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mercoledì 25 novembre 2020

Rompere la diga

Ultimo dei tre Diari di Julien Green, gli anni dal 1940 al 1943. La guerra è iniziata. La Francia è occupata dai tedeschi. L'autore vive esule negli Stati Uniti. Il ricordo di Parigi e le sorti del suo Paese saranno al centro di ogni suo pensiero. 

Nostalgia, preoccupazione, angoscia e disperazione i sentimenti dominanti. Ma insieme, con ancora più insistenza rispetto ai precedenti Diari, la certezza della volontà di Dio che misteriosamente si compie. 

Un libro di grande intensità, con molte pagine e appunti memorabili, che rivelano veri tesori poetici e spirituali, da custodire e meditare. 

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Non a tutti è concesso di spogliarsi come è accaduto a me e talvolta è un grande, un tremendo favore quello di vedersi strappati a ciò che si possiede

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Ieri la felicità è entrata all'improvviso, come un tempo, ed è rimasta un istante nel gran salotto silenzioso e buio. Stavamo in piedi dinanzi a una finestra e guardavamo la pioggia che tesseva il suo velo nel cielo offuscato, e ho sentito che, nonostante quello che ci gridano i giornali, ho sentito che la felicità era vicina, umile come una mendicante e magnifica come una regina. Essa è sempre lì (ma noi non ne sappiamo niente) che bussa alla porta, perché le si apra, ed essa possa entrare, e mangiare con noi.

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L'ordine vero è fondato sulla preghiera, tutto il resto non è che disordine (più o meno ben mascherato) [...] Tutto ciò che viene edificato su qualcos'altro è destinato a crollare presto o tardi nel fango insanguinato. 

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La Bibbia contiene per ognuno di noi un messaggio cifrato. È la fede che ci dà la cifra. 

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Non c'è verità né assoluto che nell'invisibile.

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Tutto è perduto, ma tutto è guadagnato. All'estremo punto della disperazione ricomincia la speranza che conduce sino alle stelle. 

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Non c'è più pace se non nella preghiera. I pochi minuti che noi concediamo a Dio sono come una fortezza in cui ci rifugiamo e ove possiamo star certi che il secolo non ci raggiungerà. 

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Dipendiamo talmente gli uni dagli altri che nulla è proprietà di ciascuno di noi, ma, come ogni gioia ci è comune, così ogni dolore

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Noi siamo fatti di tutto ciò che vediamo e ascoltiamo, di tutto ciò che leggiamo e crediamo. Il nostro corpo, di tutto ciò che mangia. Così l'anima che, a suo modo, mangia anch'essa. 

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Soltanto dopo morti sapremo ciò che voleva significare la nostra vita

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Quanti leggono e scrivono non per conoscere la verità, ma per accresce il loro piccolo io! 

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La parola umana [...] spesso è così inferiore a quanto si propone di esprimere che ci si domanda che non sia questa una delle conseguenze dalla Caduta [...] La vera parola, la parola delle parole, si scopre soltanto nel cuore del silenzio

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Hitler può distruggere le città e scacciarci da casa nostra, ma non può uccidere la gioa soprannaturale che viene dall'alto. 

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Niente invecchia più un uomo di un pregiudizio. 

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Una biblioteca è il punto di confluenza di tutti i sogni dell'umanità. 

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Certo cattivo gusto è infinitamente da preferire all'insipido e timorato buongusto che regna nella maggio parte delle case borghesi. 

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Si muore con la testa piena di bei testi e il cuore assolutamante vuoto. 

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Il segreto di una grande opera non consiste in altro che nella forza irresistibile della verità. 

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Ogni vita umana è una meraviglia di complicazione, i cui particolari sono appena avvertiti soltanto da colui che tiene un diario, e il cui segreto non è mai conosciuto da altri che da Dio. 

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È più facile organizzare eserciti e vincere la Francia che dipingere una tela di Renoir. 

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Sfogliando dei libri sulla preghiera mi sono detto che il miglior libro sulla preghiera si legge in ginocchio, a mani giunte e a occhi chiusi. 

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Ogni vera gioia come ogni vera tristezza ci viene dal didentro. Il mondo esteriore con le sue illusioni deliziose e terrificanti non può che gettarci nell'agitazione e impedire che ci si ritrovi. Bisogna cercare la strada che conduce verso la parte più intima di noi stessi se vogliamo gustare la pace che supera ogni intendimento. 

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Soltanto la Bibbia è eternamente giovane, come un torrente di montagna che rotola da migliaia di anni. 

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C'è un giorno dell'anno che sarà per ognuno di noi, che, da sempre, è già la porta buia attraverso la quale si andrà a Dio per sempre. Com'è che si passa tante volte davanti a questa porta senza nessun presentinento? 

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Ci si meraviglia a vedere quanto siano scarsi gli uomini che hanno il senso della poesia, non voglio dire il senso della poesia verbale, che del resto è infinitamente raro, voglio dire il senso della poesia senz'altro, la poesia della vita. Un signore che tiene sempre l'orecchio attaccato al ricevitore del telefono non sa che farsene della poesia [...], non ne ha il tempo. Ma un uomo che va in chiesa e che prega introduce nella propria vita il soprannaturale. Proprio per questa ragione io vedo nella Chiesa il rifugio dei poeti

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Il maggiore esploratore su questa terra non fa viaggi più lunghi di colui che scende in fondo al proprio cuore e si china sugli abissi dove il volto di Dio si specchia tra le stelle. 

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Introdurre il soprannaturale nella propria vita, rompere la diga che ci protegge dal l'Oceano, da Dio, significa voltarsi a una tragedia senza nome. In realtà tutta l'educazione moderna tende ad amarci contro lo spirituale. Per aver pace, per stabilire un equilibrio durevole (ma quale pace e quale equilibrio?) ci insegnano a sventare tutti gli stratagemmi di quel perpetuo assediatore che è Dio. Noi gli opponiamo un invincibile tepore, ma, per poco che si ceda su un punto, il cielo intero coi suoi golfi e i suoi milioni di astri si scaglia dentro di noi. Combattuto tra l'incanto e il terrore, il mistico si sente condotto per mano, poi bruscamente abbandonato nel cuore della notte. La sua vita quotidiana prende un senso nuovo e profondamente misterioso per il solo fatto che il caso ne viene eliminato. Tutto quello che accade è voluto, [..] niente è fortuito, Dio è dappertutto. Ma che sappiamo noi di Dio, di ciò che vuole, di ciò che pensa? Le civiltà scompaiono l'una dopo l'altra ed egli sta in silenzio. Forse egli è più incomprensibile all'uomo di quanto l'uomo non sia incomprensibile alla formica o all'ape [...]. Tuttavia Dio vuole entrare in comunicazione con noi in quella dimora segreta che è la sottile cima dell'anima e vuole che noi l'amiamo. Queste verità sono talmente rifritte nel nostro mondo pseudo-cristiano che si esita a enunciarle ancora una volta [...]. Si dice: Dio ci ama. E v'è in ciò di che diventar pazzi

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Dio non parla ai chiacchieroni

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A coloro che leggono troppo, si potrebbe dire che Dio non li interrogherà su quello che avranno letto e che essi confondono il Giudizio Universale con la laurea.

(Il primo e il secondo Diario di Julien Green) 

sabato 17 ottobre 2020

La morte non esiste


Secondo volume del Diario di Julien Green, dal 1935 al 1939 (Arnoldo Mondadori Editore, 1946), traduzione di Libero de Libero.

Non so più molto bene come potrà durare la pace [...] Tutto quello che amiamo è in pericolo. 

Siamo negli anni precedenti la seconda guerra mondiale. Non mancano i segnali che sembrano annunciare l'imminente catastrofe.

Lo scrittore passa giornate felici e memorabili in Italia, a Roma: È ridicolo non essere completamente felici qui, scrive. Tanta bellezza mi stordisce

Green viaggia molto e annota nel Diario da una parte le sue esperienze culturali e intellettuali (film, teatri, musei, libri), dall'altra le sue riflessioni e impressioni più intime, che nascono dalle occasioni più semplici e quotidiane, intorno a un tavolo in sala da pranzo. 

28 ottobre. Stavamo seduti tutt'e cinque intorno a un tavolo in sala da pranzo. Un fuoco di ciocchi bruciava nel caminetto e faceva così buio che avevamo dovuto accendere le lampade, benché fossero appena le due del pomeriggio. Eravamo in cinque e ridevamo e io ho sentito d'un tratto che eravamo molto più numerosi, che la nostra allegria aveva attratto tutti coloro che mancano: mio padre, mia madre e le due sorelle che ho perduto; si sono seduti accanto a noi e ci hanno fatto compagnia sino alla fine del pasto, ridendo insieme con tutti noi. Ho avuto un momento di grande felicità, un senso di sicurezza profonda, ma non ho osato farne parola. 

Il sentimento di sicurezza profonda, che supera l'angoscia, sembra provenire all'autore da un altro mondo. 

30 dicembre. Da qualche anno in qua mi sono staccato da una quantità di cose. Mi sento talvolta come un uomo in barca. La barca s'allontana dalla riva. Vedo ancora la terra e i suoi fiori, le case, tutto quanto essa ha di bello e di buono da offrirmi, ma di tanto in tanto una possente remata m'allontana un po' da tutto ciò. Provo allora una leggera angoscia seguita da un sentimento di sicurezza profonda. L'altro giorno, ascoltando musica, ho provato l'impressione deliziosa della vicinanza d'un altro mondo. Dietro il velo impalpabile esso è lì, il mondo della verità, quel regno di Dio che m'imbarazzava talmente quand'ero ragazzo. 

Green inizia a studiare l'ebraico e prende a leggere la Bibbia, che lui considera un testo poetico, nella lingua originale. La sua fede, non confessionale (tristezza di sentirsi lontani da tutte le Chiese), si misura e si rivela nelle sue riflessioni sulla morte, oniriche e visionarie. 

Dieci giorni fa ho sognato di correre su una strada sommersa. Mi vedevo da lontano; avevo l'aria di correre nell'acqua. La luna brillava, rischiarando un meraviglioso paesaggio d'inverno, e il cuore mi batteva di gioia. Provavo quel senso di libertà che deve darci la morte, quando ci siamo sciolti dal corpo fisico. 

[...] 

C'è in me un gran desiderio di conoscere la verità, ma è un'avventura che richiede molto coraggio. Se mai io giunga a conoscere questa verità, la farò condividere da tutti coloro che amo. Verrà il giorno in cui saremo pronti. Sapremo finalmente tutti che la morte non esiste, che la morte è un incubo inventato dall'ignoranza, e noi staremo insieme per sempre. 

[...] 

Ho finito col credere che la morte non esiste, che non c'è se non un lungo svolgimento della vita attraverso i secoli, che l'annientamento del corpo è una liberazione, che il nascituro immagina di morire perché si stacca dal ventre materno e che la stessa confusione si verifica nella nostra mente nel momento in cui rendiamo l'ultimo respiro. 

Anche la musica, l'arte, la bellezza sono la strada privilegiata per entrare in contatto con quella parte segreta di noi stessi che il mondo ci nasconde, forse con Dio

8 novembre. Se si sapesse soltanto che il cielo intero sta tutto nel nostro petto e che l'Eterno riposa in noi, che la voce dell'universo ci parla in ogni momento, nel mormorio della pioggia, nel canto d'un uccello, in qualche segno tracciato da un artista su un quadratino di carta, in un preludio di Bach... Solo i sordi e i ciechi traversano la vita senza essere oppressi dalla sua bellezza che senza posa scaturisce. 

Ma forse è la gioia, imprevista e immotivata, la principale finestra attraverso cui Green si affaccia sul mistero. Occorre trovarsi là, al momento buono, dove passano le vaste correnti di gioia che attraversano l'universo. 

La notte scorsa sono andato a spasso per la strada. Guardando il cielo stellato, ho provato una gioia profonda tanto che le parole di cui potrei servirmi la tradurrebbero male. Mi sono fermato in preda a una felicità misteriosa della quale non è possibile parlare. M'è sembrato che, dolcemente, la finestra s'aprisse un po'. Deve essere così quando si sta per morire, quando il corpo non soffre più e l'anima sta sulla soglia della morte. 

Green riconosce la stessa indescrivibile felicità sul volto dei mistici che legge e che ama. 

Dite, che avete visto? È la domanda che l'umanità credente rivolge ai mistici sollevati nelle loro estasi. Ma non c'è quasi un contemplativo che non ritorni dalle regioni spirituali con altro che non sia un balbettío di labbra. Quanto hanno visto non si esprime in lingua alcuna. Soltanto il loro volto conserva qualcosa del raggio che li ha illuminati. Nessuna angoscia. Una felicità indescrivibile attende gli amici di Dio.


sabato 10 ottobre 2020

Bruttezza stupenda

Leggendo il Diario di Julien Green (1935-1939) mi imbatto in questa sua considerazione sul dipinto di El Greco La resurrezione di Cristo (1597).

Alla mostra del Greco, a lungo guardato il quadro che rappresenta Cristo con la testa circondata da una losanga di luce. È un Cristo da visione e tal qual è fa quasi paura; i suoi capelli spartiti in mezzo alla fronte, lo sguardo un po' strabico dei suoi grandi occhi neri, il suo naso di sbieco, tutto me lo rende affascinante e inquietante insieme. È bello o brutto? Egli è bello di una bruttezza stupenda, e sotto i lineamenti irregolari c'è qualcosa di vero che mi turba.

Di che bellezza stiamo parlando? Non è un fatto solo fisico, ovviamente, né solo estetico ciò che osserva lo scrittore. Qui Green sta intercettando nel Cristo, attraverso l'arte, una bellezza ulteriore, una bellezza che turba, che spaventa, che deve pagare il prezzo anche della bruttezza, dell'imperfezione, per diventare più vera, più bella, bellezza perfetta, "stupenda bruttezza".


domenica 20 settembre 2020

L'essenza della rosa

Buttate pure via
ogni opera in versi o prosa. 
Nessuno è mai riuscito a dire
cos'è, nella sua essenza, una rosa. 

Il libro di Andrea Marcolongo che ho appena ricevuto per regalo - Alla fonte delle parole. 99 etimologie che ci parlano di noi (Mondadori, 2019) - promette benissimo iniziando con questa citazione di Giorgio Caproni, che apre immediatamente mille riflessioni. 

Le parole, anche le migliori parole, non possono svelare il mistero delle cose, o almeno non posso svelarlo tutto, non possono esaurirlo. L'essenza delle cose è inesauribile, sfugge alle pretese di oggettivizzazione del linguaggio e del pensiero umano, soprattutto del pensiero maschile

"La rosa è senza perché" scriveva il mistico Angelus Silesius nel Seicento. 

È una verità che i poeti conoscono da sempre, almeno i veri poeti, e non ha nulla a che vedere con il romanticismo stucchevole della rosa (vale anche per il cactus), ma con la relazione vitale tra l'uomo e la realtà, mediata attraverso il linguaggio, la parola, e il silenzio. Una relazione mai scontata (pena la consapevolezza dell'umano), che può assumere i tratti della ricerca, dell'inseguimento, della seduzione o della "costante colluttazione", come osserva Marcolongo nella sua intensa introduzione sul valore militante e resistente dell'indagine etimologia ("De-costruire una parola per ri-costruirci come esseri umani", scolpito). 

Ma c'è un tratto di questa relazione che mi ha colpito ulteriormente, e vi ho accennato con l'aggettivo maschile usato più sopra per descrivere le pretese dello sguardo oggettivizzante o totalizzante sulla realtà. 

Per spiegare l'approccio del suo libro sulle parole, infatti, l'autrice cita come modello la grande grecista francese Jacqueline de Romilly, autrice a sua volta di un libro intitolato suggestivamente Nel giardino delle parole. "Il suo sguardo", commenta Andrea Marcolongo, non era "mai giudicante ma sempre meravigliato".

Associo istintivamente questa frase a un'altra appena letta in una recente, interessantissima, intervista della giornalista Roberta Scorranese alla psicologa femminista Silvia Vegetti Finzi, che dice a un certo punto, quasi incidentalmente: "Lo sguardo maschile è sempre giudicante". 

C'è dunque qualcosa di specificatamente e provvidenzialmente femminile nello sguardo (poetico) che sa penetrare la realtà delle cose (e delle persone), ma senza giudicarle, senza pretenderle di conoscerle interamente, definitivamente, di possederle dunque, di esaurirle e consumarle, ferirle e violarle. 

Lo sguardo del poeta sa che persino "dando un nome alle cose, si rischia di ferirle in mezzo al cuore con un colpo irrimediabile" (J. Green, Diario, 1928-1934).

Svelare la realtà è sempre una ri-velazione, un riconoscerne il mistero di cui è continuamente rivestita. 

(Il rosone della cattedrale Notre-Dame di Parigi) 


venerdì 18 settembre 2020

La felicità all'improvviso

Dopo Leviatan, letto il primo dei tre Diari (Journal) di Julien Green, contenente le sue annotazioni personali dal 1928 al 1934.

Il volume, di circa 200 pagine, veniva pubblicato nel 1946 in Italia da Arnoldo Mosca Mondadori, nella collana Arianna, dedicata al "filo" (illustrato anche in copertina) della memoria.

Nella prefazione, il traduttore Libero de Libero scrive che Green si aggira nelle sue pagine "nei dintorni di Emmaus", come nell'episodio evangelico, per quel suo racconto faticoso e lento ma "fecondo di rivelazioni".

Ci sono nei Vangeli - si legge nel Diario - molte parole oscure e quello che noi capiamo di quei libri, quello che capiamo con tutto il cuore, si riduce probabilmente a qualche versetto. Ma io credo pure che alcune chiese ritenute eterne dovranno scomparire e farsi dimenticare prima che tutte le parole di Cristo trovino il loro compimento.. 

Le rivelazioni di Green, improvvise, riguardano molte volte e sorprendentemente l'esperienza della felicità: il nostro non può dirsi certo, infatti, un autore allegro o spensierato. 

Sono felice, ma in un modo inesprimibile

... 

Mi sentivo così felice che ne ridevo da solo, a letto. 

... 

Non si racconta la felicità, ma ci sono momenti in cui essa s'insedia in noi, senza ragione apparente, nel cuore d'una malattia, o durante una passeggiata attraverso i prati, o in una stanza buia in cui ci si annoia; d'improvviso ci si sente assurdamente felici, felici da morire, allo scopo di prolungare all'infinito quell'istante straordinario. 

... 

All'improvviso ho sentito la presenza indescrivibile della felicità

Eppure non sono certo anni felici quelli vissuti e raccontati nel Diario. Ricorrente è il pensiero cupo e presago sulle sorti dell'Europa negli anni a venire.

1931. La visita di M. m'ha depresso. Secondo lui, il mondo è vicino alla fine, che dico, noi già scivoliamo nell'abisso (...) Se la guerra non si farà, s'incaricherà la rivoluzione di annientarci. Tutto sta per crollare. La Germania si butterà forse in una guerra senza speranza, per una specie di suicidio...

... 

1934. Nell'Europa del 1934 l'assassinio chiama l'assassinio con una forza irresistibile. Fin dove si può arrivare senza che la guerra scoppi? 

Ricorrente è il tema della morte, legato a quello della memoria

Morire...vuol dire lasciar per sempre il mondo del ricordo e la morte mi si presenta prima d'ogni altra cosa come una perdita assoluta e definitiva della nostra memoria. 

... 

Quando penso a tutta la parte della mia vita che è già scomparsa interamente dalla mia memoria, tremo come si trattasse d'una morte parziale dell'esser mio. 

Ma la morte può essere anche, sorprendentemente, una specie di liberazione

Come dire la bellezza del mondo? Ci sono giorni in cui ne sono oppresso come da un peso enorme. Sotto tutti gli aspetti, essa mi rapisce. Un tempo, né partivo così vivamente che la morte mi appariva (orribile a dirsi) come una specie di liberazione dalla gioia...

O ancora, la morte è il più bello dei paesi lontani. 

Anche la verità è una rivelazione, quasi impossibile, in un tempo così oscuro. 

Diventa impossibile, dopo aver abusato a lungo delle parole, far dire ad esse la verità.

... 

Tutto mi pare vano e falso, salvo alcuni dipinti, qualche pagina di musica e qualche poesia.

... 

Tutto è altrove. Nulla è vero se non il dondolarsi d'un ramo nel cielo.
 
La rivelazione della verità è l'amore.

Nel caos di illusioni in cui siamo cacciati, una sola cosa rimane vera: l'amore. Il resto è nulla.

... 

Spesso, pensando alla morte, mi dico che sarà come un risveglio. Ci sarà qualcuno che mi dirà: "Ebbene, hai visto cos'era? Che ne pensi? Non valeva la pena d'aver paura" . E m'interrogheranno come s'interroga un viaggiatore. Ma io non mi ricorderò che dell'amore.

domenica 12 luglio 2020

Leviatan, la malvagità del destino

Non esiste, il caso. Esiste solo la malvagità del destino. E le sue perfidie, preparate di lunga mano, hanno un'apparenza fortuita solo perché ce ne sfugge la parte segreta.

È lui, il destino, il protagonista del romanzo di Julien Green intitolato Leviatan, pubblicato nel 1929. Il romanzo che Hermann Hesse diceva di aver letto almeno una decina di volte.

"Come nella tragedia antica - scrive Pietro Citati - Leviatan è dominato da una forza alla quale siamo costretti a dare il nome di destino".

Quella forza misteriosa è il leviathan, animale biblico e mitologico che richiama il caos primitivo e una necessità malvagia. Quella sensazione di un'impari lotta tra lui e una forza misteriosa, scrive Green di uno dei suoi personaggi. Può darsi che a volte noi ci serviamo di forze a noi ignote e che, approfittando del disordine in cui ci getta il furore, essendo sostituiscano a noi e dirigano i nostri gesti.

Leviatan racconta una storia apparentemente "borghese", ambientata nella piccola provincia francese degli anni trenta del Novecento. Mi colpisce che l'anno di pubblicazione sia lo stesso degli Indifferenti di Alberto Moravia, il romanzo per antonomasia, in Italia, della meschinità borghese del secolo XIX.

Eppure con Green ci muoviamo in una dimensione ulteriore, il mondo della tragedia e del mito. "Le figure di Green non sono affatto moderne", scrive il filosofo Walter Benjamin nella prefazione dell'edizione Longanesi. Sono "rigide come i personaggi mascherati dei tragici". "Nei loro gesti vivono antichissimi sovrani, delinquenti, ossessi". 

"Green non descrive le persone - continua il filosofo - le rende presenti in certi momenti fatali". "La distanza di Green dal comune romanziere sta tutta nella distanza che separa rendere presente da descrivere".

I suoi personaggi sono apparizioni e i loro gesti accadono come segnati da tragica fatalità (deità spettatrici di una tragedia), in un precipitare di sciagura in sciagura, di passione in passione, in un contesto abitato da dolore, sofferenza, orrore, distruzione psicologica e inevitabilmente fisica. "Il destino visita le sue figurale come una malattia".

Il pensiero che la felicità, la sua felicità era da qualche parte nel mondo e che egli non ne sapeva niente, lo faceva andare fuori di sé.

C'è uno strano piacere nel toccare il fondo della disperazione.

Per la prima volta in vita sua, forse, ebbe l'intuizione della gioia che un'anima generosa prova a fare del bene. E la tristezza le ritornò in cuore come il mare riaffluisce su una spiaggia.