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giovedì 27 dicembre 2007

In sacra azzurrità


Dopo il nero, l’azzurro è uno dei colori predominanti della poesia di Georg Trakl (vedi i post precedenti). Azzurra è anzitutto L'INFANZIA (dalla poesia omonima). Azzurra la sua abitazione modesta (azzurra caverna) così come la vicina cascata che rimbombava tra le rocce. Nel ricordo tutta l’anima s’inazzurra, diventa un azzurro momento, e in questa sacra azzurrità continuano a risuonare passi luminosi. L’infanzia vissuta in azzurra purezza è tutta un nostalgico ricordo grazie al quale l’anima talor si rischiara e si commuove fino alle lacrime.


Ma azzurro può essere, persino in Trakl, il cielo, l’azzurra ala dell’aria che carezza e sfiora un tetto di paglia sopra la terra nera (L’AUTUNNO DEL SOLITARIO). Azzurri gli occhi degli amanti da cui spiccano lievi l’ale / angeli a mitigare la pena che ne sboccia, unico argine al muto orrore che assale quando da spogli salci sgoccia nera la rugiada. Azzurre possono essere le palpebre del Dio silenzoso che si abbassano pietose sugli uomini (da HELIAN). Azzurre le campane serali (da MORTE PRECOCE), quelle che al bifolco – viene detto altrove – infondono coraggio.

Dunque azzurro è purezza (azzurro puro), desiderio, speranza, misericordia, pur nell’ ambiguità ambigua in cui costantemente si muove – secondo l’espressione di Heidegger - la poesia di Trakl. Una poesia essenzialmente plurisensa, dall’aura misteriosa e dal rigore visionario. Una poesia indicibile perché sgorgante da una fonte sempre più nel profondo del poeta (Ficker), che cammina su una cresta sottile fra gli abissi dell’orrore - grande è la colpa di chi è nato - e gli abissi della beatitudine (Kleist).

Una poesia, al fine, azzurra essa stessa, perché azzurro – un fiore azzurro – è il canto del poeta, che sopravvive alla morte e alle pene. Dalla poesia A NOVALIS, dedicata al grande poeta romantico morto, come Trakl, nel fiore dell’età:

Un fiore azzurro / sopravvive il suo canto nella notturna casa dei dolori


(foto di Gaspa)

venerdì 21 dicembre 2007

Solo il bifolco è felice?

"Dice il bifolco: tutto è buono. / E infonde a lui lieto coraggio / di voi, campane a sera, il suono". "Autunno trasfigurato" si chiama la poesia di George Trakl da cui traggo questi tre versi. Il bifolco è felice perché è stato un anno ricco e carico di frutti ("podeoroso") nel proprio campo. Tanto gli basta per dire "tutto è buono", complice il suono delle campane, la sera, che gli infonde coraggio e letizia. Il cielo è conteso improvvisamente da un altro suono: "S'ode un addio d'uccelli in viaggio". Ma stavolta l'effetto non è quello della "mesta carovana" dei corvi (vedi post 13 dicembre). L'autunno qui è "trasfigurato", come suggerisce il titolo della poesia. Non prepara il terrenno all'inverno, alla morte (come sempre in Trakl) ma si apre in un "cangiante lucciore" - "E' il tempo dolce dell'amore" - che porta "silenzio e pace".

Come si spiega tutto ciò? Sembra ripetersi lo schema del "Giorno dei morti" (post precedente) con la danza irreale degli omìni e delle donnette. Com'è possibile vivere? Come è possibile essere felici? Bisogna essere "bifolchi" a credere alle promesse delle campane. Ma allora solo il bifolco è felice?

Nel primo commento il testo integrale della poesia

Irreale è la danza dei viventi

Donnette e omìni, squallidi figuri,
oggi spargono fiori azzurri e rossi
sopra le loro tombe in luce incerta.
Sembran fantocci in vista della morte.

Oh, come appaiono umili e angosciati!
Proprio come ombre dietro a cespi neri.
Reca un frignar di nascituri il vento
e intorno vedi un vagolar di luci.

Trema fra i rami un gemito di amanti
e lì si sfà una madre col bambino.
Irreale è la danza dei viventi
nel tardo vento stranamente sparsi.

Vita nel caos, la loro, e tormentata.
Abbi pietà, Signore, delle pene
delle donne, e dei lagni disperati!
C’è chi passeggia sotto al firmamento.

giovedì 13 dicembre 2007

S'avventano i corvi

Sul nero paesaggio già s'avventano
i corvi a mezzodì con grida dure,
con la lor ombra la cerva rasentano;
o sostano aggrondati sulle alture.

Vanno il bruno silenzio a disturbare
in cui la piana estatica si stende
come donna cui grave affanno prende,
e talvolta si sentono altercare

per carogne fiutate qui o la.
A un tratto drizzan le ali a tramontana
e scompaiono in mesta carovana
nel cielo in un tremor di voluttà.