrittore e del poeta, che sa vedere oltre ciò che si vede, sa immaginare il movimento dei cuori e il turbamento delle menti, sa riconoscere ciò che è vero, ciò che è vivo, ciò che dà vita

Il testo ripercorre in modo piuttosto ordinato e fedele la vita di Gesù per come la raccontano i vangeli canonici. L'autore interroga i silenzi, scandaglia il mistero, fa riverberare i gesti e le parole, rimarca i continui fraintendimenti e tradimenti, interpreta le attese e i desideri dei protagonisti, tra cui il lettore stesso di queste pagine. 

Tra i tantissimi spunti, ne scelgo solo alcuni, partendo dall'attesa di Maria durante i primi lunghi 30 anni di Gesù, il suo nascondimento nella carne, la sua vita occulta prima della predicazione. 

Dopo vent'anni, dopo trent'anni, [la madre del legnaiuolo] si crede ancora benedetta fra tutte le donne? Nulla accade: e che potrebbe accadere a quest'operaio stremato, a quest'ebreo non più giovanissimo, che è appena capace di piallar delle assi, medita la Scrittura, obbedire e pregare?

Di tutti quelli che avevano assistito alla divina manifestazione fin dal principio, in quella notte, esisteva ancora un solo testimonio? Dov'erano i pastori? E quei sapienti, conoscitori degli astri, venuti d'al di là del Mar Morto per adorare il Bambino? L'intera storia del mondo era parsa piegarsi ai disegni dell'Eterno [...]

La madre invecchiata di quest'operaio carpentiere cercava nel cupo dell'ombra gli angeli che nei giorni dopo l'Annunciazione non avevano mancato di nutrir la sua vita. Erano loro che nella santa notte avevano insegnato ai pastori il cammino della grotta [...] Ed era pure un angelo che aveva, in sogno, comandato a Giuseppe di prendere il Fanciullo e sua madre e fuggire in Egitto la collera di Erode... Ma dopo il ritorno a Nazaret il cielo s'era di nuovo chiuso, e gli angeli erano spariti.

Eccoci finalmente all'inizio della vita pubblica di Gesù, che Mauriac presenta come l'inizio della contesa con il Nemico per la conquista dell'umanità. 

Quando pensa ai suoi nemici, Gesù non immagina i farisei, i sommi sacerdoti, i soldati che lo percuoteranno sul volto... [...] Egli conosce il suo avversario. Il suo avversario ha parecchi nomi in tutte le lingue. Gesù è la luce venuta in un mondo che è preda alla potenza delle tenebre. Il demonio è il padrone apparente dell'universo in questa quindicesima annata del governo di Tiberio [..] Si serve degli dèi per corrompere gli uomini, si sostituisce agli dèi, divinizza il delitto, è il re del mondo. Gesù lo conosce, ma lui ancora non conosce Gesù: non lo avrebbe indotto in tentazione se conosciuto l'avesse. [...]

A questo punto della sua vita il Figlio dell'uomo è il gladiatore nascosto in oscurità, ma prossimo a lanciarsi nel circo abbacinante, il reziario che la fiera aspetta e paventa: "Io vedevo, doveva gridare il Cristo in un giorno d'esultanza, io vedevo Satana cader dal cielo come la folgore". È forse durante queste ultime ore di vita occulta ch'egli ebbe la visione di quella caduta [...]

Prese un mantello, allacciò i suoi sandali, e disse a sua madre una parola d'addio che non sarà mai conosciuta.

Mauriac ci parla del carattere implacabile di Gesù e dell'illanguidimento della sua figura operato nei secoli. 

No, non è per niente che questo Cristo tanto amato è stato così violentemente odiato. Quale ingenuità scandalizzarsi perché molti di quelli che hanno visto il Cristo nella carne, non han potuto adorarlo! Molti attenuano la forza delle sue più aspre parole qualifocandole iperboliche; tutti gli orientali hanno un linguaggio eccessivo. E nondimeno: "Questa parola è dura" borbottavano i Giudei "e chi potrebbe ascoltarla?". Essa irritava dunque anche dei semiti abituati all'iperbole. E suona ancora sempre talmente cruda, talmente odiosa. L'amore assoluto respinge i mediocri, urta la falsa aristocrazia, disgusta i delicati. E senza dubbio i suoi nemici lo odierebbero assai più che non facciano (ed anche i suoi pretesti amici!) se non sostituissero l'insipido e melato Rabbi di tipo corrente, all'uomo che ha realmente vissuto, e che ha manifestato un carattere "intero" nel senso metafisico: letteralmente implacabile. È la loro ignoranza, oggigiorno, che distoglie molti dal detestare il Cristo. Se lo conoscessero, non lo sopporterebbero

I discorsi di Gesù, tra tutti il sermone della montagna, appaiono folli, perché tutto vi si oppone ma nulla si contraddice (del resto è il paradosso l'unica condizione accettabile della verità). 

Troppa poca cosa è la carità: è la follia della carità, ch'egli vuole: tendere l'altra gota, abbandonare il mantello al ladro che ha già preso la tunica, amare quelli che ci odiano... È pazzo? Difatti, è, rispetto agli uomini, uno stato di demenza, che pretende e otterrà dai suoi diletti

Eppure del Cristo è impossibile liberarsi, se si porta la carità nel cuore

Non è in potere di alcuno, tra coloro che portano la carità nel cuore, di non servire il Cristo. Taluno che crede odiarlo gli ha consacrato la vita; poiché Gesù è travestito e mascherato in mezzo agli uomini, nascosto nei poveri, negli infermi, nei prigionieri, nei forestieri. Molti che lo servono ufficialmente, non seppero mai chi egli è; ma molti che non lo conoscono neppur di nome, udranno l'ultimo giorno le parole che spalancheranno loro le porte della gioia: "Ero io, quei figliuoli, ero io, quegli operai; io piangevo su quel letto d'ospedale; ero quell'assassino nella sua cella, quando tu lo consolavi". 

Eccoci giunti alla Passione del Cristo, che non poteva essere meno atroce, spiega Mauriac, non poteva fermarsi ai dolori normali della condizione umana. 

Non ci può essere al mondo un prigioniero, un martire, un condannato innocente o colpevole, che non ritrovi in Gesù vituperato e crocifisso la sua propria immagine e somiglianza [...]. Dopo che egli (il Cristo) ebbe sofferto e fu morto, gli uomini non sono stati meno crudeli, né ci è stato meno sangue versato, ma le vittime sono state ricreate una seconda volta a immagine e somiglianza di Dio; anche senza saperlo, anche senza volerlo. 

Infine la Resurrezione di Gesù, che dura tuttora.

La presenza di Gesù resuscitato dura tuttora: verrebbe voglia di dire che l'Ascensione non l'ha interrotta: parecchi mesi dopo che i discepoli l'ebbero visto sparire, egli abbagliava della sua luce, sulla via di Damasco, il suo nemico Saul e gli parlava [...] D'ora innanzi, nel destino di ciascun uomo, vi sarà questo Dio in agguato.

Un guscio vuoto

Francois Mauriac sul Cristo, da un articolo di Gianfranco Ravasi.

«Se Gesù non fosse il Cristo, io non sentirei nelle cattedrali che un vuoto immenso. Il cattolicesimo senza il Cristo sarebbe un guscio vuoto, curiosamente lavorato. La Croce senza il Verbo non sarebbe nulla più che una forca».

E ancora:

«Con Cristo o contro Cristo: bisogna scegliere. Rifiutare di prendervi parte, vuol dire aver già scelto: “Chi non è con me, è contro di me”, disse Cristo. Felici coloro ai quali sarà concesso di comprendere che all’infuori di Lui non c’è nulla». 

Infine, nella prima prefazione a Vita di Gesù (1936):

«Devo confessarlo? Non avessi conosciuto Cristo, “Dio” sarebbe stato per me un vocabolo vuoto di senso... È bisognato che Dio s’immergesse nell’umanità e che a un preciso momento della storia, sopra un determinato punto del globo, un essere umano, fatto di carne e di sangue, pronunciasse certe parole, compisse certi atti, perché io mi getti in ginocchio».


venerdì 25 dicembre 2020

Lo Splendore della Presenza

Il Cristianesimo risiede essenzialmente nel Cristo. È meno nella sua dottrina che nella sua Presenza. Perciò i testi non possono distaccarsi da Lui senza perdere immediatamente il loro senso e la loro vita. Tutta la perspicacia dei critici, tutta la loro pazienza, tutta la loro probità hanno potuto rendere ed hanno effettivamente reso servigi eminenti nello studio materiale dei libri nei quali la Chiesa primitiva ha compendiato la sua credenza: non hanno però potuto, senza la Fede, iniziarli alla vita interiore dei testi, farne loro comprendere la continuità, il movimento e il mistero, nello Splendore della Presenza che è la loro anima.

Maurice Zundel, Le poème de la Sainte Liturgie, in esergo alla Vita di Gesù di Francois Mauriac, Mondadori, 1950.

mercoledì 25 novembre 2020

Rompere la diga

Ultimo dei tre Diari di Julien Green, gli anni dal 1940 al 1943. La guerra è iniziata. La Francia è occupata dai tedeschi. L'autore vive esule negli Stati Uniti. Il ricordo di Parigi e le sorti del suo Paese saranno al centro di ogni suo pensiero. 

Nostalgia, preoccupazione, angoscia e disperazione i sentimenti dominanti. Ma insieme, con ancora più insistenza rispetto ai precedenti Diari, la certezza della volontà di Dio che misteriosamente si compie. 

Un libro di grande intensità, con molte pagine e appunti memorabili, che rivelano veri tesori poetici e spirituali, da custodire e meditare. 

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Non a tutti è concesso di spogliarsi come è accaduto a me e talvolta è un grande, un tremendo favore quello di vedersi strappati a ciò che si possiede

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Ieri la felicità è entrata all'improvviso, come un tempo, ed è rimasta un istante nel gran salotto silenzioso e buio. Stavamo in piedi dinanzi a una finestra e guardavamo la pioggia che tesseva il suo velo nel cielo offuscato, e ho sentito che, nonostante quello che ci gridano i giornali, ho sentito che la felicità era vicina, umile come una mendicante e magnifica come una regina. Essa è sempre lì (ma noi non ne sappiamo niente) che bussa alla porta, perché le si apra, ed essa possa entrare, e mangiare con noi.

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L'ordine vero è fondato sulla preghiera, tutto il resto non è che disordine (più o meno ben mascherato) [...] Tutto ciò che viene edificato su qualcos'altro è destinato a crollare presto o tardi nel fango insanguinato. 

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La Bibbia contiene per ognuno di noi un messaggio cifrato. È la fede che ci dà la cifra. 

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Non c'è verità né assoluto che nell'invisibile.

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Tutto è perduto, ma tutto è guadagnato. All'estremo punto della disperazione ricomincia la speranza che conduce sino alle stelle. 

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Non c'è più pace se non nella preghiera. I pochi minuti che noi concediamo a Dio sono come una fortezza in cui ci rifugiamo e ove possiamo star certi che il secolo non ci raggiungerà. 

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Dipendiamo talmente gli uni dagli altri che nulla è proprietà di ciascuno di noi, ma, come ogni gioia ci è comune, così ogni dolore

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Noi siamo fatti di tutto ciò che vediamo e ascoltiamo, di tutto ciò che leggiamo e crediamo. Il nostro corpo, di tutto ciò che mangia. Così l'anima che, a suo modo, mangia anch'essa. 

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Soltanto dopo morti sapremo ciò che voleva significare la nostra vita

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Quanti leggono e scrivono non per conoscere la verità, ma per accresce il loro piccolo io! 

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La parola umana [...] spesso è così inferiore a quanto si propone di esprimere che ci si domanda che non sia questa una delle conseguenze dalla Caduta [...] La vera parola, la parola delle parole, si scopre soltanto nel cuore del silenzio

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Hitler può distruggere le città e scacciarci da casa nostra, ma non può uccidere la gioa soprannaturale che viene dall'alto. 

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Niente invecchia più un uomo di un pregiudizio. 

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Una biblioteca è il punto di confluenza di tutti i sogni dell'umanità. 

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Certo cattivo gusto è infinitamente da preferire all'insipido e timorato buongusto che regna nella maggio parte delle case borghesi. 

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Si muore con la testa piena di bei testi e il cuore assolutamante vuoto. 

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Il segreto di una grande opera non consiste in altro che nella forza irresistibile della verità. 

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Ogni vita umana è una meraviglia di complicazione, i cui particolari sono appena avvertiti soltanto da colui che tiene un diario, e il cui segreto non è mai conosciuto da altri che da Dio. 

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È più facile organizzare eserciti e vincere la Francia che dipingere una tela di Renoir. 

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Sfogliando dei libri sulla preghiera mi sono detto che il miglior libro sulla preghiera si legge in ginocchio, a mani giunte e a occhi chiusi. 

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Ogni vera gioia come ogni vera tristezza ci viene dal didentro. Il mondo esteriore con le sue illusioni deliziose e terrificanti non può che gettarci nell'agitazione e impedire che ci si ritrovi. Bisogna cercare la strada che conduce verso la parte più intima di noi stessi se vogliamo gustare la pace che supera ogni intendimento. 

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Soltanto la Bibbia è eternamente giovane, come un torrente di montagna che rotola da migliaia di anni. 

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C'è un giorno dell'anno che sarà per ognuno di noi, che, da sempre, è già la porta buia attraverso la quale si andrà a Dio per sempre. Com'è che si passa tante volte davanti a questa porta senza nessun presentinento? 

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Ci si meraviglia a vedere quanto siano scarsi gli uomini che hanno il senso della poesia, non voglio dire il senso della poesia verbale, che del resto è infinitamente raro, voglio dire il senso della poesia senz'altro, la poesia della vita. Un signore che tiene sempre l'orecchio attaccato al ricevitore del telefono non sa che farsene della poesia [...], non ne ha il tempo. Ma un uomo che va in chiesa e che prega introduce nella propria vita il soprannaturale. Proprio per questa ragione io vedo nella Chiesa il rifugio dei poeti

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Il maggiore esploratore su questa terra non fa viaggi più lunghi di colui che scende in fondo al proprio cuore e si china sugli abissi dove il volto di Dio si specchia tra le stelle. 

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Introdurre il soprannaturale nella propria vita, rompere la diga che ci protegge dal l'Oceano, da Dio, significa voltarsi a una tragedia senza nome. In realtà tutta l'educazione moderna tende ad amarci contro lo spirituale. Per aver pace, per stabilire un equilibrio durevole (ma quale pace e quale equilibrio?) ci insegnano a sventare tutti gli stratagemmi di quel perpetuo assediatore che è Dio. Noi gli opponiamo un invincibile tepore, ma, per poco che si ceda su un punto, il cielo intero coi suoi golfi e i suoi milioni di astri si scaglia dentro di noi. Combattuto tra l'incanto e il terrore, il mistico si sente condotto per mano, poi bruscamente abbandonato nel cuore della notte. La sua vita quotidiana prende un senso nuovo e profondamente misterioso per il solo fatto che il caso ne viene eliminato. Tutto quello che accade è voluto, [..] niente è fortuito, Dio è dappertutto. Ma che sappiamo noi di Dio, di ciò che vuole, di ciò che pensa? Le civiltà scompaiono l'una dopo l'altra ed egli sta in silenzio. Forse egli è più incomprensibile all'uomo di quanto l'uomo non sia incomprensibile alla formica o all'ape [...]. Tuttavia Dio vuole entrare in comunicazione con noi in quella dimora segreta che è la sottile cima dell'anima e vuole che noi l'amiamo. Queste verità sono talmente rifritte nel nostro mondo pseudo-cristiano che si esita a enunciarle ancora una volta [...]. Si dice: Dio ci ama. E v'è in ciò di che diventar pazzi

***

Dio non parla ai chiacchieroni

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A coloro che leggono troppo, si potrebbe dire che Dio non li interrogherà su quello che avranno letto e che essi confondono il Giudizio Universale con la laurea.

(Il primo e il secondo Diario di Julien Green) 

venerdì 6 novembre 2020

Latitudo Cordis

Su L'Osservatore Romano uno splendido commento di p. Timothy Radcliffe all'enciclica Fratelli Tutti, centrato sul tema del rinnovamento immaginativo

Abbiamo bisogno di una nuova immaginazione, di un salto immaginativo per comprendere il pensiero di Dio sull'uomo, la Sua immaginazione. 

L'immaginazione cristiana non è fantasia, immaginario, ma visione, visione trasfigurata dell'uomo e del suo stare nel mondo, potenza trasformatrice dello Spirito Santo, immaginazione pasquale

L'immaginazione, anzi l'avventura dell'immaginazione, è il pensiero stesso di Cristo (1 Corinzi 2,16), che agisce e produce una "latitudo cordis" (S. Tommaso) l'allargamento del cuore. L'immaginazione di Dio è un'immaginazione fraterna. 

Sogna. 

Prega. 

Ama.

sabato 17 ottobre 2020

La morte non esiste


Secondo volume del Diario di Julien Green, dal 1935 al 1939 (Arnoldo Mondadori Editore, 1946), traduzione di Libero de Libero.

Non so più molto bene come potrà durare la pace [...] Tutto quello che amiamo è in pericolo. 

Siamo negli anni precedenti la seconda guerra mondiale. Non mancano i segnali che sembrano annunciare l'imminente catastrofe.

Lo scrittore passa giornate felici e memorabili in Italia, a Roma: È ridicolo non essere completamente felici qui, scrive. Tanta bellezza mi stordisce

Green viaggia molto e annota nel Diario da una parte le sue esperienze culturali e intellettuali (film, teatri, musei, libri), dall'altra le sue riflessioni e impressioni più intime, che nascono dalle occasioni più semplici e quotidiane, intorno a un tavolo in sala da pranzo. 

28 ottobre. Stavamo seduti tutt'e cinque intorno a un tavolo in sala da pranzo. Un fuoco di ciocchi bruciava nel caminetto e faceva così buio che avevamo dovuto accendere le lampade, benché fossero appena le due del pomeriggio. Eravamo in cinque e ridevamo e io ho sentito d'un tratto che eravamo molto più numerosi, che la nostra allegria aveva attratto tutti coloro che mancano: mio padre, mia madre e le due sorelle che ho perduto; si sono seduti accanto a noi e ci hanno fatto compagnia sino alla fine del pasto, ridendo insieme con tutti noi. Ho avuto un momento di grande felicità, un senso di sicurezza profonda, ma non ho osato farne parola. 

Il sentimento di sicurezza profonda, che supera l'angoscia, sembra provenire all'autore da un altro mondo. 

30 dicembre. Da qualche anno in qua mi sono staccato da una quantità di cose. Mi sento talvolta come un uomo in barca. La barca s'allontana dalla riva. Vedo ancora la terra e i suoi fiori, le case, tutto quanto essa ha di bello e di buono da offrirmi, ma di tanto in tanto una possente remata m'allontana un po' da tutto ciò. Provo allora una leggera angoscia seguita da un sentimento di sicurezza profonda. L'altro giorno, ascoltando musica, ho provato l'impressione deliziosa della vicinanza d'un altro mondo. Dietro il velo impalpabile esso è lì, il mondo della verità, quel regno di Dio che m'imbarazzava talmente quand'ero ragazzo. 

Green inizia a studiare l'ebraico e prende a leggere la Bibbia, che lui considera un testo poetico, nella lingua originale. La sua fede, non confessionale (tristezza di sentirsi lontani da tutte le Chiese), si misura e si rivela nelle sue riflessioni sulla morte, oniriche e visionarie. 

Dieci giorni fa ho sognato di correre su una strada sommersa. Mi vedevo da lontano; avevo l'aria di correre nell'acqua. La luna brillava, rischiarando un meraviglioso paesaggio d'inverno, e il cuore mi batteva di gioia. Provavo quel senso di libertà che deve darci la morte, quando ci siamo sciolti dal corpo fisico. 

[...] 

C'è in me un gran desiderio di conoscere la verità, ma è un'avventura che richiede molto coraggio. Se mai io giunga a conoscere questa verità, la farò condividere da tutti coloro che amo. Verrà il giorno in cui saremo pronti. Sapremo finalmente tutti che la morte non esiste, che la morte è un incubo inventato dall'ignoranza, e noi staremo insieme per sempre. 

[...] 

Ho finito col credere che la morte non esiste, che non c'è se non un lungo svolgimento della vita attraverso i secoli, che l'annientamento del corpo è una liberazione, che il nascituro immagina di morire perché si stacca dal ventre materno e che la stessa confusione si verifica nella nostra mente nel momento in cui rendiamo l'ultimo respiro. 

Anche la musica, l'arte, la bellezza sono la strada privilegiata per entrare in contatto con quella parte segreta di noi stessi che il mondo ci nasconde, forse con Dio

8 novembre. Se si sapesse soltanto che il cielo intero sta tutto nel nostro petto e che l'Eterno riposa in noi, che la voce dell'universo ci parla in ogni momento, nel mormorio della pioggia, nel canto d'un uccello, in qualche segno tracciato da un artista su un quadratino di carta, in un preludio di Bach... Solo i sordi e i ciechi traversano la vita senza essere oppressi dalla sua bellezza che senza posa scaturisce. 

Ma forse è la gioia, imprevista e immotivata, la principale finestra attraverso cui Green si affaccia sul mistero. Occorre trovarsi là, al momento buono, dove passano le vaste correnti di gioia che attraversano l'universo. 

La notte scorsa sono andato a spasso per la strada. Guardando il cielo stellato, ho provato una gioia profonda tanto che le parole di cui potrei servirmi la tradurrebbero male. Mi sono fermato in preda a una felicità misteriosa della quale non è possibile parlare. M'è sembrato che, dolcemente, la finestra s'aprisse un po'. Deve essere così quando si sta per morire, quando il corpo non soffre più e l'anima sta sulla soglia della morte. 

Green riconosce la stessa indescrivibile felicità sul volto dei mistici che legge e che ama. 

Dite, che avete visto? È la domanda che l'umanità credente rivolge ai mistici sollevati nelle loro estasi. Ma non c'è quasi un contemplativo che non ritorni dalle regioni spirituali con altro che non sia un balbettío di labbra. Quanto hanno visto non si esprime in lingua alcuna. Soltanto il loro volto conserva qualcosa del raggio che li ha illuminati. Nessuna angoscia. Una felicità indescrivibile attende gli amici di Dio.


sabato 2 maggio 2020

Don Chichì

Don Camillo e don Chichì aveva tutto, in teoria, per andarmi di traverso. 

Pubblicato nella sua versione integrale (senza le censure del politicamente corretto) solo nel 1996, la raccolta di Giovannino Guareschi affronta a partire dal titolo stesso un tema ancora attuale e molto caldo: il contrasto non più solo tra mondo cattolico e mondo comunista, ma tra la Chiesa tradizionale e quella moderna, attraverso la caricatura di un giovane pretino intellettuale e progressita, per l'appunto don Chichì. 

La parodia è feroce e la critica arriva a toccare l'intera Chiesa del Concilio: "Signore - chiede don Camillo al Cristo dell'altar maggiore - volete forse dire che il demonio è diventato tanto astuto chebriesce, talvolta, a travestirsi persino da prete?". La voce del Cristo gli risponde: "Sono appena uscito dai guai del Concilio, vuoi mettermi tu in nuovi guai?".

Aggiungo un'altra critica feroce che mi tocca sul vivo, stavolta sul piano laico: "Ma tu - disse (don Camillo) rivolgendosi al giovane capellone - non sei il capo di quei cialtroni che si chiamano obiettori di coscienza?".

La mia simpatia per Guareschi rischiava di vacillare di fronte ad un approccio ideologico così lontano dal mio e persino grezzo, rozzo nella sua modalità espressiva. Tanto più che queste pose e questi argomenti "reazionari", come li definirebbe qualcuno, sono spesso usati e riciclati ancora oggi sulla stampa e sui social network per attaccare un certo sforzo di riforma della Chiesa e della società a cui mi sento personalmente legato. 

Eppure.

Eppure anche in questo caso la scrittura e la letteratura vincono sulla teoria e sull'ideologia (Io capisco solo i fatti, direbbe don Camillo). L'ironia dei racconti è travolgente. La fantasia e l'intelligenza, l'umiltà e l'onestà della scrittura di Guareschi la rendono capace di cogliere sempre il vero dell'umano, nei suoi limiti, nei suoi slanci e nelle sue contraddizioni. 

La parodia di Guareschi è a 360 gradi e comprende lo stesso don Camillo, i cui limiti (anche i limiti della sua idea di chiesa tradizionale) sono svelati dallo stesso Cristo crocifisso, nei loro giustamente profondi e divertentissimi dialoghi.

"Signore - gridò con angoscia don Camillo (opponendosi all'idea progressista di sostituire il suo altare e di rinnovare la Chiesa) - perché dovrei distruggere tutto?". "Non distruggi niente. Tu cambi la cornice al dipinto, ma il dipinto rimane lo stesso. O, per te, è più importante la cornice del quadro? Don Camillo: se l'abito non fa il monaco, non fa neppure il prete. O ritieni d'essere più ministro di Dio tu che quel giovane (don Chichì) solo perché tu porti la sottana e lui la giacchetta e i pantaloni? Don Camillo, ritieni che il tuo Dio sia tanto ignorante da capire solo il latino? Don Camillo: questi stucchi, questo legno dipinto, questa porporina, queste antiche parole non sono la fede".

"Signore - replicò umilmente don Camillo - però sono la tradizione, il ricordo, il sentimento, la poesia".

"Tutte bellissime cose che non hanno niente a che vedere con la fede. Don Camillo: tu ami queste cose perché ricordano il tuo passato, e perciò le senti tue, quasi parte di te. La vera umiltà è rinunciare alle cose che più si amano".

La passione per Cristo e la passione per gli uomini - nelle forme concrete, contraddittorie, paradossali e persino sgradevoli con cui si manifestano - rappresenta la verità dei racconti di Guareschi, toccando vertici di esilarante comicità - come quando riesce a fare sfilare Peppone e i comunisti del paese al grido di: "Il Cristo è nostro! Il Cristo non si tocca!" - o commovente umanità - come quando le bande rivali di giovani e ribelli capelloni si uniscono per soccorrere gli alluvionati sui tetti.

"La religione di Cristo non è e non può essere né comoda né divertente", replica don Camillo al segretario del suo vescovo, che voleva convincerlo a rinunciare a metà del suo sagrato in cambio di un comodo parcheggio per i fedeli. "Il Pater noster non dovrebbe più dire liberaci dal male, ma liberaci dal benessere".

Lo sguardo di Don Camillo è severo e a volte amaro, pessimista. Ma il suo Cristo, appeso sulla grande croce sopra l'altare, ride e sorride.







domenica 12 aprile 2020

Piccolo Abu

E beati quelli da cui il Signore arriva così, senza che loro se l'aspettano e tutt'a un tratto se lo vedono in mezzo a loro. 

Il piccolo Abu, invece, il suo Signore lo aspettava da sempre, ogni giorno, specialmente a Pasqua. 

Sempre ho tenuto pronto per lui e per gli amici. Ma specialmente a Pasqua, vuoi che non preparo? Questa è casa sua, qui deve venire, [...] mi metto dietro la porta e sto lì a aspettare. 
"Tutta la notte dietro la porta?" 
"E dove se no?" 

Piccolo Abi è una perla, non so se la più bella, nella collana di racconti pubblicati per la prima volta nel 1956 da Elena Bono per Garzanti - Morte di Adamo e altri racconti - e ripubblicati nel 2016, 2 anni dopo la morte dell'autrice, dall'editore Marietti (che ha scelto di separare dalla collana un altro capolavoro che è La moglie del procuratore).

Elena Bono decidere di raccontare i fatti centrali del Vangelo attraverso figure minori o addirittura sconosciute, ricostruendo con l'immaginazione la realtà dell'incontro di ogni uomo, a suo modo, con il Mistero. Il Cristo non compare mai se non come figura muta, attesa, evocata. È un'assenza che riempie le pagine e lascia libero il campo al gioco drammatico della libertà.

Leggendo questi racconti, prima ancora di terminare la lettura, il critico letterario Emilio Cecchi sentì il bisogno di scrivere all'autrice "cento volte brava!". “È un libro bellissimo; ci sono cose magnifiche, nuove, intensissime [...] piene di talento e d'arte".

Piccolo Abi è la storia totalmente inventata dell'uomo con il secchio o la brocca d'acqua che Gesù manda a cercare per trovare il luogo dove preparare la Pasqua, la sua ultima cena. Il Vangelo non dice altro di lui, mentre Elena Bono immagina sia un vecchio servitore pazzo, rimasto da solo a custodire la casa del suo antico padrone, partito per un lungo viaggio e mai più tornato.

Da allora il vecchio, che non si arrende all'idea che il suo padrone e signore sia morto, prepara ogni anno il cenacolo per la Pasqua, con un calice d'oro al centro della tavola. 

La sua tenera follia, la sua innocenza e la sua fedeltà sconcerteranno i due discepoli (soprattutto il pragmatico Tommaso), ma saranno premiate dal Maestro, che giungerà sulla soglia di quella casa.

È il mio cuore che lo chiama, è il mio cuore che gli corre incontro.

mercoledì 8 gennaio 2020

Codice di sopravvivenza

Un "telescopio puntato sulla vita", uno "strumento prodigioso di lettura dell’esperienza individuale e collettiva", un "codice di sopravvivenza del nostro stare al mondo".

La storica rivista Civiltà Cattolica torna a parlare della letteratura e delle sue ragioni in un recente preziosissimo articolo (Perchè la letteratura?) firmato dal card. José Tolentino de Mendonça, teologo e poeta, archivista e bibliotecario della Santa Sede. Un articolo da conservare per la sua forza e la sua chiarezza anche sul rapporto tra fede e letteratura. Alcune perle:

"Non comprende veramente una determinata tradizione culturale chi ignora la sua letteratura. Non comprende l’essere umano, nella sua universalità, chi ignora le testimonianze poetiche che esso è andato inanellando nel corso dei millenni". Abbiamo dunque bisogno della letteratura "non come di un ornamento gradevole ma tutto sommato superfluo del nostro habitat spirituale, bensì come di una sua struttura portante, un codice di sopravvivenza del nostro stare al mondo".

"Uno dei drammi del cristianesimo e delle religioni del nostro tempo, è la crescente dislocazione della sua autocomprensione al di fuori dall’orizzonte della letteratura: sempre meno la pratica religiosa contemporanea ricorre alla letteratura per articolare le proprie rappresentazioni di fede, e sempre meno la letteratura ricorre al loro discorso come risorsa di senso".

"È perciò una responsabilità urgente e gravissima della Chiesa, di tutti i credenti, riattivare processi culturali che sbocchino nella creazione di codici e chiavi di lettura del presente (...) rispondenti alle sofisticate richieste avanzate dalla storia contemporanea", rimettere in moto "l’indispensabile dinamica creativa fra fede e cultura", superando gli approcci egemonici del passato.

L'obiettivo e la responsabilità è di far nascere qualcosa di cui non solo la Chiesa, ma tutta la società ha disperatamente bisogno: "non una letteratura cristiana, che appartiene a un modello di civiltà del passato, ma una letteratura che faccia della fede cristiana (...) una risorsa di senso per l’umanità del nostro tempo".

L'articolo merita di essere letto, meditato e condiviso integralmente.

lunedì 18 novembre 2019

La degustazione del Cristo

"Una Chiesa viva trabocca della degustazione del Cristo [...] Nulla più del gustare comunica la conoscenza della grazia"

Mons. Aldo Del Monte, in L'umanità di Dio, sul senso divino o i sensi del divino.

Il tatto. "La piu grande gioia del prete è quella di riuscire a portare i propri fratelli a toccare con mano l'umanità di Dio".

L'udito, capace di prendere "il tono della voce della Parola". Ma "se in una Chiesa l'amore non è perfetto, quante stonature".

L'olfatto, capace di sentire il profumo della Chiesa, della santità, tanto che "la realtà del profumo è una delle principali visibilizzazioni del mistero".

La vista, o visus ecclesiale, il senso spirituale più attivo nella Chiesa. La capacità di sapere vedere il divino, cioè "l'infinita bellezza che dall'umanità di Dio si riflette sul corpo di Cristo, che è la Chiesa".

sabato 10 ottobre 2015

L'architrave


Due giorni di esercizi spirituali dedicati al tema della Misericordia, alla luce della predicazione di Papa Francesco e in vista del prossimo Giubileo (ma anche del Sinodo in corso). Alcune delle cose che ho imparato, grazie alla teologa Stella Morra (Dio non si stanca. La misericordia come forma ecclesiale, EDB)

La misericordia, scrive Papa Francesco nella bolla d'indizione del Giubileo (Misericordiae Vultus), è l'architrave che sorregge la vita della chiesa. Proprio così, l'architrave.

Immagine di sorprendente quanto inequivoca solidità, che non corrisponde a quell'accezione vaga e sentimentale con la quale connotiamo invece solitamente il termine misericordia o l'aggettivo misericordioso. Essere misericordiosi: un'attitudine che sì ci piace, ma che guardiamo con malcelata diffidenza (dove andremo a finire se siamo troppo misericordiosi, che ne sarà della giustizia; va bene la misericordia, ma fino a un certo punto...). Una specie di buonismo in salsa cattolica.

Nulla di tutto questo. La misericordia di cui sembra parlare Francesco non è un vago sentimento dell'anima. Non sarebbe del resto un'architrave: un sentimento generico non è in grado di sorreggere nulla. Nessun sentimentalismo, dunque, e nessun individualismo: la misericordia non è un fatto personale o caratteriale. Non è neanche una coloritura spirituale. Parliamo piuttosto di misericordia come categoria teologica.

Se la fede è la risposta alla buona notizia del Vangelo: Siete infinitamente amati da Dio in quanto peccatori (non nonostante siate peccatori), la misericordia sarà allora il modo in cui rendiamo vivibile e visibile questa fede, sarà l'architrave della vita della Chiesa perché ne costituirà la logica fondamentale, procedurale, e il criterio di giudizio. 

Logica sta per regola grammaticale, sintassi di base, programma di sistema, come nei pc. La misericordia deve essere il sistema operativo, la logica procedurale della Chiesa. Criterio di giudizio, significa che la misericordia non è, come spesso erroneamente si pensa, assenza di giudizio, non significa che ci va bene tutto, ma che c'è un giudizio diverso, non giuridico e presunto oggettivo. Quando Gesù dice che pubblicane e prostitute ci precederanno nel Regno dei cieli, esprime chiaramente un giudizio di preferenza e precedenza.  La misericordia è un modo diverso di giudicare, un'altra forma di giudizio, un criterio non-giuridico di giudicare, di cui abbondano gli esempi nel Vangelo (le parabole del Padre misericordioso, dei talenti, dei lavoratori della vigna che ricevono lo stesso compenso pur avendo lavorato poche ore).

Si tratta per la Chiesa di un rovesciamento totale di prospettiva, perché da qualche secolo ormai ha scelto la dottrina come architrave, non la misericordia, ha identificato con la dottrina la vivibilità e visibilità della fede e la dottrina è diventata logica procedurale e criterio di giudizio. Eppure in Gesù non è così, non è la dottrina a far la differenza. Non perde nulla la dottrina da questo capovolgimento, non deve cambiare, non diventa meno vera. Resta ciò che illumina e spiega la fede, non ciò che la giudica.




domenica 28 luglio 2013

La cathedra è il cuore



"Siamo riuniti un po’ in disparte, in questo posto preparato dal nostro fratello ..., per rimanere da soli e poter parlare da cuore a cuore".

Eccolo lo stile sorprendente di Papa Francesco, rivelato anche solo dallo stile dei suoi discorsi. Stile sorprendente perché evangelico, semplice come il Vangelo. Francesco è in Brasile nel suo primo viaggio pastorale, celebratissimo dai media nazionali e internazionali. Le folle lo accompagnano e lui si ferma "in disparte" a parlare con i vescovi brasiliani, come Gesù faceva con gli apostoli. Niente sa di cattedratico del suo discorso, niente di "formale", il Papa parla "da cuore a cuore", ma questo non scalfisce neanche per un'istante la sua autorevolezza. La sua cathedra è il suo cuore.

"Voglio abbracciare tutti e ciascuno" dice ai suoi fratelli vescovi, come ad ogni folla che incontra. E qui - mi si perdoni la sfrontatezza dell'accostamento - mi viene addirittura in mente la giovialità e la fisicità del giullare Roberto Benigni. "Godiamo di questo momento di riposo, di condivisione, di vera fraternità". Usa il verbo "godere" senza vergogna, questo Papa.

Francesco rievoca un episodio centrale della tradizione religiosa brasiliana - il ritrovamento in mare della statua di Nostra Signora di Aparecida, patrona del Brasile, da parte di alcuni pescatori - per parlare dell'agire di Dio e della Chiesa. "C’è qualcosa di perenne da imparare su Dio e sulla Chiesa in Aparecida".

Il primo insegnamento è quello dell'umiltà, "che appartiene a Dio come tratto essenziale". L'umiltà "è nel DNA di Dio".

Il secondo insegnamento rivela il modo di agire di Dio: "Dio è sorpresa": anche quando "le acque sono profonde... nascondono sempre la possibilità di Dio". E poi: "Dio entra sempre nelle vesti della pochezza".

La statua della Madonna che i pescatori tirano su dal mare è senza testa. I pescatori gettano le reti di nuovo per recuperare la parte mancante. Il mistero si mostra sempre "incompleto", a "pezzi", in attesa della rivelazione della sua pienezza. E invece, "noi vogliamo vedere troppo in fretta il tutto e Dio invece si fa vedere pian piano".

Quindi il tema della semplicità. "La gente semplice ha sempre spazio per far albergare il mistero. Forse abbiamo ridotto il nostro parlare del mistero ad una spiegazione razionale; nella gente, invece, il mistero entra dal cuore. Nella casa dei poveri Dio trova sempre posto". E allora: "Dio chiede di essere messo al riparo nella parte più calda di noi stessi: il cuore". La Chiesa deve ricordare sempre che "non può allontanarsi dalla semplicità, altrimenti disimpara il linguaggio del Mistero e resta fuori dalla porta del Mistero". "Abbiamo disimparato la semplicità, importando dal di fuori anche una razionalità aliena alla nostra gente. Senza la grammatica della semplicità, la Chiesa si priva delle condizioni che rendono possibile pescare Dio nelle acque profonde del suo Mistero".

Pescata la statua, i pescatori la portano a casa e chiamano i vicini a vedere la bellezza trovata. "Solo la bellezza di Dio può attrarre. La via di Dio è l’incanto che attrae. Dio si fa portare a casa. Egli risveglia nell’uomo il desiderio di custodirlo nella propria vita, nella propria casa, nel proprio cuore. Egli risveglia in noi il desiderio di chiamare i vicini per far conoscere la sua bellezza. La missione nasce proprio da questo fascino divino, da questo stupore dell’incontro".

L'ultima lezione è sui luoghi della rivelazione di Dio. Aparecida è comparsa in un luogo di incrocio tra Rio e San Paolo. "Dio appare negli incroci" ricorda Francesco ai vescovi, alla Chiesa, ai cristiani amanti dei recinti e dei confini.

Dal ricordo dell'episodio di Aparecida il Papa passa alle domande: "Che cosa chiede Dio a noi?". Che cosa ci chiede, in questa che "non è un’epoca di cambiamento, ma è un cambiamento d’epoca".

Francesco ricorre ora all'immagine dei discepoli di Emmaus per descrivere la situazione di quanti - tanti - abbandonano o hanno abbandonato la Chiesa, per i motivi più disparati. Perché la Chiesa per loro non ha più risposte. Perché non cercano più risposte, né nella Chiesa né altro. "Di fronte a questa situazione che cosa fare?" si domanda Francesco.

E la prima risposta per me è bellissima, quasi sconvolgente: "Serve una Chiesa che non abbia paura di entrare nella loro notte. Serve una Chiesa capace di incontrarli nella loro strada. Serve una Chiesa in grado di inserirsi nella loro conversazione". Via da ogni autoreferenzialità, capaci di mettere in gioco le proprie certezze.

Di fronte ad un panorama di smarrimento, di solitudine, di abbandono e di dolore spesso anestetizzato, "serve una Chiesa in grado di far compagnia, di andare al di là del semplice ascolto; una Chiesa che accompagna il cammino mettendosi in cammino con la gente; una Chiesa capace di decifrare la notte ...; una Chiesa che si renda conto di come le ragioni per le quali c’è gente che si allontana contengono già in se stesse anche le ragioni per un possibile ritorno, ma è necessario saper leggere il tutto con coraggio...". Una Chiesa capace di "dare calore" e "riscaldare il cuore". Ma ne siamo ancora capaci? - domanda Francesco provocatoriamente.

"Serve una Chiesa capace di riscoprire le viscere materne della misericordia. Senza la misericordia c’è poco da fare oggi per inserirsi in un mondo di “feriti”, che hanno bisogno di comprensione, di perdono, di amore".

Ne siamo ancora capaci?


(foto da http://www.chiesacattolica.it/giovani/)

mercoledì 12 dicembre 2012

E' bello essere qui con voi


Dear friends, I am pleased to get in touch with you through Twitter. Thank you for your generous response. I bless all of you from my heart.

Firmato: Benedetto XVI.

E' il primo tweet del Papa. Atteso da settimane da tutti i media. Preceduto dall'apertura di un profilo ufficiale su Twitter che ha suscitato come prevedibile - nella Rete e altrove - mille polemiche, ironie, ingiurie, dubbi e curiosità.

Ad alcune di queste obiezioni ha risposto anche oggi padre Antonio Spadaro, tra i più convinti sostenitori di questa iniziativa, direttore di Civiltà Cattolica e punta più avanzata della riflessione ecclesiale sulla "intelligenza della fede al tempo della Rete".

Ma torno al tweet del Papa.

Cari amici, è con gioia che mi unisco a voi via twitter. Grazie per la vostra generosa risposta. Vi benedico tutti di cuore.

Alla vigilia avevo giocato con gli amici a immaginare quale messaggio il Papa avrebbe scelto per avviare la sua presenza su questo social network. Anche tra noi ha prevalso l'ironia, ma in cuor mio avevo provato a rispondere con serietà a questa domanda: se fossi tu il Papa, cosa scriveresti nel tuo primo tweet? Che poi è diventata: quali parole vorresti sentirti dire dal Papa?

Ecco, lo confesso con un certo imbarazzo ed emozione. Io avevo sperato di leggere esattamente queste parole. Non subito citazioni della Scrittura né messaggi morali o spirituali. Ma qualcosa tipo: è bello essere qui con voi, sono contento di incontrarvi. Cari amici, è con gioia che mi unisco a voi. Ma ancora più bello in inglese, più fisico, più carnale: I am pleased to get in touch with you. Mi fa piacere (!) entrare in contatto con voi. E vi benedico tutti di cuore, anzi, dal mio cuore: from my heart.

L'umanità prima di tutto. La bellezza dell'incontro. La gioia di stare insieme. La gratitudine per la presenza dell'altro (Thank you for your generous response). Per i cristiani è la logica, la prassi dell'Incarnazione, dunque prassi eminentemente spirituale. Del resto, quasi ogni parola umana di questo saluto è intessuta, almeno per me, di rimandi spirituali e scritturali.

"Vi ho chiamato amici" (Gv 15,15). "E' bello per noi essere qui" (Mt 17,4). "Padre, ti ringrazio perché mi hai esaudito" (GV 11,41).


lunedì 5 novembre 2012

La sfida dell'immaginazione


«Il cristianesimo in Occidente potrà fiorire solo se riusciremo a coinvolgere l'immaginazione dei nostri contemporanei. Non credo che l'ateismo ci offra tanto una sfida intellettuale, quanto piuttosto una sull'immaginazione».

Così padre Timothy Radcliffe, teologo domenicano molto apprezzato, racconta la sfida della nuova evangelizzazione, in un recente intervento alla Pontificia Facoltà Teologica “San Bonaventura” Seraphicum

Mi viene in mente il "battesimo dell'immaginazione" di cui parla padre Antonio Spadaro nel suo "Svolta di respiro. Spiritualità della vita cristiana". Ne scrivevo già qui: "La conversione, per essere profonda, deve toccare non solo i gesti e i pensieri ma anche l'immaginazione", altrimenti la fede "rischia di divenire rachitica, flebile" (oppure ideologica, appena appena riprende fiato e si galvanizza). Altrimenti, aggiungerebbe Radcliffe, non riusciremo a raggiungere il cuore degli uomini, non riusciremo a farci capire veramente, non riusciremo a trasmettere la fede.

Per immaginazione, secondo Spadaro, dobbiamo intendere il fare creativo, lo sguardo di stupore sul mondo capace di farsi racconto ed espressione artistica.

Similmente padre Radcliffe, per spiegare la sua "teoria" dell'immaginazione cristiana, non espone una teoria ma porta un esempio, "perché l'immaginazione cristiana dimora nel particolare" (come l'immaginazione poetica, del resto). L'esempio di un'opera artistica, un film, un racconto cinematografico recente che ha avuto un grandissimo successo di critica e di pubblico, soprattutto in Francia: Des Hommes et des dieux; in italiano, Gli uomini di Dio.

Il motivo del successo è nella forza della storia e del racconto, che ha per protagonisti uomini particolari - dei monaci, vissuti in una comunità particolare, in un contesto particolare - l'Algeria degli anni Novanta. Il tutto raccontato con un realismo e una precisione (da un regista non credente), che non ridimensionano piuttosto esaltano la luminosità (e la specificità cristiana) di quella testimonianza e di quel martirio. Nessuna edulcorazione, nessuna retorica, nessuna semplificazione (come invece in tanta produzione cinematografica pseudo-religiosa).

Ancora padre Radcliffe: "Le esigenze della vita cristiana non possono essere comunicate letteralmente, come una teoria astratta... Dobbiamo scoprirne la verità immaginativamente. Dobbiamo fare un viaggio verso l'illuminazione... La trasmissione della fede è come l'accensione successiva di fuochi di segnalazione... La trasmissione è sempre creativa e artistica".

Perché l'evangelizzazione fatica a seguire questa strada? Perché la riflessione e la produzione culturale di segno cattolico è più di carattere ideologico (morale, apologetico) che artistico? Perché così pochi capolavori?


mercoledì 20 giugno 2012

Come un buon pescatore


Siedi nella tua cella come nel paradiso. Scordati del mondo e gettatelo dietro le spalle. Fa' attenzione ai tuoi pensieri come un buon pescatore ai pesci


Inizia così la "piccola regola" di San Romualdo, eremita e fondatore di monasteri, padre dei monaci camaldolesi (nell'immagine a destra ritratto da Giotto, nella cappella degli Scrovegni).

L'ho ascoltata ieri per la prima volta declamata da Marco Guzzi in un incontro alla Camera dei Deputati su "La Parola e il Silenzio. Zen, Sufismo, Mistica Cristiana Tre vie sapienziali nel solco dell'attualità".

Proprio ieri la liturgia della Chiesa Cattolica celebrava la memoria liturgica di San Romualdo, nato a Ravenna intorno al 952 avanti Cristo e morto vicino Fabriano il 19 giugno del 1027.

E' bello quando le tradizioni sapienziali millenarie si incontrano, ognuna nella sua specificità. E' bello rendersi conto delle tante analogie e anche delle differenze, senza irrigidimenti né sincretismi. E ascoltare quanto di buono, ricco e utile (pratico) possono insegnare ed offrire all'uomo di oggi, alla ricerca di un centro interiore pacificante e rigenerante, "ricreativo".

Nell'era della globalizzazione planetaria, l'incontro con l'Altro si rivela sempre più inequivocabilmente come Segno dei tempi. La ricchezza dell'altro - penso in particolare alle pratiche meditative appartenenti alla tradizione orientale - diventa l'occasione per riscoprire (e rinnovare) la mia ricchezza, la ricchezza della nostra tradizione spirituale, che in maniera impropria o quanto meno riduttiva chiamiamo occidentale (i Padri del deserto erano occidentali? eppure appartengono a pieno titolo alla nostra tradizione).

Eppure quante rigidità e quante ambiguità intorno a questi temi, quante resistenze e quanta superficialità. Quante violente chiusure e altrettanto violente semplificazioni. Sono convinto che passeranno anche queste. L'urgenza dei cuori avrà ragione di ogni cosa. La ricerca straziante della felicità (cioè del Paradiso) ci costringerà a passare per le strade che non vediamo o non vogliamo.

Lo stesso rilancio della fede, la nuova evangelizzazione, dovrà passare inevitabilmente - io credo - attraverso la scoperta e soprattutto la pratica, l'esperienza concreta, di una interiorità sempre più viva e più autentica, una sorta di mistica quotidiana o monachesimo laico, feriale, che sappia riconciliarci con noi stessi (pensieri, parole, opere e omissioni) e con gli altri, con il mondo e il suo Creatore, con la sua Parola ed il suo Silenzio.

Magari attraverso "piccole regole", come quella di San Romualdo (qui in un'altra traduzione)

Siedi nella tua cella come nel paradiso. Scordati del mondo e gettatelo dietro le spalle. Fa' attenzione ai tuoi pensieri come un buon pescatore ai pesci.

L'unica via per te si trova nei Salmi, non lasciarla mai. Se da poco sei venuto, e malgrado il tuo primo fervore non riesci a pregare come vorresti, cerca, ora qua ora là, di cantare i Salmi nel cuore e di capirli con la mente. 

Quando ti viene qualche distrazione, non smettere di leggere; torna in fretta al testo e applica di nuovo l'intelligenza. 

Anzitutto mettiti alla presenza di Dio come un uomo che sta davanti all’imperatore. 

Svuotati di te stesso e siedi come una piccola creatura, contenta della grazia di Dio; se come una madre Dio non te la donerà, non gusterai nulla, non avrai nulla da mangiare.


martedì 24 aprile 2012

Se non sono vicino a me stesso


La comunicazione con Dio può aver luogo soltanto se siamo in grado di comunicare con noi stessi.

Sto leggendo "La cura dell'anima" di Anselm Grun, "L'esperienza di Dio tra fede e psicologia": approfondita intervista al noto monaco benedettino tedesco pubblicata nell'edizione italiana nella colonna Crocevia delle Paoline.

Se non sono vicino a me stesso, come posso essere vicino a Dio? - scrive Grun, che cita Cipriano di Cartagine: "Come puoi pretendere che Dio ti ascolti se tu per primo non ascolti te stesso?" E aggiunge: la conoscenza di noi stessi non ha nulla a che fare con l'egoismo, ma serve a farci incontrare Dio con tutto ciò che c'è dentro di noi.

martedì 27 marzo 2012

Nel midollo


L'oro di Cristo
nel midollo
di una spiga di grano.

Non riesco a togliermi dalla testa questa poesia di Andrea Salvatici, scritti ad Assisi nel 1999 e dedicati a Mario Luzi.

Andrea Salvatici la ripropone nel suo blog, di cui qui già parlai, e una sua lettrice commenta:

"Penso al vento che fa ondeggiare il sole tra le spighe di grano, penso all'amore di Cristo come vento tra le spighe di grano che sono gli uomini".


Io non so dire né commentare e allora taccio, lasciandomi macinare da questi versi.




(Foto da flickr/creativecommons/bluecobalto)