del 1933.
In questo testo il poeta opera una drammatica identificazione tra la nascita e la vita dell'uomo e la passione di Cristo. Anzi addirittura questa identificazione avviene ancora prima della nascita, le tappe della passione si compiono già prima di
bussare alla vita, prima dell'uscita dal grembo:
ancora ingenerato,
subii il martirio.
Si tratta di un tema ricorrente nella poesia di Dylan Thomas, che nella nascita legge drammaticamente un anticipo di condanna a morte:
E il grembo insinua una morte / mentre fuoriesce la vita (Un processo nel clima del cuore)
Una condanna che non riguarda solo l'uomo, ma l'intero creato:
Già nella ghianda è abbattuta la quercia / E il falco uccide lo scricciolo nell'uovo (Ballata dell'esca dalle lunghe gambe)
L'esistenza, il tempo (Uccidi il Tempo!) non fa che confermare questo amaro destino: la creatura mortale è sospinta alla deriva, capace di opporre alla morte una ben flebile resistenza (E fui abbattuto dalla piuma della morte).
La storia della sofferenza umana coincide con quella della croce, in una prospettiva espressamente religiosa. La figura di Cristo e la parabola della sua Incarnazione si sovrappone a quella del poeta, che termina invocando pietà per Colui / che usò per armatura la mia carne e le ossa / e uso doppiezza al grembo di mia madre, vale a dire il ventre di Maria, ferito ben due volte dalla nascita e dalla crocifissione.
Prima che io bussassi ed entrasse la carne,
Con liquide nocche battute sul ventre,
Io che ero informe come l'acqua
Che formava il Giordano vicino alla mia casa
Ero fratello della figlia di Mnetha
E sorella del verme generante.
Io che ero sordo a primavera e estate,
Che non sapevo il nome della luna e del sole,
Sentivo il tonfo sotto l'armatura
Della mia carne, forma ancora fusa,
Le stelle plumbee, il maglio piovoso
Che mio padre sferrava dalla cupola.
Conobbi il messaggio dell'inverno,
Le frecce della grandine, la neve infantile,
E il vento corteggiava mia sorella;
Il vento balzò in me, la rugiada infernale;
Le mie vene fluivano con il climad'oriente;
Non generato conobbi il giorno e la notte.
Ancora ingenerato, subii il martirio;
Il cavalletto dei sogni le mie ossa liliali
Attorcigliò in un vivo monogramma,
La carne fu tagliata a incrociare le linee
Di croci del patibolo sul fegato
E le spine dei rovi nel cervello grondante.
La mia gola ebbe sete prima della struttura
Di pelle e di vene intorno al pozzo
Dove parole e acqua formano una mistura
Che non fallisce finché scorre il sangue;
Il mio cuore conobbe l'amore, il mio ventre la fame;
Sentii l'odore del verme nelle feci.
E il tempo sospinse alla deriva
O in fondo ai mari la mia creatura mortale
Avvisata della salata avventura
Di maree che mai toccano le rive.
Io che ero ricco fui reso più ricco
Sorseggiando alla vite dei giorni.
Nato di carne e spirito, non ero
Né spirito né uomo, ma un fantasma mortale.
E fui abbattuto dalla piuma della morte.
Io fui un mortale fino all'ultimo
Lungo sospiro che recò a mio padre
Il messaggio del suo morente cristo.
O voi che v'inchinate alla croce e all'altare,
Abbiate memoria di me e pietà di Colui
Che usò per armatura la mia carne e le ossa
E usò doppiezza al grembo di mia madre.
(Dylan Thomas, Poesie, Einaudi. Traduzione di Ariodante Marianni)