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martedì 19 aprile 2022

Destino di Cristo

Il 19 aprile 1943 inizia la rivolta del ghetto di Varsavia contro la soluzione finale che la autorità tedesche occupanti in Polonia intendono attuare secondo gli ordini di Himmler. 

La rivolta si conclude il 16 maggio 1943, gli ebrei uccisi nel ghetto in conseguenza della repressione della rivolta sono circa 13.000. 

Il ghetto è completamente raso al suolo e i suoi 42.000 abitanti superstiti sono dispersi in vari campi di concentramento.

A questo episodio la grande poetessa Elena Bono dedica una delle sue più belle, più "teologiche", scritta in quegli anni di guerra:


L’incendio di Varsavia

Quando, Varsavia, bruciano le tue mura, 

anche le nostre notti

sono piene di fiamme. 

Quando terribile brucia il tuo cuore, Varsavia, 

bruciano tutti i cuori, 

chiamano le tue campane

tutti a morire. 

Moriamo, moriamo, Varsavia, 

se all’uomo altro modo non resta 

di essere uomo. 

Cristo ogni giorno muore, ogni giorno risorge. 

Varsavia, destino di Cristo sopra la terra.


«Così deve essere nei nostri cuori», scriveva tanti anni dopo, nel 2013, commentando questa poesia: «Cristo ogni giorno muore, ogni giorno risorge. Ognuno di noi, destino di Cristo sopra la terra».

E suggeriva di rileggere la poesia, ascoltando le note dello “Studio Rivoluzionario” di Chopin.



All'episodio drammatico dell'assedio di Varsavia è dedicato anche quest'altro intensissimo testo letterario.

sabato 25 aprile 2020

Eravate i più belli

Le poesie più belle sulla Resistenza sono per me quelle di Elena Bono, poetessa, scrittrice, traduttrice, drammaturga, staffetta partigiana in Liguria. Ogni 25 aprile ne scelgo una. Questa è da Fiori Rossi:

SULLA TOMBA DI UN AMICO MORTO PER LA LIBERTÀ

I parenti che piangono e si confortano
vi hanno rinchiuso tra i marmi
nei cimiteri di città.
Ma voi siete rimasti sui monti.
Per voi ogni giorno ancora
le marce le imboscate
il vento sulla fronte ardente
il vasto resinoso fruscio delle foreste
il battere del cuore sopra lo sten puntato.
Ancora voi cantate
e i vostri canti inondano le valli,
per voi c'è ancora il ballo
con le fanciulle del paese
il vanto delle armi conquistate
il pianto sul compagno caduto.
A mezzanotte voi accendete i fuochi
per il lancio:
ecco, remoto dalle stelle un ronzio d’aeroplano,
i vostri occhi febbrili luccicanti,
le grida di richiamo.
E quegli interminabili discorsi
su un migliore destino del mondo,
quella meravigliosa attesa
che non andrà delusa.
Era a voi riserbato,
non al mondo, il destino migliore.
Gole squarciate dal gancio,
illividite dalla corda,
mani crocifisse
carni che mentre fiorivate
conosceste la morte più dura a morire,
ogni uomo umano
vi dovrà invidiare.
Troppo bello ubbidire ad una legge
che non fu mai scritta,
morire secondo il proprio cuore.
Voi siete corsi ai monti
e nessuno vi ha potuto fermare:
la libertà dimora sulle alte montagne,
difficile segreta maliosa creatura.
Eravate i più belli:
voi siete rimasti con lei.

domenica 12 aprile 2020

Piccolo Abu

E beati quelli da cui il Signore arriva così, senza che loro se l'aspettano e tutt'a un tratto se lo vedono in mezzo a loro. 

Il piccolo Abu, invece, il suo Signore lo aspettava da sempre, ogni giorno, specialmente a Pasqua. 

Sempre ho tenuto pronto per lui e per gli amici. Ma specialmente a Pasqua, vuoi che non preparo? Questa è casa sua, qui deve venire, [...] mi metto dietro la porta e sto lì a aspettare. 
"Tutta la notte dietro la porta?" 
"E dove se no?" 

Piccolo Abi è una perla, non so se la più bella, nella collana di racconti pubblicati per la prima volta nel 1956 da Elena Bono per Garzanti - Morte di Adamo e altri racconti - e ripubblicati nel 2016, 2 anni dopo la morte dell'autrice, dall'editore Marietti (che ha scelto di separare dalla collana un altro capolavoro che è La moglie del procuratore).

Elena Bono decidere di raccontare i fatti centrali del Vangelo attraverso figure minori o addirittura sconosciute, ricostruendo con l'immaginazione la realtà dell'incontro di ogni uomo, a suo modo, con il Mistero. Il Cristo non compare mai se non come figura muta, attesa, evocata. È un'assenza che riempie le pagine e lascia libero il campo al gioco drammatico della libertà.

Leggendo questi racconti, prima ancora di terminare la lettura, il critico letterario Emilio Cecchi sentì il bisogno di scrivere all'autrice "cento volte brava!". “È un libro bellissimo; ci sono cose magnifiche, nuove, intensissime [...] piene di talento e d'arte".

Piccolo Abi è la storia totalmente inventata dell'uomo con il secchio o la brocca d'acqua che Gesù manda a cercare per trovare il luogo dove preparare la Pasqua, la sua ultima cena. Il Vangelo non dice altro di lui, mentre Elena Bono immagina sia un vecchio servitore pazzo, rimasto da solo a custodire la casa del suo antico padrone, partito per un lungo viaggio e mai più tornato.

Da allora il vecchio, che non si arrende all'idea che il suo padrone e signore sia morto, prepara ogni anno il cenacolo per la Pasqua, con un calice d'oro al centro della tavola. 

La sua tenera follia, la sua innocenza e la sua fedeltà sconcerteranno i due discepoli (soprattutto il pragmatico Tommaso), ma saranno premiate dal Maestro, che giungerà sulla soglia di quella casa.

È il mio cuore che lo chiama, è il mio cuore che gli corre incontro.

venerdì 27 dicembre 2019

Vannella

Giurate di non aiutare i partigiani? In fila sul sagrato della Chiesa, davanti al plotone dei soldati tedeschi occupanti, tutta la gente del paese risponde di sì, anche il prete, che pure era il sospettato numero uno. 

Tutti tranne lei, Giovanna detta Vannella, la figlia del medico fascista del paese. Unica tra donne, vecchi e bambini mezzi morti di paura, rifiuta la solenne pagliacciata di giurar di non aiutare i partigiani, gli "schifosi della montagna". E riceve in cambio, dall'ufficiale tedesco, uno sputo in faccia.

D'accordo, sì, d'accordo, cos'è un po' di saliva rispetto al mare di sangue che ricopre la terra? Ma la guerra non è solo la catastrofe delle tante morti: è violazione della dignità morale dell'uomo.

Vannella è terrorizzata, ma davanti al comandante tedesco non parla e non giura. Quale potere di provocazione ha il suo silenzio. "Eppure ho visto Dio nel battere atterrito delle ciglia, in quel modo furtivo vergognoso, di asciugarsi la guancia contro la spalla. Dio in una forma che non sapevo. Come un uccello piccolo, il più piccolo e debole. Non l'aquila di Zeus. Forse non la potenza paurosa di Dio, bensì la debolezza del Divino riesce intollerabile a un mondo come questo".

In tutto il romanzo di Elena Bono (Come un fiume come un sogno), Vannella non pronuncia una parola, ma ne è la protagonista silenziosa. Non parla e quasi non compare, si nasconde, ma comunica con la sua "bellezza", la forza interiore di chi assume con determinazione cosciente il ruolo della vittima.

Sputacchiata da un ufficiale tedesco, sorvegliata come soccorritrice dei partigiani e infine deportata in campo di concentramento, la ragazza è - poeticamente - la figura dell'angelo (visiting angel) di cui parlano Eliot e Montale: creatura testimone (e martire) di quell'amore che supera ogni limite umano e apre la dimensione dell'Oltre, testimone di un altro ordine e di un'altra natura.





sabato 23 novembre 2019

Grandezza

Si può tornare ad usare, per un libro come questo, qualcosa di non più in uso per cose di tal genere, cioè di grandezza

Il romanzo, per opera di Elena Bono, torna sotto l'albero del bene e del male e affronta il radicale destino dell'uomo, in una forma che ricorda la tragedia classica o, in luce più moderna, Dostoevskij. 

Qui non si tratta di discutere dei meriti e delle caratteristiche di un'opera letteraria, ma di qualcosa di più impegnativo, della chiamata in causa della letteratura, e dell'arte in generale, come luogo primario della verità.  Non credo si possa avere con la letteratura un rapporto come quello che ha Elena Bono se non si crede a questa funzione originaria della letteratura come verità, come messa in discussione radicale del senso della vita e del destino dell'uomo.

Elio Gioanola, introduzione al romanzo di Elena Bono "Come un fiume, come un sogno" (Le Mani, 1985), primo volume della trilogia Uomo e Superuomo.

Già da sola, vale il libro.

lunedì 21 ottobre 2019

Come puoi sopportare

"Ti rendi conto di quello che dici?" insorse il vecchio concitatamente. "Come puoi sopportare questo pensiero? Giorno e notte e sempre. Che Dio è venuto e che lo abbiamo ucciso. Noi abbiamo ucciso Dio, Claudia. E sputato, vestito da pazzo... E tu puoi vivere con questa convinzione dentro, sopportare la vista degli uomini, di te stessa? Ma comprendimi... comprendimi... Gli animali non hanno ucciso Dio, le piante non hanno ucciso Dio. Noi noi..." 
Ella chiuse gli occhi. 
"Ma dimmi di no", gridò il vecchio, "dimmi che neppure tu ci credi. È una deformazione di fatti, come sola poteva venir fuori da quelle terre di esaltati. Devi convincerti, Claudia... Non c'è un fondamento... non c'è verosimiglianza. Noi abbiamo ucciso Dio?".
"Mediante doppia e regolare sentenza, Seneca", disse lei con voce atona. "Un tribunale religioso giudaico... un tribunale civile romano. Un Sinedrio formato tutto di persone molto rispettabili e un Procuratore... quel Pilato che hai ben conosciuto... che l'avrà tante volte invitato a pranzo... un uomo piacevole, non è vero, Seneca? E anche onesto, fin dove può essere onesto un uomo politico. Non impazzire, mio caro. Io non sono impazzita".

Il dialogo notturno tra Seneca e Claudia, moglie di Pilato, a distanza di anni dalla controversa condanna del Galileo, è il tema narrativo/drammaturgico centrale di quel capolavoro assoluto che è La moglie del Procuratore, racconto di Elena Bono pubblicato la prima volta nel 1956 (dentro la raccolta Morte di Adamo) e ora riproposto da Marietti con testo autonomo. 

Un racconto-romanzo imperdibile: storico, filosofico, psicologico, teologico, poetico. Denso, intenso, commovente, sconvolgente.

All'amantissima moglie Claudia Procla Serena ogni mio avere e questa, se è lecita, domanda: cos'è la verità? 

mercoledì 16 ottobre 2019

La porta della poesia


Non si pensa mai che la porta della poesia è la stessa, proprio la stessa della morte: come poeti rimaniamo sempre sulla soglia, i più grandi di noi intravedendo qualche cosa di più; come uomini finiremo tutti per entrare, con un po' di pazienza...

(Elena Bono, La moglie del procuratore)

venerdì 25 aprile 2014

Nessuno te l'ha detto


Morirono per la libertà, 
essi, a cui i padri non avevano insegnato 
a vivere liberi.

Ai martiri della Resistenza antifascista e antinazista, la grande poetessa Elena Bono, da poco scomparsa ultranovantenne, ha dedicato versi indimenticabili eppure ancora troppo poco conosciuti.

Per festeggiare la Festa odierna della Liberazione, e rendere contemporaneamente omaggio a questa grande poetessa, animata da una profondissima fede cattolica, ho scelto questi versi meravigliosi dalle "Stanze per Rinaldo Simonetti", detto "Cucciolo", fucilato per la libertà, appena bambino, nei boschi di Chiavari.

La poesia è composta di tre parti (stanze). Salto la prima, per lasciare spazio all'avvio folgorante della seconda. La terza stanza ci porta improvvisamente in una dimensione mistica, ultraterrena.

II

Fucilato è una parola importante
e tu te ne fai bello
nel tuo cimiterino
fra i candidi vecchioni
e i bambini lattanti
e le ragazze che invece dell'arancio
ebbero una corona di fiori di carta. 
T'ascoltano tutti
con grave attenzione ammirati, 
ma che cos'è la libertà 
questo non ci riesci 
per quanto ti provi 
a spiegarlo 
e finisce che sempre
con un grosso sospiro
ti smarrisci a guardare
nuvole e nebbie che vanno
insieme alla luna. 
I morti nella terra
i vivi nelle case, 
gli altri prendono sonno
e soli ad ora ad ora 
gridano i galli. 
Supino ancora guardi 
quelle lunari nuvole andare 
di là dai castagni 
come una volta. 

III

Nessuno te l'ha detto 
che un animo da re ci vuole 
per entrare negli alti 
palazzi della morte
non da qualunque porta 
alla rinfusa gettati 
ma dalla grande entrata 
a testa dritta 
graziosamente 
recando le ferite come fiori in dono
mentre il Signore si affretta all'incontro 
giù per la scalea aprendo le braccia. 
Nessuno te l'ha detto, 
ragazzo di campagna. 
Ma così tu sei entrato.


giovedì 23 dicembre 2010

Quanto più taci


Cresce con l'attesa il bruciore dell'assenza, della solitudine. Ma nel silenzio (quanto più taci) si annuncia una venuta, un grido, presagio di ben altro fuoco. E' la ricerca di Elena Bono, terza poesia di avvicinamento al Natale dal breviario poetico di Antonio Spadaro.

[Io brucio e non ho tregua nel mio ardore]

Io brucio e non ho tregua nel mio ardore
nè chiedo.
Io sono sola nel desterto
del mio amore.
E tu lontano
nascosto nei tuoi cieli.
Ma ti sento venire
come il vento

quanto più taci
.
Solleverai la sabbia
coltuo grido,
sarai con me una cosa sola:
turbine che risale nell'altezza
e colonna di fuoco.


giovedì 30 luglio 2009

Stiamo bene così


«Miei cari corvi, tutti occupati a strapparvi l'un l'altro la regal carogna, solo lui c'è che vorrebbe rifare di questo che sono io, che sei tu, che è tutto il mondo, una cosa viva. Solo Giovanni. Ma non troverà neppure uno disposto a risuscitare, stiamo bene così, in questa tomba».

Chi parla è Erode Antipa, marito di Erodiade, rivolto alla sua corte di corvi nell'opera teatrale La testa del profeta di Elena Bono, poetessa e scrittrice di cui dissi qui qualcosa proprio all'inizio di questo blog, ormai quasi 2 anni fa. Il profeta è Giovanni Battista, e sua è la testa che Salomè chiederà di ricevere in dono su un piatto d'argento, come raccontano i vangeli seguiti da una vastissima produzione letteraria, artisitica e cinematografica.

Il dramma della Bono, pubblicato dalla Garzanti nel '65, piacque tanto tra gli altri a Pasolini, che avrebbe voluto trarne la sua Salomè cinematografica, ma l'autrice non volle, temendo "insormontabili incompatibilità". Lo apprendo con piacevole sorpresa - sono entrambi autori che amo tantissimo - da un articolo sull'Osservatore Romano di oggi, da cui traggo anche la citazione iniziale che trovo terribilmente vera.

La frase allude al fatto che spesso preferiamo vivere da morti (Stiamo bene così, in questa tomba) piuttosto che rinascere da vivi (risuscitare). Piuttosto che lasciarsi rifare da Qualcuno capace di rovesciare le pietre dei nostri sepolcri. Qualcuno capace di trasformare me, te e il mondo che ci circonda in una cosa viva.

La Vita ci fa paura, preferiamo continuare a masticar carogne


(Foto da Flickr/suchitra prints)



giovedì 25 ottobre 2007

Chiudere gli occhi e guardare

Così semplice era tutto: chiudere gli occhi e guardare. Inizia con questo verso di una bellezza folgorante - "un verso tra i massimi del Novecento" - la raccolta poetica di Elena Bono che trovo recensita sul n.20 di Città Nuova da Giovanni Casoli (Elena Bono, Opera omnia, Le Mani, Genova-Recco, pp.448, euro 20.00). La casa editrice è pressoché sconosciuta ma è quella di sempre - annota Casoli - come sempre "andando incontro a un destino di incomprensione pari alla sua grandezza", per aver "perseguito con ascetica dedizione la congiunzione assoluta di etica ed estetica". Qui il virgolettato è del critico Elio Gionaola, che ha sritto l'introduzione al volume. Ma chi è Elena Bono? "La più grande scrittrice vivente", la definisce lo stesso Giovanni Casoli nella sua antologia del ‘900 e di lei scrive Stas’ Gawronski per RAI libro: "La più grande scrittrice italiana del dopoguerra", aggiungendo anche, "ma sono in pochi a saperlo". Personalmente, la prima cosa che leggo di lei, oggi ottantaseienne, scrittrice di romanzi e di opere teatrali, è questo verso d'apertura, che mi ha convinto ad ordinare subito il libro. Ma altri versi citati nella recensione di Casoli fanno tremare i polsi, come questi dedicati ai resistenti antifascisti e antinazisti:

Nessun te l'ha detto
che un animo da re ci vuole
per entrare negli alti
palazzi della morte,
non da qualunque porta
alla rinfusa gettati
ma dalla grande entrata
a testa dritta
graziosamente
recando le ferite come fiori in dono
mentre il Signore si affretta all'incontro
giù per la scalea aprendo le braccia.
Nessuno te l'ha detto,
ragazzo di campagna.
Ma così tu sei entrato
.

O ancora, sulla solitudine feconda: Il cuore più solitario di tutti/ a tutti appartiene. Sul tema della morte, infine, sul morire quotidiano, con radicalità evangelica e giocosità francescana: Canto quel tutto che s'acquista/ tutto perdendo. Non vedo l'ora che arrivi il libro per perdermi nella sua lettura.