Visualizzazione post con etichetta Camus. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Camus. Mostra tutti i post

giovedì 8 dicembre 2022

Proletario degli dei

Gli dei avevano condannato Sisifo a far rotolare senza posa un macigno fino alla cima di una montagna, dalla quale la pietra ricadeva per azione del suo stesso peso. Essi avevano pensato, con una certa ragione, che non esiste punizione più terribile del lavoro inutile e senza speranza [...]

Se questo mito è tragico, è perché il suo eroe è cosciente. In che consisterebbe, infatti, la pena, se,  a ogni passo, fosse sostenuto dalla speranza di riuscire? L'operaio di oggi si affatica, ogni giorno della vita, dietro lo stesso lavoro e il suo destino non è tragico che nei rari momenti in cui egli diviene cosciente. Sisifo, proletario degli dei, impotente e ribelle, conosce tutta estensione della sua miserevole condizione: è a questa che pensa durante la discesa [...] Non esiste destino che non possa essere superato dal disprezzo [...]

Anche  la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo.  Bisogna immaginare Sisifo felice.

(Albert Camus, Il mito di Sisifo, 1942)


giovedì 16 maggio 2019

Nient'altro che ciò che accade


Oggi è morta mamma. O forse ieri, non so. Ho ricevuto un telegramma dall'ospizio: "Madre deceduta. Funerali domani. Distinti saluti". Non significa niente. Forse è stato ieri.

Lo straniero, di Albert Camus, pubblicato nel 1942, è un classico della letteratura contemporanea, un romanzo tradotto in 40 lingue, da cui Luchino Visconti ha tratto nel 1967 l'omonimo film con Marcello Mastroianni.

Il protagonista, Arthur Meursault, è un modesto impiegato che vive ad Algeri in uno stato di indifferenza, di estraneità a se stesso e al mondo.

È un uomo che vive pienamente vita, ma al tempo stesso è apatico, come se avesse compreso che la vita semplicemente capita, senza una vera ragione, e senza colpe.

Per me non cambiava niente [...]. Io non mi aspettavo mai niente [...]. In fondo per me era lo stesso [...]. Non significava niente [...]. Non aveva nessuna importanza [...]. Non avevo niente da aggiungere [...]. Non avendo niente da fare [...]. Non avevo niente da dire.

Parla così Meursault, sono queste le sue risposte ripetute, i suoi commenti, le sue considerazioni.
Un giorno, dopo un litigio, senza un apparente motivo, uccide un uomo a colpi di pistola. Viene arrestato e si consegna, del tutto impassibile, alle inevitabili conseguenze del fatto - il processo e la condanna a morte - senza cercare giustificazioni, difese o menzogne, senza alcun pentimento.

Ho fatto (appena) in tempo a ricordarmi che avevo ucciso un uomo. [...] Ma più che rimorso, provavo una certa noia [...]. Non avevo mai avuto occasione di pentirmi davvero di qualche cosa [...]. Del resto, tutti sanno che la vita non vale la pena di essere vissuta [...]. Dato che si muore, il come e quando non importa.

Meursault è un eroe assurdo. Ad un tempo estremamente lucido, eppure privo della piena percezione dei suoi gesti, incappare di avvertire il minimo senso di responsabilità.

L'esistenza, per lui, non è nient'altro che ciò che accade.



lunedì 3 maggio 2010

Il primo uomo


Chi è il primo uomo? Tutti lo siamo, ma è un segreto che pochi conoscono.

Luca Doninelli commenta le parole indedite di Albert Camus, poste a didascalia di una foto (il "primo giardino del mondo") ritraente due vecchi salici pieni di nuovi germogli:

"Ad ogni aurora, il primo uomo".



(foto da Flickr, creative commons, roblisameehan: la creazione di Adamo)



martedì 19 febbraio 2008

Non conoscerete niente

"Non conoscerete niente senza l'amore" (Dostoevskil)

L'itinerario di Giovanni Casoli alla ricerca di Dio nella letteratura contemporanea - il primo saggio del libro Vangelo e letteratura (post precedente e post del 18 febbraio) - giunge alla fine con la terza situazione, quella in cui c'è una meta e la strada per raggiungerla, pur nella "morte di Dio".

Ad essa fa da ponte uno scrittore, Albert Camus, non credente né nella meta né nella strada, ma che nel suo appassionato umanesimo ateo si pone drammaticamente a camminare sul solco stesso del credente, per l'impulso di una solidarietà che supera le affermazioni e le negazioni stesse: "Noi lavoriamo insieme - dice ne La peste il non credente dott. Rieux al prete Paneloux - per qualcosa che riunisce oltre le bestemmie e le preghiere. Questo solo è importante". E aggiunge: "Quello che odio, è la morte e il male, lei lo sa. E che lei lo voglia o no, noi siamo insieme per sopportarli e combatterli. (...) Dio stesso ora non ci può separare".

Questo ponte che Camus costruisce tra ateismo sincero e fede sincera si chiama, dice Casoli, oltre ogni retorica, amore. Ed è qui che si incontra - insieme ad artisti molto grandi e grandissimi come
Millet (capace di trasformare l'infornatura del pane in un gesto eroico e santo), Rouault, l'epico del quotidiano, Gaudì l'architetto dei cieli aperti, Chagall il premonitore di cieli e terre nuove, Morandi il contemplativo della creazione - il narratore forse più grande di tutta l'età contemporanea, Fjodor Dostoevskij. Una grandezza e un genio non consistenti in affermazioni filosofiche o teologiche, ma nella rappresentazione della reale condizione umana, inferno e purgatorio, e dell'unico suo possibile riscatto che è l'amore capace di scendere negli inferi più profondi.