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sabato 25 aprile 2020

Eravate i più belli

Le poesie più belle sulla Resistenza sono per me quelle di Elena Bono, poetessa, scrittrice, traduttrice, drammaturga, staffetta partigiana in Liguria. Ogni 25 aprile ne scelgo una. Questa è da Fiori Rossi:

SULLA TOMBA DI UN AMICO MORTO PER LA LIBERTÀ

I parenti che piangono e si confortano
vi hanno rinchiuso tra i marmi
nei cimiteri di città.
Ma voi siete rimasti sui monti.
Per voi ogni giorno ancora
le marce le imboscate
il vento sulla fronte ardente
il vasto resinoso fruscio delle foreste
il battere del cuore sopra lo sten puntato.
Ancora voi cantate
e i vostri canti inondano le valli,
per voi c'è ancora il ballo
con le fanciulle del paese
il vanto delle armi conquistate
il pianto sul compagno caduto.
A mezzanotte voi accendete i fuochi
per il lancio:
ecco, remoto dalle stelle un ronzio d’aeroplano,
i vostri occhi febbrili luccicanti,
le grida di richiamo.
E quegli interminabili discorsi
su un migliore destino del mondo,
quella meravigliosa attesa
che non andrà delusa.
Era a voi riserbato,
non al mondo, il destino migliore.
Gole squarciate dal gancio,
illividite dalla corda,
mani crocifisse
carni che mentre fiorivate
conosceste la morte più dura a morire,
ogni uomo umano
vi dovrà invidiare.
Troppo bello ubbidire ad una legge
che non fu mai scritta,
morire secondo il proprio cuore.
Voi siete corsi ai monti
e nessuno vi ha potuto fermare:
la libertà dimora sulle alte montagne,
difficile segreta maliosa creatura.
Eravate i più belli:
voi siete rimasti con lei.

venerdì 27 dicembre 2019

Vannella

Giurate di non aiutare i partigiani? In fila sul sagrato della Chiesa, davanti al plotone dei soldati tedeschi occupanti, tutta la gente del paese risponde di sì, anche il prete, che pure era il sospettato numero uno. 

Tutti tranne lei, Giovanna detta Vannella, la figlia del medico fascista del paese. Unica tra donne, vecchi e bambini mezzi morti di paura, rifiuta la solenne pagliacciata di giurar di non aiutare i partigiani, gli "schifosi della montagna". E riceve in cambio, dall'ufficiale tedesco, uno sputo in faccia.

D'accordo, sì, d'accordo, cos'è un po' di saliva rispetto al mare di sangue che ricopre la terra? Ma la guerra non è solo la catastrofe delle tante morti: è violazione della dignità morale dell'uomo.

Vannella è terrorizzata, ma davanti al comandante tedesco non parla e non giura. Quale potere di provocazione ha il suo silenzio. "Eppure ho visto Dio nel battere atterrito delle ciglia, in quel modo furtivo vergognoso, di asciugarsi la guancia contro la spalla. Dio in una forma che non sapevo. Come un uccello piccolo, il più piccolo e debole. Non l'aquila di Zeus. Forse non la potenza paurosa di Dio, bensì la debolezza del Divino riesce intollerabile a un mondo come questo".

In tutto il romanzo di Elena Bono (Come un fiume come un sogno), Vannella non pronuncia una parola, ma ne è la protagonista silenziosa. Non parla e quasi non compare, si nasconde, ma comunica con la sua "bellezza", la forza interiore di chi assume con determinazione cosciente il ruolo della vittima.

Sputacchiata da un ufficiale tedesco, sorvegliata come soccorritrice dei partigiani e infine deportata in campo di concentramento, la ragazza è - poeticamente - la figura dell'angelo (visiting angel) di cui parlano Eliot e Montale: creatura testimone (e martire) di quell'amore che supera ogni limite umano e apre la dimensione dell'Oltre, testimone di un altro ordine e di un'altra natura.





venerdì 25 aprile 2014

Nessuno te l'ha detto


Morirono per la libertà, 
essi, a cui i padri non avevano insegnato 
a vivere liberi.

Ai martiri della Resistenza antifascista e antinazista, la grande poetessa Elena Bono, da poco scomparsa ultranovantenne, ha dedicato versi indimenticabili eppure ancora troppo poco conosciuti.

Per festeggiare la Festa odierna della Liberazione, e rendere contemporaneamente omaggio a questa grande poetessa, animata da una profondissima fede cattolica, ho scelto questi versi meravigliosi dalle "Stanze per Rinaldo Simonetti", detto "Cucciolo", fucilato per la libertà, appena bambino, nei boschi di Chiavari.

La poesia è composta di tre parti (stanze). Salto la prima, per lasciare spazio all'avvio folgorante della seconda. La terza stanza ci porta improvvisamente in una dimensione mistica, ultraterrena.

II

Fucilato è una parola importante
e tu te ne fai bello
nel tuo cimiterino
fra i candidi vecchioni
e i bambini lattanti
e le ragazze che invece dell'arancio
ebbero una corona di fiori di carta. 
T'ascoltano tutti
con grave attenzione ammirati, 
ma che cos'è la libertà 
questo non ci riesci 
per quanto ti provi 
a spiegarlo 
e finisce che sempre
con un grosso sospiro
ti smarrisci a guardare
nuvole e nebbie che vanno
insieme alla luna. 
I morti nella terra
i vivi nelle case, 
gli altri prendono sonno
e soli ad ora ad ora 
gridano i galli. 
Supino ancora guardi 
quelle lunari nuvole andare 
di là dai castagni 
come una volta. 

III

Nessuno te l'ha detto 
che un animo da re ci vuole 
per entrare negli alti 
palazzi della morte
non da qualunque porta 
alla rinfusa gettati 
ma dalla grande entrata 
a testa dritta 
graziosamente 
recando le ferite come fiori in dono
mentre il Signore si affretta all'incontro 
giù per la scalea aprendo le braccia. 
Nessuno te l'ha detto, 
ragazzo di campagna. 
Ma così tu sei entrato.