domenica 12 luglio 2020

Leviatan, la malvagità del destino

Non esiste, il caso. Esiste solo la malvagità del destino. E le sue perfidie, preparate di lunga mano, hanno un'apparenza fortuita solo perché ce ne sfugge la parte segreta.

È lui, il destino, il protagonista del romanzo di Julien Green intitolato Leviatan, pubblicato nel 1929. Il romanzo che Hermann Hesse diceva di aver letto almeno una decina di volte.

"Come nella tragedia antica - scrive Pietro Citati - Leviatan è dominato da una forza alla quale siamo costretti a dare il nome di destino".

Quella forza misteriosa è il leviathan, animale biblico e mitologico che richiama il caos primitivo e una necessità malvagia. Quella sensazione di un'impari lotta tra lui e una forza misteriosa, scrive Green di uno dei suoi personaggi. Può darsi che a volte noi ci serviamo di forze a noi ignote e che, approfittando del disordine in cui ci getta il furore, essendo sostituiscano a noi e dirigano i nostri gesti.

Leviatan racconta una storia apparentemente "borghese", ambientata nella piccola provincia francese degli anni trenta del Novecento. Mi colpisce che l'anno di pubblicazione sia lo stesso degli Indifferenti di Alberto Moravia, il romanzo per antonomasia, in Italia, della meschinità borghese del secolo XIX.

Eppure con Green ci muoviamo in una dimensione ulteriore, il mondo della tragedia e del mito. "Le figure di Green non sono affatto moderne", scrive il filosofo Walter Benjamin nella prefazione dell'edizione Longanesi. Sono "rigide come i personaggi mascherati dei tragici". "Nei loro gesti vivono antichissimi sovrani, delinquenti, ossessi". 

"Green non descrive le persone - continua il filosofo - le rende presenti in certi momenti fatali". "La distanza di Green dal comune romanziere sta tutta nella distanza che separa rendere presente da descrivere".

I suoi personaggi sono apparizioni e i loro gesti accadono come segnati da tragica fatalità (deità spettatrici di una tragedia), in un precipitare di sciagura in sciagura, di passione in passione, in un contesto abitato da dolore, sofferenza, orrore, distruzione psicologica e inevitabilmente fisica. "Il destino visita le sue figurale come una malattia".

Il pensiero che la felicità, la sua felicità era da qualche parte nel mondo e che egli non ne sapeva niente, lo faceva andare fuori di sé.

C'è uno strano piacere nel toccare il fondo della disperazione.

Per la prima volta in vita sua, forse, ebbe l'intuizione della gioia che un'anima generosa prova a fare del bene. E la tristezza le ritornò in cuore come il mare riaffluisce su una spiaggia.


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