Da piccolo sono stato affascinato come molti dalle imprese calcistiche di Holly e Benji, il celebre cartone animato giapponese dedicato al gioco del calcio. Non il primo, per la verità, perché molti ricorderanno ancora (inizio anni 80?) i Superboys del mitico Shingo Tamai. Caratteristiche comune ad entrambi i cartoni, le azioni "pensate", i campi a collina, i palloni schiacciati, le reti squarciate da tiri potentissimi. Tutto questo - a noi giovani calciatori da spiaggia o sempiprofessionisti - sembrava già allora esagerato, forse poco credibile, ma non impossibile: chi non ha mai provato ad eseguire il tiro di Shingo o la rovesciata di Holly? Chi non ha mai sognato di parare con gli occhi bendati come Benji? Crescendo, abbiamo smesso di provare, ma sono rimasti i dubbi e le domande cui non abbiamo mai voluto rispondere. Forse le cose sarebbero andate diversamente, se ci avessero fatto ascoltare da subito la vera sigla di Holly e Benji, con il testo originale. Guardate, e soprattutto ascoltate.
"Esiste uno stile cristiano di presenza anche nel mondo digitale: esso si concretizza in una forma di comunicazione onesta ed aperta, responsabile e rispettosa dell’altro" (Benedetto XVI)
martedì 26 febbraio 2008
martedì 19 febbraio 2008
Non conoscerete niente
"Non conoscerete niente senza l'amore" (Dostoevskil)
L'itinerario di Giovanni Casoli alla ricerca di Dio nella letteratura contemporanea - il primo saggio del libro Vangelo e letteratura (post precedente e post del 18 febbraio) - giunge alla fine con la terza situazione, quella in cui c'è una meta e la strada per raggiungerla, pur nella "morte di Dio".
Ad essa fa da ponte uno scrittore, Albert Camus, non credente né nella meta né nella strada, ma che nel suo appassionato umanesimo ateo si pone drammaticamente a camminare sul solco stesso del credente, per l'impulso di una solidarietà che supera le affermazioni e le negazioni stesse: "Noi lavoriamo insieme - dice ne La peste il non credente dott. Rieux al prete Paneloux - per qualcosa che riunisce oltre le bestemmie e le preghiere. Questo solo è importante". E aggiunge: "Quello che odio, è la morte e il male, lei lo sa. E che lei lo voglia o no, noi siamo insieme per sopportarli e combatterli. (...) Dio stesso ora non ci può separare".
Questo ponte che Camus costruisce tra ateismo sincero e fede sincera si chiama, dice Casoli, oltre ogni retorica, amore. Ed è qui che si incontra - insieme ad artisti molto grandi e grandissimi come
Millet (capace di trasformare l'infornatura del pane in un gesto eroico e santo), Rouault, l'epico del quotidiano, Gaudì l'architetto dei cieli aperti, Chagall il premonitore di cieli e terre nuove, Morandi il contemplativo della creazione - il narratore forse più grande di tutta l'età contemporanea, Fjodor Dostoevskij. Una grandezza e un genio non consistenti in affermazioni filosofiche o teologiche, ma nella rappresentazione della reale condizione umana, inferno e purgatorio, e dell'unico suo possibile riscatto che è l'amore capace di scendere negli inferi più profondi.
L'itinerario di Giovanni Casoli alla ricerca di Dio nella letteratura contemporanea - il primo saggio del libro Vangelo e letteratura (post precedente e post del 18 febbraio) - giunge alla fine con la terza situazione, quella in cui c'è una meta e la strada per raggiungerla, pur nella "morte di Dio".
Ad essa fa da ponte uno scrittore, Albert Camus, non credente né nella meta né nella strada, ma che nel suo appassionato umanesimo ateo si pone drammaticamente a camminare sul solco stesso del credente, per l'impulso di una solidarietà che supera le affermazioni e le negazioni stesse: "Noi lavoriamo insieme - dice ne La peste il non credente dott. Rieux al prete Paneloux - per qualcosa che riunisce oltre le bestemmie e le preghiere. Questo solo è importante". E aggiunge: "Quello che odio, è la morte e il male, lei lo sa. E che lei lo voglia o no, noi siamo insieme per sopportarli e combatterli. (...) Dio stesso ora non ci può separare".
Questo ponte che Camus costruisce tra ateismo sincero e fede sincera si chiama, dice Casoli, oltre ogni retorica, amore. Ed è qui che si incontra - insieme ad artisti molto grandi e grandissimi come
Millet (capace di trasformare l'infornatura del pane in un gesto eroico e santo), Rouault, l'epico del quotidiano, Gaudì l'architetto dei cieli aperti, Chagall il premonitore di cieli e terre nuove, Morandi il contemplativo della creazione - il narratore forse più grande di tutta l'età contemporanea, Fjodor Dostoevskij. Una grandezza e un genio non consistenti in affermazioni filosofiche o teologiche, ma nella rappresentazione della reale condizione umana, inferno e purgatorio, e dell'unico suo possibile riscatto che è l'amore capace di scendere negli inferi più profondi.
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Meta senza strada
"C'è la meta ma non c'è la strada per arrivarvi" (Kafka)
Dopo gli autori della "strada senza meta", del viaggio senza fine di ricerca e smarrimento, Giovanni Casoli nel sul libro Vangelo e letteratura passa a considerare l'inverso, cioè quella condizione della letteratura e delle arti che crede nella meta ma non, o ben poco, nella strada per giungervi. Sono quegli scrittori e artisti che sognano una "terra promessa" dovuta e necessaria, ma negano contemporanemanete la possibilità di raggiungerla. Con Kafka, anche Proust, che non procede Alla ricerca del tempo perduto sulla via del ricordare (non c'è la via) ma attraverso illuminazioni imprevedibili accese da riscontri materiali-psicologici.
Sono gli autori - aggiunge Casoli - del primato dell'impossibile (la meta), che per quanto iraggiungibile appare comunque necessario e non surrogabile con sostituzioni di qualsisasi tipo.
Anche qui, una schiera di grandi artisti accompagna e convalida l'affermazione di questa "meta senza strada" - Kandinskij, klee, Pollock, Rothko, Burri - con il loro cortocircuito tra l'ideale e il reale, che appare come un orizzonte favoloso e irraggiungibile, ma irrinunciabile.
Dopo gli autori della "strada senza meta", del viaggio senza fine di ricerca e smarrimento, Giovanni Casoli nel sul libro Vangelo e letteratura passa a considerare l'inverso, cioè quella condizione della letteratura e delle arti che crede nella meta ma non, o ben poco, nella strada per giungervi. Sono quegli scrittori e artisti che sognano una "terra promessa" dovuta e necessaria, ma negano contemporanemanete la possibilità di raggiungerla. Con Kafka, anche Proust, che non procede Alla ricerca del tempo perduto sulla via del ricordare (non c'è la via) ma attraverso illuminazioni imprevedibili accese da riscontri materiali-psicologici.
Sono gli autori - aggiunge Casoli - del primato dell'impossibile (la meta), che per quanto iraggiungibile appare comunque necessario e non surrogabile con sostituzioni di qualsisasi tipo.
Anche qui, una schiera di grandi artisti accompagna e convalida l'affermazione di questa "meta senza strada" - Kandinskij, klee, Pollock, Rothko, Burri - con il loro cortocircuito tra l'ideale e il reale, che appare come un orizzonte favoloso e irraggiungibile, ma irrinunciabile.
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Io ti dono
"Io ti dono!" dice Elisa ieri sera alla mamma abbracciandola e baciandola appassionatamente. "Che vuol dire: ti dono?" chiede la mamma. "Non lo so e non te lo dico" risponde lei timida e impertinente allo stesso tempo.
Io credo faccia parte delle varianti creative al tema dell'amore - vedi il post del 2 gennaio - , che quando è forte, finisce sempre per eccedere la lingua, la sintassi, la logica.
Io credo faccia parte delle varianti creative al tema dell'amore - vedi il post del 2 gennaio - , che quando è forte, finisce sempre per eccedere la lingua, la sintassi, la logica.
Il mio amico Charlie
"Quando perdiamo mi sento un fallito, quando vinciamo mi sento in colpa!" (Charlie Brown)
Come se ne esce?
Come se ne esce?
lunedì 18 febbraio 2008
La strada senza meta
Pochi giorni fa nella cassetta della posta trovo con grande sorpresa e gioia una busta con dentro un piccolo libro in regalo: Vangelo e letteratura, di Giovanni Casoli, per la collana Universitas di Città Nuova (Roma, 2008, pp.112)
Giovanni Casoli per me e per molti è un maestro: di cultura, di vita, e anche di fede. E' critico letterario, oltre che scrittore di romanzi e poesie. Scrive regolarmente di cultura e società sulla rivista Citta Nuova del movimento dei Focolari. E' stato il mio professore di italiano e latino al liceo classico.
Malgrado la densità dei contenuti, ho divorato il libro in pochi giorni. Casoli accompagna il lettore in un viaggio vertiginoso nella letteratura e nella poesia contemporanee alla ricerca della presenza/assenza di Dio, costruendo un itinerario arduo ma di una bellezza incredibile, una guida alla lettura sicura e affidabile, che mette in fila i grandi autori degli ultimi secoli: Holderlin, Leopardi, Baudelaire, Rimbaud, Sartre, Bulgakov, Beckett, Ionesco, Kafka, Camus, Dostoevskij, Eliot, Pasternak, Trakl e Ungaretti. Il libro sovrabbonda di citazioni spesso sconosciute e segrete (dalle lettere, dai diari...) ma di una bellezza e di una "verità" tali da lasciare senza parole.
Il viaggio nella "notte di Dio" della letteratura (e della cultura) contemporanei muove dalla diagnosi epocale del grande poeta tedesco Holderlin: "Un segno noi siamo, senza interpretazione". Gli dèi sono "fuggiti" - dice Holderlin - e viviamo in un "tempo di povertà". "Dio è morto" - grida Nietzsche. "Noi l'abbiamo ucciso". Leopardi: "conosciuto il mondo / solo il nulla s'accresce". Baudelaire: "So che il dolore è la sola nobiltà / che mai terra nè inferno morderanno". Rimbaud: "Ahimè! Il Vangelo è passato!". E' la modernità che si schiera con il tramonto, per uccisione, o per superamento-oblio, di Dio stesso, e dunque di ogni sua religone. La "notte di Dio" è una strada che si percorre senza meta, anzi con l'orgoglio disperato di non avere una meta dopo la "morte di Dio". Una morte che trascina con sé la morte dell'uomo stesso, che diventa un volto disegnato sulla sabbia, che il mare cancella (Michel Foucault). L'uomo cancellabile (cos'altro hanno realizzato le carneficine del XX secolo?) è l'uomo superfluo, la "passione inutile" di Jean-Paul Sartre, nel suo romanzo La Nausea: "Eravamo un mucchio di esistenti impacciati, imbarazzati da noi stessi, non avevamo la minima ragione d'esser lì, né gli uni né gli altri, ciascun esistente, confuso, vagamente inquieto, si sentiva di troppo in rapporto agli altri (...) Anch'io ero di troppo. (...) Pensavo vagamente di sopprimermi (...) Ma la mia stessa morte sarebbe stata di troppo (...) Io ero di troppo per l'eternità".
Giovanni Casoli per me e per molti è un maestro: di cultura, di vita, e anche di fede. E' critico letterario, oltre che scrittore di romanzi e poesie. Scrive regolarmente di cultura e società sulla rivista Citta Nuova del movimento dei Focolari. E' stato il mio professore di italiano e latino al liceo classico.
Malgrado la densità dei contenuti, ho divorato il libro in pochi giorni. Casoli accompagna il lettore in un viaggio vertiginoso nella letteratura e nella poesia contemporanee alla ricerca della presenza/assenza di Dio, costruendo un itinerario arduo ma di una bellezza incredibile, una guida alla lettura sicura e affidabile, che mette in fila i grandi autori degli ultimi secoli: Holderlin, Leopardi, Baudelaire, Rimbaud, Sartre, Bulgakov, Beckett, Ionesco, Kafka, Camus, Dostoevskij, Eliot, Pasternak, Trakl e Ungaretti. Il libro sovrabbonda di citazioni spesso sconosciute e segrete (dalle lettere, dai diari...) ma di una bellezza e di una "verità" tali da lasciare senza parole.
Il viaggio nella "notte di Dio" della letteratura (e della cultura) contemporanei muove dalla diagnosi epocale del grande poeta tedesco Holderlin: "Un segno noi siamo, senza interpretazione". Gli dèi sono "fuggiti" - dice Holderlin - e viviamo in un "tempo di povertà". "Dio è morto" - grida Nietzsche. "Noi l'abbiamo ucciso". Leopardi: "conosciuto il mondo / solo il nulla s'accresce". Baudelaire: "So che il dolore è la sola nobiltà / che mai terra nè inferno morderanno". Rimbaud: "Ahimè! Il Vangelo è passato!". E' la modernità che si schiera con il tramonto, per uccisione, o per superamento-oblio, di Dio stesso, e dunque di ogni sua religone. La "notte di Dio" è una strada che si percorre senza meta, anzi con l'orgoglio disperato di non avere una meta dopo la "morte di Dio". Una morte che trascina con sé la morte dell'uomo stesso, che diventa un volto disegnato sulla sabbia, che il mare cancella (Michel Foucault). L'uomo cancellabile (cos'altro hanno realizzato le carneficine del XX secolo?) è l'uomo superfluo, la "passione inutile" di Jean-Paul Sartre, nel suo romanzo La Nausea: "Eravamo un mucchio di esistenti impacciati, imbarazzati da noi stessi, non avevamo la minima ragione d'esser lì, né gli uni né gli altri, ciascun esistente, confuso, vagamente inquieto, si sentiva di troppo in rapporto agli altri (...) Anch'io ero di troppo. (...) Pensavo vagamente di sopprimermi (...) Ma la mia stessa morte sarebbe stata di troppo (...) Io ero di troppo per l'eternità".
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venerdì 15 febbraio 2008
Finalmente siamo in tanti
Lunedì scorso è nata Miriam, terza figlia del mio amico Simone, "moralista" di professione. Ieri pomeriggio, mentre tornava in macchina dall'ospedale con tutta la famiglia - Luisa la mamma , Miriam la neonata, Teresa la seconda, e Pietro il più grande, 4 anni - quest'ultimo gli fa, non si sa se soddisfatto o rassegnato: "Papà, finalmente siamo in tanti..."
mercoledì 13 febbraio 2008
La notte anticipa l'alba
Ho finito di leggere questa sera "Notte della cultura europea", piccolo ma densissimo libro di cui ho gia parlato nel post del 5 febbraio.
Tanti - troppi - i passaggi notevoli da ricordare. Sulla frattura tra Vangelo e cultura, tra Cristianesimo e cultura, esplosa con l'umanesimo rinascimentale e il protestantesimo luterano e calvinista: «la fede è capita e sentita estrinseca alla ragione», «estarnea al pensiero e lentamente nemica di esso».
Sulla «forza tragica e l'originalità terribile dell'ateismo europeo»: «un ateismo di salvezza dell'uomo», che per essere finalmente se stesso deve eliminare dall'orizzonte (o almeno metterlo tra parantesi) qualsiasi dio. Perchè «non solo un dio come postulato dela ragione non ha senso, ma addirittura è sintomo di una malattia dell'uomo, psicologica e/o sociale». «La fine del dio è sentita come la nascita dell'uomo libero».
Sull'origine, lo sviluppo ma soprattutto l'approdo del nichilismo, che da «negazione dell'Assoluto» si fa «Negazione assoluta».
Sul «rischio della Chiesa di ricercare la perduta cristianità non in avanti, nello Spirito che fa nuove tutte le cose scompigliando di continuo gli orizzonti conosciuti, ma indietro in una presenza di sé nel sociale non nel grande realismo della profezia, ma nel piccolo realismo della politica».
Bellissime e cruciali le pagine sulla teologia da riscoprire come mistica, come esperienza finalmente trinitaria di Dio. Sulla differenza tra il nichilismo e il Non-Essere per Amore. Sulla «croce come evento culturale». Sul Gesù abbandonato come «paradigma unico per la comprensione del "lavoro" di Dio nell'oggi della cultura europea» («Gesù abbandonato è Dio che ci ha raggiunto nell'abisso del nostro niente»).
Tanto altro ancora contiene questo libro la cui originalità maggiore, alla fine, è forse quella di non rassegnarsi ad una visione pessimistica, tutta negativa e senza speranza della crisi culturale contemporanea. Osa dire, invece, l'autore, Giuseppe Maria Zanghì: «La crisi dell'oggi, nella luce dell'Abbandonato risorto, si apre su una speranza più grande». O usando le parole di Maria Zambrano: «Si potrebbe dunque credere che la nostra cultura stia morendo, soprattutto nel suo nucleo occidentale più antico, l'Europa. Ma potrebbe essere tutto il contrario, un'alba». «Qualcosa se ne è andato per sempre, adesso è questione di tornare a nascere».
Tanti - troppi - i passaggi notevoli da ricordare. Sulla frattura tra Vangelo e cultura, tra Cristianesimo e cultura, esplosa con l'umanesimo rinascimentale e il protestantesimo luterano e calvinista: «la fede è capita e sentita estrinseca alla ragione», «estarnea al pensiero e lentamente nemica di esso».
Sulla «forza tragica e l'originalità terribile dell'ateismo europeo»: «un ateismo di salvezza dell'uomo», che per essere finalmente se stesso deve eliminare dall'orizzonte (o almeno metterlo tra parantesi) qualsiasi dio. Perchè «non solo un dio come postulato dela ragione non ha senso, ma addirittura è sintomo di una malattia dell'uomo, psicologica e/o sociale». «La fine del dio è sentita come la nascita dell'uomo libero».
Sull'origine, lo sviluppo ma soprattutto l'approdo del nichilismo, che da «negazione dell'Assoluto» si fa «Negazione assoluta».
Sul «rischio della Chiesa di ricercare la perduta cristianità non in avanti, nello Spirito che fa nuove tutte le cose scompigliando di continuo gli orizzonti conosciuti, ma indietro in una presenza di sé nel sociale non nel grande realismo della profezia, ma nel piccolo realismo della politica».
Bellissime e cruciali le pagine sulla teologia da riscoprire come mistica, come esperienza finalmente trinitaria di Dio. Sulla differenza tra il nichilismo e il Non-Essere per Amore. Sulla «croce come evento culturale». Sul Gesù abbandonato come «paradigma unico per la comprensione del "lavoro" di Dio nell'oggi della cultura europea» («Gesù abbandonato è Dio che ci ha raggiunto nell'abisso del nostro niente»).
Tanto altro ancora contiene questo libro la cui originalità maggiore, alla fine, è forse quella di non rassegnarsi ad una visione pessimistica, tutta negativa e senza speranza della crisi culturale contemporanea. Osa dire, invece, l'autore, Giuseppe Maria Zanghì: «La crisi dell'oggi, nella luce dell'Abbandonato risorto, si apre su una speranza più grande». O usando le parole di Maria Zambrano: «Si potrebbe dunque credere che la nostra cultura stia morendo, soprattutto nel suo nucleo occidentale più antico, l'Europa. Ma potrebbe essere tutto il contrario, un'alba». «Qualcosa se ne è andato per sempre, adesso è questione di tornare a nascere».
venerdì 8 febbraio 2008
Corro da solo
- "Corro da solo"
- "Cerca di non arrivare secondo!"
Altan è forse il migliore fra i vignettisti italiani, e ne dà prova con questa vignetta su "La Repubblica" di oggi, sulla scelta del Partito Democratico di andare da solo alle elezioni. Come al solito, parte dall'attualità politica per arrivare a immagini e metafore esistenziali, tra il tragico e il surreale. Grande.
- "Cerca di non arrivare secondo!"
Altan è forse il migliore fra i vignettisti italiani, e ne dà prova con questa vignetta su "La Repubblica" di oggi, sulla scelta del Partito Democratico di andare da solo alle elezioni. Come al solito, parte dall'attualità politica per arrivare a immagini e metafore esistenziali, tra il tragico e il surreale. Grande.
giovedì 7 febbraio 2008
Ticchettòcche in Paradiso
Il motivo del titolo di questo blog - Ticchettòcche - è oscuro alla maggior parte dei miei 15 lettori. Dalla descrizione forse si evince la mia passione per il calcio giocato e "Ticchettòcche" è proprio il soprannome che un mio amico "moralista" ha voluto recetemente attribuirmi per via del mio debole per il tocco breve, la giocata di classe, il "ticche e tocche" insomma, alla romana. Mio fratello, invece, con cui ho condiviso per anni la carriera calcistica, da difensore puro e insuperabile (avete presente Cannavaro della semifinale con la Germania?) era solito dirmi che avrei dovuto esibirmi al circo piuttosto che sui campi di calcio.
Ovviamente per me sono tutti complimenti immeritati, ma se guardate questo video su Youtube capirete molto di me, di ciò che mi piace veramente, in fondo anche del perchè posso alternare un post serio come questo ad uno giocoso come il precedente. Io sono rimasto basito, tra invidia e stupore, con la speranza che sia tutto finto. Ma questo è il gioco che vorrei fare in Paradiso!
P.S. Se potete, ascoltatelo con la musica...rende ancora meglio l'idea
Ovviamente per me sono tutti complimenti immeritati, ma se guardate questo video su Youtube capirete molto di me, di ciò che mi piace veramente, in fondo anche del perchè posso alternare un post serio come questo ad uno giocoso come il precedente. Io sono rimasto basito, tra invidia e stupore, con la speranza che sia tutto finto. Ma questo è il gioco che vorrei fare in Paradiso!
P.S. Se potete, ascoltatelo con la musica...rende ancora meglio l'idea
martedì 5 febbraio 2008
Notte della cultura europea
Finalmente ho tra le mani e posso iniziare a leggere "Notte della cultura europea", il libro di Giuseppe Maria Zanghì che avevo trovato ottimamente recensito da Giovanni Casoli qualche tempo fa. Zanghì è il direttore della rivista culturale "Nuova Umanità", che fa riferimento al movimento dei Focolari di Chiara Lubich. Il libro, pubblicato da Città Nuova, inaugura la collana Universitas, che intende suggerire la vocazione all'unità, all'integrazione, dei diversi saperi.
Il testo si presenta come un breve e denso saggio sulla crisi della cultura europea, denunciata in tutta la sua radicalità, ma si segnala subito per il taglio interpretativo originale, soprattutto in ambito culturale ecclesiale. Nessun rimpianto infatti per i bei tempi antichi, nessuna angoscia per il piano inclinato del "dove andremo a finire!". Ma il tentativo di dialogare con con questa cultura contemporanea tenendo in conto lo "specifico negativo di essa" ma anche - osa affermare l'autore - l' "ineludibile positivo", presente magari "in gestazione dolorosa, ma non per questo meno vero, e proteso su nuovi compimenti". La notte, cioè, non smette di essere notte, ma forse - citando Bulgakov - quest'oscurità "non è che un'ombra gettata da Colui che viene".
Una seconda idea forte e ugualmente originale intorno a questa notte della cultura europea contemporanea è la seguente. Con buona pace dei teorici dell'assedio della cristianità, "non dobbiamo pensare che la deriva atea o indifferentista della cultura europea contemporanea sia un fatto 'esterno' alla cultura cristiana: è qualche cosa che la tocca nel suo profondo, perchè ha in essa alcune delle sue radici". Detto con le parole di Giovanni Paolo II al V Simposio dei vescovi d'Europa (1982): "Le crisi dell'uomo europeo sono le crisi dell'uomo cristiano. Le crisi della cultura europea sono le crisi della cultura cristiana". "Queste prove, queste tentazioni e questo esito del dramma europeo non solo interpellano il cristianesimo e la Chiesa dal di fuori...ma in un certo senso vero sono interiori al cristianesimo e alla Chiesa".
La terza idea importante, infine, riguarda il concetto di cultura cristiana, che non può mai dirsi definita una volta per tutte, perché il Vangelo è il suo "orizzonte", "sempre ancora e di nuovo da raggiungere". Non può mai essere sistema chiuso, ideologia, perchè continuamente purificata e trascesa dall' "amore che cerca e parla per primo". "Si tratta allora, perchè si abbia cultura cristiana, di condurre il pensiero all'obbedienza a Cristo".
Il testo si presenta come un breve e denso saggio sulla crisi della cultura europea, denunciata in tutta la sua radicalità, ma si segnala subito per il taglio interpretativo originale, soprattutto in ambito culturale ecclesiale. Nessun rimpianto infatti per i bei tempi antichi, nessuna angoscia per il piano inclinato del "dove andremo a finire!". Ma il tentativo di dialogare con con questa cultura contemporanea tenendo in conto lo "specifico negativo di essa" ma anche - osa affermare l'autore - l' "ineludibile positivo", presente magari "in gestazione dolorosa, ma non per questo meno vero, e proteso su nuovi compimenti". La notte, cioè, non smette di essere notte, ma forse - citando Bulgakov - quest'oscurità "non è che un'ombra gettata da Colui che viene".
Una seconda idea forte e ugualmente originale intorno a questa notte della cultura europea contemporanea è la seguente. Con buona pace dei teorici dell'assedio della cristianità, "non dobbiamo pensare che la deriva atea o indifferentista della cultura europea contemporanea sia un fatto 'esterno' alla cultura cristiana: è qualche cosa che la tocca nel suo profondo, perchè ha in essa alcune delle sue radici". Detto con le parole di Giovanni Paolo II al V Simposio dei vescovi d'Europa (1982): "Le crisi dell'uomo europeo sono le crisi dell'uomo cristiano. Le crisi della cultura europea sono le crisi della cultura cristiana". "Queste prove, queste tentazioni e questo esito del dramma europeo non solo interpellano il cristianesimo e la Chiesa dal di fuori...ma in un certo senso vero sono interiori al cristianesimo e alla Chiesa".
La terza idea importante, infine, riguarda il concetto di cultura cristiana, che non può mai dirsi definita una volta per tutte, perché il Vangelo è il suo "orizzonte", "sempre ancora e di nuovo da raggiungere". Non può mai essere sistema chiuso, ideologia, perchè continuamente purificata e trascesa dall' "amore che cerca e parla per primo". "Si tratta allora, perchè si abbia cultura cristiana, di condurre il pensiero all'obbedienza a Cristo".
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