sabato 16 maggio 2020

Sarà per quella luce

C’è nel mattino – sarà / per quella luce – una sottile ebbrezza / sarà per la bellezza / degli inizi – quella promessa / che sempre si nasconde / quando s’avvia un nuovo / qualche cosa. / Sarà il bello / di cominciare.

Mariangela Gualtieri, Quando non morivo (Einaudi 2019). Dal sito Doppiozero.

Il segreto irriducibile del mondo

La "capacità di osservazione stupita del mondo". La "visionarietà dirompente". La tendenza a oltrepassare, con la forza della scrittura poetica, la "sembianza razionale delle cose e i confini della psiche", per tornare allo "stato sorgivo dell'essere" dove poter cogliere la "voce che affiora alla coscienza" e le "corrispondenze col mondo".

Mariangela Gualtieri è una "rabdomante della parola". Cerchiate la vita. Fateci un segno, si legge nella prima pagina della sua raccolta poetica Fuoco centrale (Einaudi, 2003). 

La parola, il verso, è la verga magica (rhabdos) con cui segna, traccia e a volte sembra percuotere il mondo, la realtà, perché ne scaturisca la vita, la meraviglia (C'è nel riso dell'uomo, la meraviglia), il miracolo, il bene che salva, l'amore che recide ogni fune.

Io parlo all'amore. Lo scortico dall'incrosto
nel sogno e ne faccio musica storta
ne faccio delicato vento che solleva o dondola / e impollina al cuore.

"Il paradosso della mia scrittura - scrive Mariangela Gualtieri - sta nel trovare armonia in mezzo a questi cocci". 

Io sono spaccata, io sono nel passato prossimo,
io sono sempre cinque minuti fa,
il mio dire è fallimentare,
io non sono mai tutta.
[...]
Io sono senza aggettivi, io sono senza predicati,
io indebolisco la sintassi, io consumo le parole

E altrove: Sono guerriera tutta composta d'urlo.

La pace, l'armonia, non sono a buon mercato: 

Piantiamo semi nell'orto della guerra.

È la terra desolata (di eliotiana memoria), dove le voci si seccano e non c'è più canto.

Eppure, tutto sta per dire una cosa.

Ti ho nella voce / senza che esca in suono.

Il non detto. Il non saputo (È poco il poco che  so e di questo / poco io chiedo perdono). La mancanza (sono ciò da cui manco / sono tutta mancanza). Lo scontento (sento lo scontento esserci delle cose). Il totale abbandono (questo essere qui a casaccio). Sono queste, paradossalmente, le sole condizioni da cui poter partire alla ricerca del Sacro Graal (Il mio Graal l'ho ritrovato e perso cento volte).

È ciò che fa Parsifal, lo straordinario personaggio che Mariangela Gualtieri riprende dalla tradizione letteraria e reinterpreta poeticamente, richiamando le figure del folle (S. Francesco) e dell'idiota (Dostoevskij).

Siamo di fronte al ribaltamento completo delle categorie ordinarie della realtà e della conoscenza, che solo la vera poesia sa operare.

Solo quando non ha nulla e non sa nulla ("la grazia del non sapere") l'uomo "inizia veramente a conoscere". Solo quando smette di cercare, è in grado di trovare veramente.

È una forma diversa di intelligenza (comprensione del mondo) che "non passa né dalla ragione né dalla logica" spiega Gualtieri nel suo commento a Parsifal. È una ragione di tipo diverso, che si rivela però la più adatta a conoscere "le leggi che regolano la vita"

"L'umanità in sostanza conosce solo piccole ragioni e piccolissime libertà, delle alte e immense non sospetta neppure. Che cosa è propriamente ragione? Anzitutto è la percezione del segreto irriducibile del mondo".


Lo senti il firmamento? Com'è sereno!
Anche noi siamo dentro.
Abbiamo polverine nelle vene, antiche come il cielo,
sono disciolte nel sangue, hanno dentro
l'impronta d'un andare semplice e grande,
come le grandi sfere. Abbiamo sfere nel sangue,
cartine geografiche con strade d'argento
e vedute telescopiche fino ad 
Aldebran. Abbiamo Vega nel sangue
la stella prodigiosa, e istruzioni precise
per il viaggio per l'appontaggio
e coraggio abbastanza per ogni volo.

(Da Parsifal, Predica ai pesci)



domenica 10 maggio 2020

Soltanto sognare

Che grande libro il Diario Clandestino di Giovanni Guareschi (1943-45).

Io, insomma, come milioni e milioni di persone come me, migliori di me e peggiori di me, mi trovai invischiato in questa guerra in qualità di italiano alleato dei tedeschi, all'inizio, è in qualità di italiano prigioniero dei tedeschi alla fine. Gli anglo-americani nel 1943 mi bombardarono la casa, e nel 1945 mi vennero a liberare dalla prigionia e mi regalarono del latte condensato e della minestra in scatola.
Per quello che mi riguarda, la storia è tutto qui. Una banalissima storia nella quale io ho avuto il perso di un guscio di nocciola nell'oceano in tempesta, e dalla quale io esco senza nastrinoli e senza medaglie ma vittorioso perché, nonostante tutto e tutti, io sono riuscito a passare attraverso questo cataclisma senza odiare nessuno.
Anzi, sono riuscito a trovare un prezioso amico: me stesso.

Il dramma della guerra e della prigionia in un lager nazista raccontato con umorismo e tenerezza. Decine e decine di pagine drammatiche e divertenti, profonde e commoventi, reali e surreali.

Signora Germania, tu mi hai messo fra i reticolati, e fai la guardia perché io non esca.
È inutile, signora Germania: io non esco, ma entra chi vuole. Entrano i miei affetti, entrano i miei ricordi.
E questo è niente ancora, signora Germania: perché entra anche il buon Dio e mi insegna tutte le cose proibite dai tuoi regolamenti.
Signora Germania, tu friggi nel mio sacco e rovisti fra i trucioli del mio pagliericcio. È inutile, signora Germania: tu non puoi trovare niente, e invece lì sono nascosti documenti d'importanza essenziale. La pianta della mia casa, mille immagini del mio passato, il progetto del mio avvenire.
E questo è ancora niente, signora Germania. Perché c'è anche una grande carta topografica al 25.000 nella quale è segnato, con estrema precisione, il punto in cui potrò ritrovare la fede nella giustizia divina.

A noi è concesso soltanto sognare, scrive il prigioniero Giovannino, n. 6865. Sognare è la necessità più urgente: aggrapparsi alla realtà coi nostri sogni, per non dimenticarci d'esser vivi. E i protagonisti dei sogni dell'autore sono i bambini: i suoi figli Albertino e Carlotta, il suo figlio nato morto (protagonista di uno struggente racconto), il figlio orfano di un altro prigioniero. Lo vengono a trovare i bambini e diventano i suoi principali compagni di gioco e di prigionia (Viene in mente il film La vita è bella di Roberto Benigni).

Giovannino seduto per terra sulla sabbia deserta. È solo, ma non è solo. La vita gli diede tre figli, ma il secondo non ebbe niente dalla vita (né una briciola di luce, né un filo d'aria, né un nome), perché quando nacque già la morte l'aveva agghiacciato 
Ma egli ravvivò la bocca muta con un soffio del suo respiro; accese gli occhi spenti con un po'di luce dei suoi occhi, e gli fece un nome con un pezzettino del suo cuore: Ci.
E Ci - non nato - visse. E fu sempre con suo padre, e anche ora è qui con lui, e nessuno lo sa [...]
Giovannino, seduto sulla sabbia deserta, al limite del campo, sembra solo. E invece Ci è qui con lui, seduto sulla sua spalla destra, col faccino appoggiato alla sua gota scarna. E insieme guardano oltre la siepe, e aspettano qualcosa.



venerdì 8 maggio 2020

Senza il bello

"Gli artisti ci fanno capire cosa è la bellezza, e senza il bello il Vangelo non si può capire" 

Dalla preghiera di Papa Francesco per gli artisti, a Santa Marta.



sabato 2 maggio 2020

Don Chichì

Don Camillo e don Chichì aveva tutto, in teoria, per andarmi di traverso. 

Pubblicato nella sua versione integrale (senza le censure del politicamente corretto) solo nel 1996, la raccolta di Giovannino Guareschi affronta a partire dal titolo stesso un tema ancora attuale e molto caldo: il contrasto non più solo tra mondo cattolico e mondo comunista, ma tra la Chiesa tradizionale e quella moderna, attraverso la caricatura di un giovane pretino intellettuale e progressita, per l'appunto don Chichì. 

La parodia è feroce e la critica arriva a toccare l'intera Chiesa del Concilio: "Signore - chiede don Camillo al Cristo dell'altar maggiore - volete forse dire che il demonio è diventato tanto astuto chebriesce, talvolta, a travestirsi persino da prete?". La voce del Cristo gli risponde: "Sono appena uscito dai guai del Concilio, vuoi mettermi tu in nuovi guai?".

Aggiungo un'altra critica feroce che mi tocca sul vivo, stavolta sul piano laico: "Ma tu - disse (don Camillo) rivolgendosi al giovane capellone - non sei il capo di quei cialtroni che si chiamano obiettori di coscienza?".

La mia simpatia per Guareschi rischiava di vacillare di fronte ad un approccio ideologico così lontano dal mio e persino grezzo, rozzo nella sua modalità espressiva. Tanto più che queste pose e questi argomenti "reazionari", come li definirebbe qualcuno, sono spesso usati e riciclati ancora oggi sulla stampa e sui social network per attaccare un certo sforzo di riforma della Chiesa e della società a cui mi sento personalmente legato. 

Eppure.

Eppure anche in questo caso la scrittura e la letteratura vincono sulla teoria e sull'ideologia (Io capisco solo i fatti, direbbe don Camillo). L'ironia dei racconti è travolgente. La fantasia e l'intelligenza, l'umiltà e l'onestà della scrittura di Guareschi la rendono capace di cogliere sempre il vero dell'umano, nei suoi limiti, nei suoi slanci e nelle sue contraddizioni. 

La parodia di Guareschi è a 360 gradi e comprende lo stesso don Camillo, i cui limiti (anche i limiti della sua idea di chiesa tradizionale) sono svelati dallo stesso Cristo crocifisso, nei loro giustamente profondi e divertentissimi dialoghi.

"Signore - gridò con angoscia don Camillo (opponendosi all'idea progressista di sostituire il suo altare e di rinnovare la Chiesa) - perché dovrei distruggere tutto?". "Non distruggi niente. Tu cambi la cornice al dipinto, ma il dipinto rimane lo stesso. O, per te, è più importante la cornice del quadro? Don Camillo: se l'abito non fa il monaco, non fa neppure il prete. O ritieni d'essere più ministro di Dio tu che quel giovane (don Chichì) solo perché tu porti la sottana e lui la giacchetta e i pantaloni? Don Camillo, ritieni che il tuo Dio sia tanto ignorante da capire solo il latino? Don Camillo: questi stucchi, questo legno dipinto, questa porporina, queste antiche parole non sono la fede".

"Signore - replicò umilmente don Camillo - però sono la tradizione, il ricordo, il sentimento, la poesia".

"Tutte bellissime cose che non hanno niente a che vedere con la fede. Don Camillo: tu ami queste cose perché ricordano il tuo passato, e perciò le senti tue, quasi parte di te. La vera umiltà è rinunciare alle cose che più si amano".

La passione per Cristo e la passione per gli uomini - nelle forme concrete, contraddittorie, paradossali e persino sgradevoli con cui si manifestano - rappresenta la verità dei racconti di Guareschi, toccando vertici di esilarante comicità - come quando riesce a fare sfilare Peppone e i comunisti del paese al grido di: "Il Cristo è nostro! Il Cristo non si tocca!" - o commovente umanità - come quando le bande rivali di giovani e ribelli capelloni si uniscono per soccorrere gli alluvionati sui tetti.

"La religione di Cristo non è e non può essere né comoda né divertente", replica don Camillo al segretario del suo vescovo, che voleva convincerlo a rinunciare a metà del suo sagrato in cambio di un comodo parcheggio per i fedeli. "Il Pater noster non dovrebbe più dire liberaci dal male, ma liberaci dal benessere".

Lo sguardo di Don Camillo è severo e a volte amaro, pessimista. Ma il suo Cristo, appeso sulla grande croce sopra l'altare, ride e sorride.