"Esiste uno stile cristiano di presenza anche nel mondo digitale: esso si concretizza in una forma di comunicazione onesta ed aperta, responsabile e rispettosa dell’altro" (Benedetto XVI)
venerdì 27 marzo 2009
Homer Sapiens
«La storia dell'evoluzione insegna che l'universo non ha mai smesso di essere creativo o inventivo» (Karl Popper)
Ecco, a occhio e croce mi sembra un'ottima sintesi tra evoluzionismo e creazionismo. Che in realtà non andrebbero mai opposti (vedi qui) ed infatti per il cattolico non lo sono.
Qualche giorno fa mi è capitato a questo proposito di vedere una divertentissima puntata dei Simpson in cui Lisa veniva sottoposta a processo per aver negato, a scuola, la teoria del creazionismo. Tra i testimoni dell'accusa, ovviamente, il grande Ned Flanders ("Salve, salvino, vicino...").
Le cose si stanno mettendo male per Lisa quando la mamma, Marge, ha un'intuizione: porta in aula al marito una bottiglia di birra chiusa. Homer, com'era prevedibile, perde completamente la testa, impazzisce. Inizia a fare qualsiasi cosa per aprire quella maledetta bottiglia. La sbatte violentamente sulle panche del tribunale, ci salta sopra, inizia a fare degli urlacci spaventosi scomponendosi tutto e dando visibilmente in escandescenza. E' a quel punto che Ned Flanders, che fino a quel momento aveva negato qualsiasi discendenza o somiglianza tra l'uomo e la scimmia, sbotta anche lui gridando rivolto ad Homer: "Smettila maledetto scimmione!!!!!".
A quel punto la causa è persa. Gli evoluzonisti hanno la prova della loro teoria. Lisa è salva.
PS. Homer scopre alla fine che il tappo della bottiglia....andava svitato!
mercoledì 25 marzo 2009
In bimbo veritas
Un'amica sta leggendo il libro delle lettere ad Obama scritte dai bambini americani. Ne parla alla figlia, che ha 7 anni e si chiama Elisa, come la mia. Lei ascolta affascinata dalle richieste e dalle domande dei bimbi d'oltreoceano, poi domanda improvvisamente:
Mamma, ma come si chiamava il vecchio presidente?
Si chiama - risponde serafica la mamma - George Dabliu Bush!
E lei: Mamma mia che nome da guerra che aveva...
PS. Non è la prima volta che Elisa lascia sgomenti i genitori. Leggi qui.
(Foto da Flickr/Army.mil)
martedì 24 marzo 2009
Se vuoi baciare il cielo
Se vuoi baciare il cielo / è meglio che impari ad inginocchiarti
A proposito di paradossi, resto sorpreso da questa citazione. E' presa da una canzone degli U2 che non conoscevo: Misterious Ways, dall'album Achtung Baby del 1991:
If you want to kiss the sky / better learn how to kneel
lunedì 23 marzo 2009
Il pensiero che ascolta
La situazione è «ormai così grave, che la speranza ci è di nuovo permessa».
Adoro i paradossi, che spingono la ricerca della verità fin dove la logica da sola non può arrivare. La frase in questione è attribuita a Maurice Bellet, noto filosofo e psicanalista francese che segnalo anche per un libro bellissimo che ho letto un po’ di tempo fa ed ancora stazione sul mio comodino accanto al letto. Si intitola “Il pensiero che ascolta. Come uscire dalla crisi”, edito dalle Paoline per la collana Crocevia. Un testo che si muove tra filosofia, teologia e psicanalisi alla ricerca di un pensiero che sappia farsi "puro ascolto".
Un telefono speciale
Ultimo post dal libro che raccoglie le lettere dei bambini americani al presidente degli Stati Uniti (Vedi qui, qui e ancora qui)
I ragazzini sono prodighi di consigli per Barack Obama, con il quale sanno essere esigenti ma comprensivi: «Ti è già venuta qualche buona idea? - chiede Alex Morones, 10 anni - Ancora niente? Ok. Va bene lo stesso».
La crisi economica è un problema sentito da molti. La soluzione di Weslie Jackson, 12 anni, di Chicago, è geniale nella sua semplicità: «Per fare i soldi - suggerisce - basterebbe fotocopiarli».
Bellissimo anche il suggerimento di Rosie Barrantes, 10 anni, di San Francisco, amante degli animali: «Potresti dare biscotti ai cani e gomitoli ai gatti».
Ma l'idea più commovente è di un bambino di Boston, Dhamaril Nunez, 9 anni, che scrive al presidente: «Ho una grande idea per te: dovresti installare un telefono speciale, in un posto speciale dove solo i bambini possono chiamare il Presidente se vedono qualcosa di pericoloso che può danneggiare le persone, come per esempio qualcuno che fuma. Sarebbe un posto speciale per i bambini per parlare con Barack Obama e fargli sapere come vanno le cose».
(Foto da Flickr/giveawayboy)
venerdì 20 marzo 2009
Totonno 'o Tridice
Lo chiamavano Totonno ‘o Tridice. Era ‘nu guappo, un camorrista che imperversava nella Napoli della seconda metà dell’800. Fu ucciso da una donna, con un pugnale nascosto sotto la gonna. Voleva vendicare l’ennesimo oltraggio, sopruso subito dal marito. Quella donna era la mia antenata, la nonna di mio nonno. Si chiamava Benedetta Tedesco. Fu costretta a cambiare cognome, che da allora divenne Iapino.
Tento di ricostruire i pezzi di questa storia che una volta sola mi raccontò mia zia e mi confermò mio padre. Benedetta era la loro bisnonna, in quanto nonna del padre, Rosario. Per me, nonno Rosario.
Siamo dunque a Napoli, quartieri popolari, ultimi decenni dell’800 (non riesco ad essere più preciso, ma mi impegno ad approfondire). Benedetta e il marito hanno un banco che vende acque e orzate. Come molti commercianti, devono subire le angherie di Totonno detto ‘o Tridice, il 13. Un giorno il marito di Benedetta si trova a passeggiare col suo asino davanti alla villa del camorista. Il ciuccio pensa bene di lasciare i suoi bisogni proprio sul portone. Gli sgherri di Totonno puniscono l’affronto pestando a sangue il nonno di mio nonno. E’ la goccia che fa traboccare il vaso. Benedetta decide di vendicare il marito. Nasconde sotto la gonna un pugnale a forma di croce (che da allora - precisa mio padre - in famiglia chiameranno ‘o crocifisso). Riesce quindi ad avvicinarsi a Totonno e lo colpisce a morte.
Il racconto “epico” non finisce qui, perché Bendetta, raccontano le cronache familiari, non si fece nemmeno un giorno di galera. Fu graziata dalla polizia per aver liberato la città da un personaggio tanto inviso e pericoloso. La gente del quartiere, quando l'assassina fu portata verso il commissariato sulla carrozza della polizia, lanciava fiori dai balconi al suo passaggio, per ringraziare quella che appariva come un’eroina, una liberatrice. Le autorità stesse, continua il racconto, le suggeriscono e le concedono di cambiare il cognome, per evitare le conseguenze che una fedina penale comunque “macchiata” avrebbe potuto avere per gli eredi.
Da allora la mia famiglia fa Iapino di cognome.
(foto da flickr/Zingaro. I am a gipsy too: Rivoluzioni e controrivoluzioni a Napoli. La rivolta di Masaniello)
giovedì 19 marzo 2009
Grazie Monnezza
Attenzione, questo è un post immorale e diseducativo, ma devo fare un eleogio della monnezza. Non l'immondizia in senso generale, astratto, magari metaforico. No. Proprio la monnezza, quella lasciata spesso per strada - in busta o sparpagliata - dai nostri bravi concittadini (romani), ai quali questa volta debbo dire grazie, mi avete salvato.
Gli è che l'altro giorno stavo andando in macchina a trovare la mi' zia, una strada in salita che fiancheggia il mercato, quando a un certo punto ricevo una telefonata. Per rispondere rallento, vado per accostare (io sì che sono un cittadino modello), ma la macchina si spegne improvvisamente. Riprovo a mettere in moto, niente. Forse è finita la benzina. O meglio, la macchina "non pesca", come si dice in gergo.
Non resta che chiamare il carratrezzi. A meno di non provare a riempire il serbatoio con un po' di benzina. Ma come fare? Posso raggiungere a piedi il benzinaio ma: 1) non ho nessuna tanica da riempire per "trasporare" il carburante; 2) per fare entrare la benzina nel serbatoio non basterebbe un imbuto.
E' qui che interviene provvidenzialmente la monezza di Roma. La strada che percorro per raggiungere la pompa di benzina è infatti costellata di buste di blastica e di rifiuti lasciati sul marciapiede. In pochi minuti riesco a rimediare un numero considerevole di bottiglie di plastica di tutte le dimensioni, con tappo e senza tappo, da riempire con la benzina. Ma, soprattutto, trovo un tubo di plastica già tagliato della misura necessaria per inserirlo a mo' di cannula nel serbatoio.
Fantastico. Il gioco è fatto. La macchina si rimette in moto. Niente carratrezzi. Niente meccanico. Orgoglio e autostima a mille (chi mi conosce sa che il mio senso pratico è quasi pari a zero).
Per una volta nella mia vita mi sento come il grande Mc Gyver!
mercoledì 18 marzo 2009
Se io fossi il presidente
Ancora dal libro "Caro Obama, ti è già venuta qualche buona idea?" (vedi qui e qui)
I bambini si mettono nei panni del presidente degli Stati Uniti: «Se fossi il presidente - scrive a 7 anni Avante price, di Seattle - cercherei di trasformare il mondo in un posto migliore».
Catherine Galvan, 6 anni: «Se fossi il presidente, nessuno dovrebbe pagare l’affitto. E quando va al supermercato, non dovrebbe pagare per niente!». Ma anche: «Se io fossi il presidente, direi alla gente di non parlare troppo. E’ una perdita di tempo».
Generso Edgar, 11 anni: «Se fossi presidente, darei ai poveri tutti i soldi che guadagno».
Magnanimo Chad Timsing, 9 anni: «Se io fossi il presidente aiuterei tutte le nazioni, anche le Hawaii».
Ma il più onesto è Weslie Jackson, 12 anni, di Chicago: «Se c’è qualcuno che vorrei come presidente, sono io».
(Foto da Flickr/srogan)
martedì 17 marzo 2009
La felicità per legge
Torno sul libro che raccoglie le lettere dei bambini americani al presidente Barack Obama. Ne ho parlato qualche post fa, sulla base di una recensione. Ora che l'ho letto, voglio estrapolare qualche "chicca" per condividerne bellezza e simpatia.
I bambini, che che se ne dica, sono amanti delle regole e delle leggi. Ed è per questo che non gli basta vedere esauditi i loro desideri, li vogliono vedere "legalizzati", stabiliti per legge.
«Caro signor Obama - scrive Khaya Monteiro di 8 ann, Boston - quando sarai presidente, dovresti cambiare il mondo e fare nuove regole come niente più immondizia e armi in giro, felicità a Natale, e basta fumare».
«Dobbiamo convincere la gente a smettere di fumare – ribadisce dal canto suo Ray Crespo, 12 anni (quella del fumo è una vera e propria ossessione) – puoi permettergli di comprare un altro pacchetto di sigarette, ma deve essere l’ultimo».
Emily Morales, 9 anni, San Francisco: «Dovresti decidere che il week end dura tre giorni» e «fare una giornata in cui tutto è gratis».
Mireya Perez, 8 anni: «Obbliga tutti a leggere libri. Vieta alle maestre di dare troppi compiti. Fai una legge che dice che i bambini devono fare solo una pagina di compiti alla settimana...»
Infine Hamza Saalim, 8 anni: «Se potessi decidere una regola, sarebbe che nevichi gelato ogni settimana. Dovresti far nevicare gelato in tutti gli Stati Uniti. Anzi, dovrebbero farlo i tuoi servitori. E' più facile».
(Foto da Flickr/Big C Harvey)
domenica 15 marzo 2009
Caos
Protesta Elisa :
- Papà e Giosuè, state facendo un mouse!!!
- Cosa stiamo facendo?
- Confusione...
- Caos?
- eh, sì
(Foto da Flickr/Alessandro Vernet)
venerdì 13 marzo 2009
Tutto un cuore
Il corpo di mamma è tutto un cuore!
La piccola Elisa è fatta così. Per esprimere la dolcezza che ha dentro la fa esplodere improvvisamente in immagini fisiche, carnali, cariche di entusiasmo e tenerezza.
E' andata così, ieri sera. Eravamo a tavola (eraviamo, direbbe lei...). Io avevo chiuso gli occhi un momento, per riflettere su una questione personale di cui stavo parlando con Maria Cristina, e il fratello mi fa: perchè stai con gli occhi chiusi, papà?
Per ascoltare quello che mi dice il cuore, rispondo io.
Interviene Elisa, d'improvviso: e il cuore ti dice che vuoi baciare mamma per sempre?
Rido, la guardo e raccolgo la "sfida": mi alzo per baciare la mamma, e gioco a cantare le lodi delle sua bocca e delle sue labbra: sono come una rosa! - dico - come un cuscino!...
Come un salsicciotto!, interviene Giosuè buttandola con me sullo scherzo.
Ma la sorella non scherza: La sua bocca è un cuore!, dice con un sorriso serissimo.
Quindi aggiunge: Tutto il corpo di mamma è un cuore!
(foto da Flickr/Grzegorz Lobinski)
Malasanità
- lo sai, papà, che è tornata in classe flaviagorètti?
- perchè, dov'era andata?
- all'ospedale!
- uh, poverina, e come mai?
- eeehhh, non lo so... le faceva male una gamba, l'hanno operata alla mano.....
Da Le Avventure di Elisa alla Scuola materna, dove nomi-e-cognomi dei bimbi si pronunciano rigorosamente tutti-attaccati. Non tutti, però, solo quelli "che hanno i nomi doppioni", mi spiega Elisa, anzi, elisaiapìno, per distinguerla dalla doppiona elisaboddignòn...
giovedì 12 marzo 2009
Pace nel mondo e gelati per tutti
"Se fossi il presidente avrei delle persone che mi aiutano con i compiti, riempirei la Casa Bianca di cioccolato e ragù (ma non insieme) e regalerei zucchero filato e cibo alla gente per cena".
E' un libro fantastico quello segnalato questa mattina su La Repubblica da Mario Calabresi, corrispondente per il giornale da New York. 826 lettere scritte da piccoli americani al nuovo presidente degli Stati Uniti. Dentro c'è ovviamente di tutto: le guerre, la crisi, l'ambiente, l'immigrazione. Ma anche una lunga lista di desideri impossibili e curiosi: animali gratis per tutti, compiti solo una volta alla settimana (per legge!), week end da tre giorni....
Voi capirete il fascino che può avere Ticchettòcche un libro del genere, che scopro essere già tradotto e pubblicato in Italia dalla Mondadori col titolo: "Caro Obama, ti è già venuta qualche buona idea?". Un libro dove si mescolano desideri grandi e piccoli, con rovesciamenti incredibili di senso e di prospettiva che solo i bambini (e i poeti) ci sanno regalare, come insegna Il Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry.
Leggete in sequenza queste due frasi sull'immigrazione, ad esempio, di una tenerezza struggente e insieme di una comicità involontaria esilarante:
"Vorrei che mi aiutassi - scrive ad Obama Alanis Gordillo di 10 anni - a far venire il resto della nostra famiglia da El Salvador, poi potresti dargli un lavoro e farli diventare cittadini americani". E Jennifer Munoz aggiunge: "Aiuta gli immigrati che non commettono crimini perché...non è colpa loro se sono immigrati".
mercoledì 11 marzo 2009
La vera storia di Zio Paperone
"Il suo cuore era tutto un sorriso, e ciò era per lui più che sufficiente..."
Eccola finalmente, in leggero ritardo sul taccuino di marcia, l'ultima pagina del "Canto di Natale" di Charles Dickens. Ho finito di leggerla ai bimbi questa sera con soddisfazione e sorprendente commozione.
La storia fantastica del ricco e avaro e vecchio Scrooge, che solo grazie all'intervento prodigioso e terroristico di tre spiriti riesce a scoprire e vivere il significato profondo del Natale, è insieme uno degli esempi di critica della società tipici di Dickens, contro la povertà, l'ignoranza e lo sfruttamento minorile. Ambientato e pubblicato nell'Inghilterra del 1843.
Il protagonista, tra l'altro, darà il nome originale allo Zio Paperone di Walt Disney - Scrooge Mc Duk o Uncle Scrooge - nel primo lungometraggio che lo vedrà protagonista e che del romanzo di Dickensè proprio la trasposizione in cartone animato.
Il nostro Scrooge, da tirchio qual era, diventerà "il migliore deigli amici, il migliore dei padroni, il migliore degli uomini della vecchia città, di ogni asltra vecchia città, paese o borgo del buon vecchio mondo".
Non solo buono, ma felice: "Non aveva mai immaginato che una passeggiata, una semplicissima passeggiata, potesse dargli tanta felicità".
"Sempre si disse di lui che sapeva festaggiare degnamente il Natale, se mai creatura vivente può attribuirsi questo vanto".
lunedì 9 marzo 2009
domenica 8 marzo 2009
Colazione eucaristica
giovedì 5 marzo 2009
L'invisibile agli occhi
(Dal blog Il Moralista)
Mia figlia Teresa, quasi 3 anni, la seconda dei nostri tre, sempre in cerca di coccole e abbracci, pretende che la porti in braccio quando l'accompagno a scuola.
Stamattina (ennesima giornata di pioggia e nuvoloni) dopo avermi fatto la dichiarazione ("sposerò solo te, papà"... tranquilli, poi le spiego come va il mondo!) mi dice guardando il cielo: "è una bella giornata!"... io la guardo sorridente e perplesso, ma per fortuna non faccio un commento da "uomo" adulto, pragmatico e... un po' appesantito.
Le domando solo: "Ti piace la pioggia?". E lei: "No. Ma è una bella giornata".
(foto di Gaby Butcher/flickr)
mercoledì 4 marzo 2009
La famiglia Vittimisti
Ancora sul "fare" la vittima e sul libro di Giacobbe (vedi il post del 3 marzo).
Tu dici: non mi riguarda, io non sono una vittima nè "faccio" la vittima. Va bene, ci credo. Allora sicuramente non ti ritroverai in nessuno degli esilaranti ritratti disegnati dall'autore, in quella che è descritta e raccontata come una vera famiglia, la famiglia Vittimisti.
Si parte dalla «nonnina», la «vecchietta», perchè «l'abilità del vittimismo cresce con il crescere dell'età e raggiunge il massimo nella vecchiaia». «Vecchiette e vecchietti incapaci di colpire una mosca con un bazooka - scrive Giacobbe - tengono per le palle intere famiglie». Come? «Lamentandosi. Facendo le vittime». «Più gli altri sono buoni, onesti, generosi, più tu, con il vittimismo, ne fai quello che vuoi».
Il figlio della nonnina è Ipocondriaco. La «maledizione del medico della mutua», non ha passato giorno della sua vita senza lamentarsi di essere ammalato di qualche cosa. Ha la casa piena di medicinali. «Vive con il termometro piantato nel culo». Il suo sogno è vivere in un ospedale, nutrirsi con le flebo e svuotarsi tutti i giorni l'intestino con un enteroclisma. Le supposte sono la sua modalità di farmacologica preferita, secondo lui «la più grande invenzione umana dopo la ruota».
Ipocondriaco ha una sorella: Salutista. Ovviamente vegetariana, è contraria agli Ogm e mangia solo "bio". Non va con gli uomini per paura delle malattie. Lava le mani almeno dieci volte al giorno. Respira in casa aria depurata. «Nel testamento lascia detto di disinfettare accuratamente la bara».
Ipocondriaco e Salutista hanno un figlio (ovviamente con l'inseminazione artificiale). Si chiama Lamentoso. A scuola, all'università, al militare, al lavoro, il giorno del matrimonio. Ovunque trova modo e occasione per lamentarsi. Si lamenta del fallimento della Parmalat, anche se lui non ha comprato nemmeno un'azione. Si lamenta del Centro e dei partiti estremisti, del Centro-sinistra e dei sindacati. L'importante è per lui lamentarsi. Il lamento è vita.
Suo fratello è Incontentabile. Mentre Lamentoso si limita a lamentarsi ma poi ingoia tutto, lui non ingoia niente. Rifiuta. È una protesta continua.
Lamentoso e Incontentabile hanno una sorella: Crocerossina, pronta a sacrificarsi fino al martirio, si sposa e partorisce 4 gemelli: Pauroso (appena nato devono praticargli la respirazione artificiale perchè ha paura di respirare; al matrimonio non si presenta per paura che non si presenti la sposa), Tappetino (chiede scusa a tutti), Tradita e Catastrofica (non si accontenta di ergersi solo lei a vittima. Vuole coinvolgere tutto l'universo).
Tappetino e Tradita fanno un figlio: Imputato. Si sente accusato di tutto, anche se nessuno gli dice niente. Chiunque lo guardi lo reputa colpevole.
Anche Catastrofica e Pauroso fanno un figlio: Atlante. Il «componente più commovente e cretino della famiglia Vitimisti». È quello che si porta il mondo sulle spalle. Non dorme perchè pensa allo Tsunami, al Darfur, ai bambini dei Biafra, ma anche all'assistenza sanitaria e la previdenza sociale per le prostitute, ai gay, alle minoranze. Come molti dei suoi parenti muore suicida. Vorrebbe impiccarsi a una trave ma, ovviamente, anche la trave gli cade addosso...
E poi ancora nipoti e pronipoti: Insicuro, Ansioso, Depresso, Sospettoso, Infelice, Smarrita, ecc... Sono tanti, ma una caratteristica li unisce tutti: la paura. Al fondo di tutti i Vittimisti c'è la paura.
Sicuro che non sono parenti?
martedì 3 marzo 2009
Mi meraviglio
"Mi meraviglio sempre che qui ci siano ancora persone capaci di amare, mettere al mondo figli. Un miracolo. Se collabori con la disperazione finisci per cederle".
Questa frase "meravigliosa" è tratta da un'intervista rilasciata alla stampa dallo scrittore israeliano David Grossman. La prendo da un blog su cui sono capitato per caso, ammesso che il caso esista.
Ci dice una cosa semplice e vera, e per questo rivoluzionaria (che in fondo richiama la poesia di Whitman postata qualche giorno fa): Ogni gesto di amore è un miracolo. Ogni vita è un miracolo, perchè afferma con il suo solo esserci che la disperazione, la morte, non avranno l'ultima parola.
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Maggioranze
"Quando ti rendi conto che sei dalla parte della maggioranza, sappi che è ora di cambiare".
Così dice lo scrittore Mark Twain. Il ricordo va alla celebre scena del film Caro Diario, quando Nanni Moretti, scendendo improvvisamente dalla vespa ferma al semaforo rosso, spara un predicozzo al malcapitato automobilista: "Mi sa che mi troverò sempre a mio agio e d'accordo con una minoranza di persone...”
Certo la scelta preferenziale per la minoranza può anche essere un vezzo narcisistico, un attenggiamento snobistico o ideologico. Valga per questi, allora, la citazione di Andrè Malraux: "In ogni minoranza intelligente, c'è una maggioranza di imbecilli"
lunedì 2 marzo 2009
Quanto soffro!
Come tutti i buoni, o presunti tali, tendo da sempre a fare la vittima. Forse è per questo che non poteva non attirarmi un libro con questo titolo: "Come smettere di fare la vittima e non diventare carnefice" (Mondadori, 2008).
L'autore - Giulio Cesare Giacobbe - è uno psicologo e psicoterapeuta con la mania dei manuali, tutti finora baciati dal successo per via dei contenuti molto aderenti alla vita delle persone, dello stile volutamente "facile" e ironico, e di una titolazione senza dubbio ardita e folgorante: "Come smettere di farsi le seghe mentali e godersi la vita" (Ponte alle Grazie, 2003); "Alla ricerca delle coccole perdute" (2004); "Come diventare un buddha in cinque settimane" (2005); "Come diventare bella, ricca e stronza" (Mondadore, 2006); Come fare un matrimonio felice che dura tutta la vita" (2007).
La tesi centrale di questo libro è la seguente: "Non si è vittima, si fa la vittima". Cioè "quello di vittima è un ruolo momentaneo, è la condizione che noi assumioamo in un singolo evento". Per cui "si può smettere di fare la vittima in qualsiasi momento", a patto che lo si voglia. E "in qualunque momento si può passare dalla condizione di vittima a quella di carnefice e viceversa".
Il fatto è che la vittima crede normalmente di essere "nata" tale, che la sua sia una condizione permanente e definitiva, assegnatale dal destino. In questo senso, "la vittima psicologica - dice Giacobbe - è sempre una vittima nevrotica". Soffre della nevrosi della vittima. E' vittima - e carnefice - di se stessa. "Se tu soffri per quello che fanno gli altri della loro vita, la colpa non è degli altri, ma tua, che ti crei aspettative fuori dalla realtà, cioè nevrotiche". Mentre "la mia sofferenza è sempre un mio problema".
Ma c'è qualcosa di peggio, del fare la vittima. E' fare la "vittimacarnefice". Basta creare negli altri un senso di colpo facendo la vittima. Se uno si sente in colpa automaticamente passa per carnefice anche davanti a se stesso. E così, facendogli credere di essere un carneficie - mi hai fatto tanto soffrire! - ho creato una vittima. "Chiunque ti induce un senso di colpa - avverte l'autore - lo fa soltanto per dominarti"...
Lo fa per amore, in verità. Per un vuoto di amore che cerca di colmare richiamando l'attenzione degli altri, "costringendo" gli altri all'attenzione nei suoi confronti. Il bambino non ha stima di se stesso: "i vittimisti sono tutti dei bambini". "Ma l'amore e la stima di se stessi e degli alri si guadagnano in un solo modo. Crescendo. Diventando adulti".
"L'amore e la stima di te stesso sono la chiave che apre la porta della cella nella quale sei rinchiuso".
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