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domenica 14 aprile 2024

Cristo morto sostenuto da un angelo

Antonello da Messina, Cristo morto sostenuto da un angelo (1475-76), Museo del Prado, Madrid.

domenica 2 aprile 2023

Il Concilio Cadaverico

I libri di Fabrizio Falcone non sono belli soltanto per le tante informazioni erudite, per la cultura diffusa, l'amore per l'arte, la storia e l'ingegno umano, la voglia che ispirano di visitare di persona i luoghi che vengono descritti.

Sono belli anche perché raccontano spesso storie, leggende e curiosità che a quei luoghi sono legate. Una di queste, incredibile eppure vera, è la storia del cosiddetto "Concilio Cadaverico" che si svolse alla fine del IX secolo nella sala del concilio al Laterano.

Nella contesa per il trono imperiale d'Occidente, Papa Formoso aveva ostacolato Lamberto di Spoleto a vantaggio di Arnolfo di Carinzia, nominandolo imperatore nell'896. 


Nello stesso anno il Papa moriva e veniva sostituito da Stefano VI, che approfittando della malattia di Arnolfo di Carinzia, aprì le porte di Roma a Lamberto di Spoleto, cui decise di sottomettersi completamente.

Fu così che Lamberto ordinò di processare il papa defunto, per il torto che gli aveva fatto in vita. La mummia di Formoso fu disseppellita, 9 mesi dopo la morte, ornata degli abiti pontificali, messa a sedere davanti al tribunale e processata.

Con il consenso di papa Stefano VI, il cadavere di Formoso condannato, spogliato di tutte le insegne, amputato e dato in pasto alla folla, che lo gettò nelle acque del Tevere. 

(Fabrizio Falconi, Le basiliche di Roma, Newton Comton Editori)

sabato 10 ottobre 2020

Bruttezza stupenda

Leggendo il Diario di Julien Green (1935-1939) mi imbatto in questa sua considerazione sul dipinto di El Greco La resurrezione di Cristo (1597).

Alla mostra del Greco, a lungo guardato il quadro che rappresenta Cristo con la testa circondata da una losanga di luce. È un Cristo da visione e tal qual è fa quasi paura; i suoi capelli spartiti in mezzo alla fronte, lo sguardo un po' strabico dei suoi grandi occhi neri, il suo naso di sbieco, tutto me lo rende affascinante e inquietante insieme. È bello o brutto? Egli è bello di una bruttezza stupenda, e sotto i lineamenti irregolari c'è qualcosa di vero che mi turba.

Di che bellezza stiamo parlando? Non è un fatto solo fisico, ovviamente, né solo estetico ciò che osserva lo scrittore. Qui Green sta intercettando nel Cristo, attraverso l'arte, una bellezza ulteriore, una bellezza che turba, che spaventa, che deve pagare il prezzo anche della bruttezza, dell'imperfezione, per diventare più vera, più bella, bellezza perfetta, "stupenda bruttezza".


venerdì 9 ottobre 2020

L'urgenza necessaria

Due domande per Mimmo Paladino, artista chiamato dalla Chiesa a raffigurare le pagine della nuova edizione del Messale Romano. Dal mensile Luoghi dell'Infinito:

Qual è la relazione tra arte e sacro? 

«Sono sempre stati in rapporto perché nell’arte è insita una dimensione spirituale. Noto con interesse che la Chiesa in questi ultimi anni si è sempre più avvicinata all’arte di ricerca, oltrepassando quel confine, che sembrava invalicabile, dell’arte figurativa e dell’iconografia legata alla tradizione. Mi piace citare la cappella di Rothko, esempio sommo di arte astratta, che porta in sé la potenza della dimensione spirituale, e la cappella di Matisse, dove invece lo spirito si fa segno, colore e forma... La spiritualità supera naturalmente il soggetto raffigurato. Penso a Morandi: le sue nature morte colgono nella loro apparente semplicità di forma e colore la profondità dell’essere perché sono sintesi perfetta  delle cose, e questo ha molto a che fare con l’Invisibile».

Che cos'è per lei l'atto creativo?

«Per un artista è la domanda delle domande. C'è una radice misteriosa che spinge l'uomo, dagli albori della sua storia alla contemporaneità, a mettere dei segni su una superficie, a dare forma a una materia. Nell'atto creativo, nell'esprimersi con un segno, con un colore, c'è un'eterna attualità e insieme un'eterna necessità (...) Esprimersi con un segno, con un colore ha in sé qualcosa che non so spiegarmi e insieme ha questa urgenza necessaria che viene prima di ogni volontà. Non mi interessa spiegare, non cerco spiegazioni. La creazione è una capaictà che va al di là dell'artista stesso».




martedì 1 settembre 2020

Un'altra bellezza

Quale bellezza salverà il mondo? Se lo domanda padre Gustav Schorghofer su La Civiltà Cattolica, rievocando Dostoevskij. 

Non è bello solo ciò che è piacevole. Non è bello solo ciò che armonioso e nobile. La bellezza non è più immediatamente data, come forse era in passato, ma va cercata, va scoperta, va riconosciuta, perché la percezione della bellezza è un processo di apprendimento infinito. 

Padre Schorghofer, che opera a Vienna nel campo della pastorale degli artisti, invita a rivolgersi proprio a loro (e ai poeti, ai mistici, agli amanti) per imparare a riconoscere questa bellezza diversa, una bellezza altra, non paragonabile a quella del passato, perché essa non si impone con la forza delle belle forme. 

In particolare, dice l'autore, l'arte del XX secolo ci ha insegnato a riconoscere la bellezza in molte cose, a scoprirla anche là dove prima si vedevano soltanto sporcizia e rifiuti. Padre Schorghofer cita a mo' d'esempio l'artista tedesco Kurt Schwitters e il movimento dell'arte povera, ma più in generale il discorso può estendersi a tutta l'arte informale del Novecento, che ha frantumato non solo i canoni estetici ma anche i procedimenti artistici tradizionali, componendo spesso le proprie opere utilizzando e assemblando materiali di recupero e oggetti di scarto. 

Quest'arte ci insegna che la bellezza di Dio si rivela anche nei rifiuti, negli scarti, nella spazzatura. È lo sguardo degli artisti, dei santi e dei bambini. Una bellezza misteriosa e spesso scandalosa, che va saputa intendere e interpretare. 

Il grande compito dei cristiani - scrive l'autore - è senza dubbio quello di imparare a percepire tali opere sempre più nel contesto di un misticismo cristiano. 



giovedì 27 dicembre 2012

Vedere è già di per sé un atto creativo


Mi imbatto oggi per caso in questo meraviglioso testo di Henri Matisse sull'arte e la creatività, raccolto da Régine Pernoud per Le Courrier de l’Unesco del 1953, e ripubblicato dalla rivista Tracce nel febbraio del 2011.

"Guardare la vita con gli occhi di un bambino" è il significativo titolo di questo discorso, che andrebbe letto, gustato e meditato con calma, ma di cui voglio qui fermare alcune frasi e alcuni concetti estremamente suggestivi ed evocativi.

Henri Matisse è uno degli artisti più grandi del '900, il rappresentante più noto del "fauvismo", il movimento pittorico che contribuisce in Francia alla nascita dell’espressionismo, costituendone una variante «mediterranea» e solare. La vivezza coloristica, che è il vero tratto caratteristico di questo movimento, esprime un’autentica «gioia di vivere» che resterà costante in tutta la produzione del pittore francese.

Ecco dunque alcune frasi dal testo di Matisse:

"Per un artista la creazione comincia dalla visione. Vedere è già di per sé un atto creativo, che esige uno sforzo". 

"L’artista (...) è tenuto a vedere tutte le cose come se le guardasse per la prima volta: occorre vedere tutta la vita come se fossimo bambini". 

"Penso che nulla sia più difficile per un vero pittore che dipingere una rosa, perché per dipingerla deve dimenticare tutte le rose che ha dipinto prima". 

"Occorre un grande amore, capace di ispirare e sostenere questo sforzo continuo verso la verità, questa generosità assoluta e questo profondo spogliamento che implica la genesi di ogni opera d’arte. Ma l’amore non è forse all’origine di tutta la creazione?"


(L'immagine: lo studio di Matisse a Nizza, 1941)





lunedì 5 novembre 2012

La sfida dell'immaginazione


«Il cristianesimo in Occidente potrà fiorire solo se riusciremo a coinvolgere l'immaginazione dei nostri contemporanei. Non credo che l'ateismo ci offra tanto una sfida intellettuale, quanto piuttosto una sull'immaginazione».

Così padre Timothy Radcliffe, teologo domenicano molto apprezzato, racconta la sfida della nuova evangelizzazione, in un recente intervento alla Pontificia Facoltà Teologica “San Bonaventura” Seraphicum

Mi viene in mente il "battesimo dell'immaginazione" di cui parla padre Antonio Spadaro nel suo "Svolta di respiro. Spiritualità della vita cristiana". Ne scrivevo già qui: "La conversione, per essere profonda, deve toccare non solo i gesti e i pensieri ma anche l'immaginazione", altrimenti la fede "rischia di divenire rachitica, flebile" (oppure ideologica, appena appena riprende fiato e si galvanizza). Altrimenti, aggiungerebbe Radcliffe, non riusciremo a raggiungere il cuore degli uomini, non riusciremo a farci capire veramente, non riusciremo a trasmettere la fede.

Per immaginazione, secondo Spadaro, dobbiamo intendere il fare creativo, lo sguardo di stupore sul mondo capace di farsi racconto ed espressione artistica.

Similmente padre Radcliffe, per spiegare la sua "teoria" dell'immaginazione cristiana, non espone una teoria ma porta un esempio, "perché l'immaginazione cristiana dimora nel particolare" (come l'immaginazione poetica, del resto). L'esempio di un'opera artistica, un film, un racconto cinematografico recente che ha avuto un grandissimo successo di critica e di pubblico, soprattutto in Francia: Des Hommes et des dieux; in italiano, Gli uomini di Dio.

Il motivo del successo è nella forza della storia e del racconto, che ha per protagonisti uomini particolari - dei monaci, vissuti in una comunità particolare, in un contesto particolare - l'Algeria degli anni Novanta. Il tutto raccontato con un realismo e una precisione (da un regista non credente), che non ridimensionano piuttosto esaltano la luminosità (e la specificità cristiana) di quella testimonianza e di quel martirio. Nessuna edulcorazione, nessuna retorica, nessuna semplificazione (come invece in tanta produzione cinematografica pseudo-religiosa).

Ancora padre Radcliffe: "Le esigenze della vita cristiana non possono essere comunicate letteralmente, come una teoria astratta... Dobbiamo scoprirne la verità immaginativamente. Dobbiamo fare un viaggio verso l'illuminazione... La trasmissione della fede è come l'accensione successiva di fuochi di segnalazione... La trasmissione è sempre creativa e artistica".

Perché l'evangelizzazione fatica a seguire questa strada? Perché la riflessione e la produzione culturale di segno cattolico è più di carattere ideologico (morale, apologetico) che artistico? Perché così pochi capolavori?


mercoledì 28 dicembre 2011

Vieni sempre


Non essendo riuscito a scrivere, quest'anno, il mio consueto post natalizio, recupero segnalando le citazioni più belle contenute nei biglietti di auguri che mi sono arrivati, per posta elettronica o tradizionale. Vien fuori anche da qui, alla fine, una piccola rappresentazione del mistero del Natale nella quale mi riconosco.

Inizio con una citazione pittorica. E' la splendida Natività mistica di Sandro Botticelli, ultimo capolavoro dell'artista fiorentino realizzato nel 1501, e conservato alla National Gallery di Londra. Il tema della nascita del Cristo è associato a quello della sua Seconda venuta, che riconcilierà cielo e terra.

L'avvento del Figlio di Dio è colta nella sua portata storico-messianica dal poeta francese Charles Péguy:

"Si può dire che nel mondo romano era tutto pronto, che tutto era pronto a partire, tutto era come allestito, realmente allestito... affinché il mondo moderno partisse allora, invece di oggi; si trattava dello stesso disordine dello stesso tipo di disintelligenza. Era tutto preparato. Ma venne Gesù. Doveva fare tre anni. Fece i suoi tre anni. Ma non perse i suoi tre anni, non li usò per frignare e per invocare i mali dei tempi. Eppure c'erano i mali dei tempi, del suo tempo. Arrivava il mondo moderno, era pronto. E lui tagliò corto. Oh, in modo molto semplice. Facendo il cristianesimo. Mettendoci in mezzo il mondo cristiano. Non incriminò, non accusò nessuno. Salvò. Non incriminò il mondo. Salvò il mondo".

Il Figlio dell'Uomo, l'Uomo Nuovo, nasce continuamente e misteriosamente "nel corso di una storia mai compiuta". Ce lo ricorda Mons. Pierre Claverie, vescovo di Orano (Algeria), ucciso il 1° agosto del 1996:

Gesù che nasce a Betlemme ci apre il cammino di umanizzazione offerto a tutta l’umanità. E ci capita di assistere, meravigliati, nel corso di una storia mai compiuta, alla nascita di uomini e donne secondo lo Spirito di Dio, in tutte le culture e in tutte le religioni, compresa la nostra, che non ha ancora fatto cadere tutte le sue maschere per far apparire il volto di Cristo. Infatti, i tratti dell’umanità nuova li abbiamo visti nel Verbo fatto carne. E adesso li riconosciamo nei cercatori di umanità (e non in quelli che la possiedono), negli affamati di giustizia e verità (e non nei tutori dell’ordine), nei miti, nei misericordiosi e negli artigiani di pace (e non nei signori della guerra)… Natale è, per noi, il segno dell’avvento dell’uomo nuovo, del Figlio di Dio, primogenito di una moltitudine di fratelli. È solo in lui che dobbiamo ormai riporre la nostra speranza.

Speranza che si fa invocazione accorata nei versi di David Maria Turoldo:

Vieni di notte
ma nel nostro cuore è sempre notte: 
e dunque vieni sempre, Signore. 


Vieni tu che ci ami: 
nessuno è in comunione col fratello
se prima non è con te, Signore. 


Vieni, Signore. 
Vieni sempre, Signore.


giovedì 7 aprile 2011

Mi ci è voluta tutta la vita


Ci ho messo una carriera per imparare a non recitare.

Titolo di un articolo sul magazine del Corriere della Sera - Sette - dedicato a Giorgio Albertazzi, 88 anni, 60 passati sul palcoscenico. Paradosso che richiama quello famosissimo di Picasso: "Ho impiegato una vita per imparare a dipingere come un bambino".

Un richiamo che Albertazzi fa esplicitamente: "Parafrasando Pablo Piccaso - dice al giornalista - che affermava di aver impiegato quattro anni a dipingere come Raffaello e tutta la vita per imparare a disegnare come un bambino, io potrei dire: mi ci sono voluti un paio d'anni per imparare a recitare come Ricci o Benassi, i grandi attori dei miei tempi, e mi ci è voluta tutta la vita per imparare a non recitare più".



lunedì 21 marzo 2011

Scultore mancato


«Io non so se lavoro per realizzare qualcosa oppure per scoprire il motivo per cui non riesco a fare quello che vorrei».

Alberto Giacometti, "scultore mancato". Citazione tratta da una sua video-intervista e riportata da Giuseppe Frangi nel suo Robe da Chiodi.





lunedì 31 gennaio 2011

Chromo sapiens


L'uomo è creativo per definizione (…) Tutti siamo creativi (…) Siamo tutti artisti” (Pablo Echaurren).

Questa domenica mi sono regalato la visita alla mostra di un artista davvero incredibile, che per mia ignoranza non conoscevo (devo ringraziare della segnalazione Giuseppe Frangi, condirettore del settimanale Vita ma soprattutto grande appassionato d’arte).

Si chiama Pablo Echaurren, italiano e romano – malgrado il nome (è figlio di un grande artista cileno) – , pittore, scultore, illustratore, fumettista e tanto altro.

La mostra, a Roma, in via del Corso (Fondazione Roma Museo, Palazzo Cipolla), si intitola Chromo sapiens. Una scelta assolutamente coerente con il carattere fondamentale di tutta l’opera di Echaurren, che potrebbe essere raccontata come una continua e irrefrenabile esplosione di colori, espressione di una intensa vitalità che pervade "elettrizzandola" ogni creazione.

Surrealismo, dadaismo e futurismo (ma anche gotico e barocco) sono le matrici culturali di questo autore capace di una semplicità di linguaggio, di una immediatezza espressiva e di un estro ludico (ironico) che rendono il suo simbolismo visionario “giocoso e insieme esplosivo”, (“si fa fatica a capire – scrive Frangi – se quelle che si presentano con i loro colori violenti sono immagini di una festa scatenata o avvisaglia di un apocalissi”).

Il surrealismo di Echaurren – ed è questa probabilmente la sua forza - si mantiene “profondamente fedele e leale verso la realtà che lo circonda”. E’ insieme concreto e visionario, ricco di simboli e zeppo di “oggetti” (si capisce che l’autore è stato ed è un collezionista). Nelle sue tele c’è la città di Roma (a cui è dedicata la prima sala della mostra) raccontata attraverso le sue cupole, i suoi obelischi, il colosseo (La grande cipolla); c’è la natura (insetti, animali, foglie, piante); c’è la musica rock e i suoi strumenti. “Una grammatica visiva – scrive ancora Frangi – che ha insieme qualcosa di profondamente arcaico (teschi, mostri mitologici) e di assolutamente contemporaneo”.

La consapevolezza della morte ci condanna alla vita, dice il titolo di una delle sue opere. Vita e morte danzano nelle opere di Pablo Echaurren quasi rincorrendosi. Ma la vita – nell’esplosione dei colori e delle forme - è sempre un passo avanti.



(In alto: Finché morte non ci unisca, immagine simbolo della mostra)




lunedì 22 marzo 2010

Un volto buono


Non posso certo dirmi un esperto d'arte contemporanea, tanto meno di scultura. Eppure queste sculture di Davide Calandrini, a me sconosciuto fino ad oggi, mi sento di consigliarle.

Il video è artigianale, come artigiano è il mestiere di Davide, ma questo credo sia oggi un pregio, e non certo un difetto. I suoi volti e i suoi corpi sono lavorati con amore, cura e passione. Sono i volti e i corpi di ciascuno di noi, scolpiti in un momento qualsiasi del nostro infinito e quotidiano e misterioso esistere.

"Questi volti - scrive Marco Guzzi presentandoli sul sito Darsipace - comunicano una densità umana raramente riscontrabile nel casermone contemporaneo dell’arte, ricco di pagliacciate, di astrazioni concettuali, e, appunto, di brutali disumanità. Qui invece l’umano ritrova una misura, un volto, fatto di dolore e di pace, di sbigottimento e di dolcezza infinita, e specialmente di apertura all’infinito: questi volti sono sempre ri-volti a qualcosa che verrà, che ci sta già raggiungendo, e che a volte intravediamo tra lo stupore e la gioia".

Il video dura 6 minuti. Prendeteveli, se potete, e godeteveli, "con cuore estatico e pieno di bontà"







martedì 8 gennaio 2008

Sulla soglia della luce


Sono andato a vedere nei giorni scorsi la mostra al Palazzo delle Esposizioni dedicata al pittore statunitense Mark Rothko. Spinto soprattutto dalla lettura di un bell'articolo di presentazione su Civiltà cattolica a firma di Antonio Spadaro, e intitolato evocativamente "Un pittore sulla soglia della luce".

L'arte, secondo le parole dello stesso pittore, è la "capacità di vedere cose ed eventi come se apparissero (...) per la prima volta, liberi dai sedimenti dell'abitudine e dalle convenzioni". E proprio Rothko, secondo Spadaro, è stato artista capace di aprire "nuove visioni".

I quadri di Rothko, quelli del suo periodo maturo, quelli per i quali è famoso nel mondo, non contengono figure. Sono macchie, nuvole di colore. Ma Rothko ribadiva sempre di non essere un pittore astrattista. Per lui le macchie hanno "la concretezza pulsante di carne ed ossa". Ma allora perché non figure umane o figure del mondo che ci circonda? Perchè "l'identità familiare delle cose va ridotta in polvere", scrive Rothko nei suoi appunti, per aprire la tela a quella esperienza trascendente, senza la quale l'arte sprofonda nella "malinconia". Commenta Spadaro: senza una trascendenza è proprio questo, dunque, il sentimento che regna sovrano sulla vita dell'uomo: la malinconia.
(Foto Flickr, Creative commons, Daquella manera, Rothko)