martedì 30 giugno 2009

Utopie condominiali


«I nostri palazzi sono stati progettati da architetti partiti dal presupposto che l’essere umano è per natura buono e vuole il bene di tutti i suoi simili…»

Della serie: silenzio, il vicino ti ascolta. Dal romanzo Il Santo nell’ascensore, di cui abbiamo abbondanetemente parlato (qui l'ultima volta), e a cui dedicherò ancora qualche post.



(Foto da Flickr/henric shuttle: Corviale)



Nome proprio di persona perbene


Marco aveva sette anni ed era alle prese con l'analisi grammaticale. Andava molto spedito - racconta la madre - quando a un tratto si fermò: non andava più avanti. Senza farsi vedere, mamma Maria sbirciò il quaderno e si accorse che si era impuntato sulla parola "Gesù". Dopo un po' Marco si battè la mano sulla fronte e scrisse così: "Gesù, nome proprio di persona perbene".





(L'immagine è tratta dal sito: Ciao Bambini)



martedì 23 giugno 2009

Gesù colora bene


Il cielo visto dai bambini. Ricopio integralmente qui il post di un mio caro amico, che racconta quanto segue:

É sera si sta preparando la cena.

La mamma esclama: "Guardate oggi il cielo ha delle sfumature rosa!"

Alessandro (4 anni) incuriosito, interrompe la visione del suo cartone animato, si alza e si affaccia alla finestra. Osserva: "Eh già. É rosa perché..."

"Perché Alessandro?" gli chiedo.

"Perché - momento di silenzio - è stato Gesù": conclude. Poi rivolgendosi alla mamma: "Mamma, è stato Gesù che ci posso fare io?"

Poi torna a guardare il cielo e dichiara:

"Però Gesù è bravo. Non è mai uscito dagli spazi. E' rimasto proprio sempre dentro".



(Immagine tratta da http://www.nsoft.it/ctf/GRAFICA/Matita2.gif)

Ricordaglielo


Quando il demonio ti ricorda il tuo passato, tu ricordagli il suo futuro

Bellissima. Letta su Vita nella rubirca di Lucio Brunelli (vaticanista del tg2), che ha sua volta la prende da un'immaginetta sacra su Facebook.


(Foto da Flickr/ideacreamanuelaPps: Luca Signorelli, Resurrezione della Carne, Orvieto)



giovedì 18 giugno 2009

La realizzazione di sé


"La realizzazione di sé non sta nella riuscita di un programma prefisso, ma nell'imprevedibile rapporto con la realtà".

Breve, diretto e come sempre ricco di spunti che vanno al di là della mera letteratura, Luca Doninelli su Il Giornale di ieri recensisce il capolavoro di Dostoevskij "Delitto e castigo", con cui il quotidiano inaugura la collana di "classici" per l'estate.

Delitto e Castigo è ben più di un romanzo - scrive Doninelli. "E', come l'Iliade e la Divina Commedia, un libro-cardine, uno dei testi nei quali è descritta in modo più compiuto la coscienza che la nostra civiltà ha di se stessa in rapporto a uno dei temi capitali di ogni civiltà: il rapporto tra giustizia, legge e persona".

"Nel suo inimmaginabile destino - dice Doninelli riferendosi alle vicende del protagonista (ma potrebbe valere per ognuno di noi) - Raskolnikov trova risposta alla sua domanda iniziale".





mercoledì 17 giugno 2009

Una bella gara


Curiosità infantili. Qualche giorno fa abbiamo festeggiato il compleanno di nonno Checco, quello "fortunato", il papà di mia moglie. - Quanti anni fa nonno? - mi chiede Giosuè. - 69 - rispondo io. Al che rilancia: - e nonno Mario, invece, quanti anni ha, papà? - Anche lui 69 - faccio io.
Segue momento di riflessione. Ormai li conosco. Preludono alla stoccata finale. Che arriva immancabilmente: - Papà - mi fa Giosuè - lo sai che sono proprio curioso di vedere, tra nonno Mario e nonno Checco, chi muore prima?

L'ho raccontato a nonno Mario, ovviamente. Tra una risata e l'altra si è ricordato improvvisamente di essere nato a circa 2957 km a Sud di Oslo, tra Bacoli e Capo Miseno...


(Foto da Flickr/sunshinecity)



Paolo VI e la morte di Pasolini


Ricordo il giorno in cui alla tv annunciarono la morte di Pasolini. Monsignor Macchi esclamò?: "Ah! Vedi il Signore ha il modo...". Paolo VI rimase immobile. Macchi spiegò che cosa aveva fatto quest'uomo, secondo lui a danno di tanti giovani. Il Papa si alzò, c'era ancora sullo scherma un'immagine di Pasolini: "Requiem aeterna dona ei Domine" - disse, tracciando un segno di croce: "Adesso preghiamo insieme per questa anima infelice". Questa fu la sua reazione.

Testimonianza di monsignor Magee, dal libro di Andrea Tornielli, "Paolo VI, l'audacia di un Papa", Mondadori. Presa dal settimanale Vita.

(Foto da Flickr/Simone Artibani)




Un altro Ceausescu


"...Come se non sapessi che molti vanno in chiesa solo perchè hanno bisogno di un altro Ceausescu..."

(Mastro Simion, il "Santo", dal romanzo di Petru Cimpoesu)

Una provocazione forte: Dio come "sostituto" di Ceausescu, di un dittatore, nella mente di molti fedeli. "Se non fosse morto Ceasusescu, non avrebbero mai sentito il bisogno di andare in chiesa". Una provocazione che non vale certo solo per i romeni e la Romania.

San Paolo, seconda lettera ai Corinzi: "Il Signore è lo Spirito e dove c`è lo Spirito del Signore c`è libertà" (3,17)



martedì 16 giugno 2009

Se Dio non fosse stato Poeta


"Se Dio non fosse stato Poeta non avrebbe creato l'uomo... Così tanto ha gioito della bellezza del mondo, che ha sentito il bisognodi mostrarla a qualcuno, e perciò ha fatto Adamo. E costui, a sua volta, per la stessa ragione, Gli avrà chiesto un'Eva".

Ancora dal romanzo di Petru Cimpoesu, la cui lettura mi sta accompagnando con gusto in questi giorni.

Già una volta avevo riportato su questo blog la frase di Oscar Wilde: "Il posto di Cristo è veramente tra i poeti".

Qui la metafora di Dio Poeta si fonda - prosaicamente - sul "bisogno della signorina Zenovia di condividere la sua gioia con i colleghi". Il Poeta - è scritto - è quella "strana specie di essere umano per il qiale la bellezza esiste solo se è comunicata ai propri simili".

E' come l'innamorato di fronte a un paesaggio maestoso. Egli desidera stare vicino alla persona amata "non per farsi una foto insieme e dire: ah, che bello!, come fanno i turisti americani". Ma per tacere e "far propria quell'ipostasi (personificazione) del buono chiamata bellezza, contemplandola insieme in silenzio. Condividere con qualcuno di caro la felicità di essere lì significa donargli, approfondita e amplificata dai propri sentimenti, la bellezza di quel luogo. Si potrebbe dire che, scoprendola in questo modo, diventi, per alcuni attimi, l'autore, il creatore stesso di quella bellezza, ovvero Poeta..."


(Nella foto, Adamo ed Eva, Catacombe dei Ss. Marcellino e Pietro, Roma)



lunedì 15 giugno 2009

L'anima dell'impiegato


...la domenica i condomini non escono quasi mai. Stanno a casa e guardano la televisione. Ci sono trasmissioni interessanti, partite di calcio, corse automobilistiche, sit-com, quiz, talk show, telenovelas, in breve tutto quello che può desiderare l'anima di un impiegato, pensionato o disoccupato in una giornata di riposo....

Dal romanzo di Petru Cimpoesu, "Il Santo nell'ascensore", la descrizione dei condomini. Quanto può essere diversa un'anima, confrontando questa descrizione con quella dei protagonisti del romanzo di Cormac McCarthy, appena 2 post fa:

Ciò che amava nei cavalli era la stessa cosa che amava negli uomini, il sangue e il calore del sangue che li animava. Tutta la sua stima, la sua simpatia, le sue propensioni andavano ai cuori ardenti. Così era e sempre sarebbe stato.




martedì 9 giugno 2009

Il santo nell'ascensore


«Sto qui e mi chiedo qualche volta perchè le persone si danno del Lei le une con le altre e a Dio danno del tu».

M'è venuta la pelle d'oca oggi pomeriggio quando ho letto a sorpresa questa frase nella quarta di copertina del libro appena acquistato: "Il santo nell'ascensore", primo romanzo tradotto in Italia di Petru Cimpoesu, autore romeno amatissimo in patria e tradotto in varie lingue, di cui avevo letto recensioni entusiaste sul sito di Bombacarta.

Non so se riesco a spiegarlo, ma la pelle d'oca - i brividi - esprimono la sensazione di aver trovato la cosa che non ti aspettavi, ma che in fondo cercavi. Anche se il libro non l'hai ancora aperto. Eppure una frase, ti dà la misura del tutto. In questo caso del surreale, del grottesco, che si fa più vero del reale.

Così si presenta in effetti la stora di questo "romanzo di angeli e moldavi", finalista al Premio Strega europeo 2009, che racconta la Romania popolare post-comunista attraverso le parabole surreali del calzolaio Simion, che chiuso nell'ascensore all'ottavo piano, rivela agli altri condomini l'esistenza di Dio e dell'anima, come un moderno asceta stilita.

Tutto da leggere (editore Castelvecchi, 18 euro)



Questo non mi giustifica


Pensò che la bellezza del mondo nascondeva un segreto, che il cuore del mondo batteva a un prezzo terribile, che la sofferenza e la bellezza del mondo crescevano di pari passo, ma in direzioni opposte, e che forse quella forbice vertiginosa esigeva il sangue di molta gente per la grazia di un semplice fiore.

Cormac McCarthy è diventato famoso fuori dagli Stati Uniti per la fortunata trasposizione cinematografica di un suo libro del 2005 - “Non è un paese per vecchi” – da parte dei fratelli Coen. Ma già da tempo chi conosce questo scrittore statunitense nativo di Providence – Rhode Island – e abitante a El Paso, in Texas, ne parla come di un “grande” della letteratura.

Da qualche giorno ho finito di leggere il primo dei suoi tre romanzi – “Cavalli selvaggi” – che fanno parte della “Trilogia della frontiera”, pubblicata da Einaudi nel 2008. Un volumone di oltre mille pagine regalatomi per il mio compleanno dall’amico Mauro, che non sbaglia mai un colpo in fatto di libri.

Cavalli selvaggi, ambientato nell’anno 1949, racconta la fuga a cavallo di due giovanissimi ragazzi dal Texas al Messico, attraverso una frontiera leggendaria. Sono “storie di apprendistato e di eterno vagabondare di cavalli e cavalieri” quelle raccontate nella Trilogia. Tre romanzi – si legge nella quarta di copertina – “che costituiscono un’autentica epica americana

Ciò che amava nei cavalli era la stessa cosa che amava negli uomini, il sangue e il calore del sangue che li animava. Tutta la sua stima, la sua simpatia, le sue propensioni andavano ai cuori ardenti. Così era e sempre sarebbe stato.

Scrive Alessandro Baricco nella prefazione al volume Einaudi: “Ogni tanto qualche scrittore riesce a cambiare le carte in tavola. A creare nuovi paesaggi. Non si limita a scrivere libri belli. Scrive libri che sono mondi radicalmente inediti. Spalanca la geografia della scrittura” (e della realtà, aggiungerei io)

Di McCarthy Baricco dice alcune cose fondamentali e assolutamente condivisibili. Le sue storie sono intessute di violenza e dolore, orrore e tragedia, ma niente a che vedere con il pulp. “Qui la violenza è sacra. È un simulacro che si aggira per la terra come un testo biblico che promette apocalissi (…in Messico il male è una realtà distinta che marcia sulle proprie gambe…). Non c’è niente di grottesco, non c’è niente da ridere”. McCarthy ha “la serietà di un profetache “prescrive il futuro”:

Credi che verrà un giorno in cui non sorgerà il sole? Sì, rispose John Grady, il giorno del giudizio.

Dicono che chi non conosce la storia è condannato a ripeterla, ma io non credo che conoscerla serva a qualcosa.

In McCarthy, scrive ancora Baricco, “il reale è una ferita”:

Sulle spine delle piante c’erano trafitti numerosi uccelli trascinati dal vento, piccole creature grigie e anonime impalate nell’atto di volare o afflosciate con le piume arruffate. Alcuni erano ancora vivi e al passaggio dei cavalli si contorcevano sulle spine sollevando il capo e pigolando, ma i cavalieri non si fermarono…

“C’è qualcosa nella sua scrittura che ricorda l’autorità che hanno le pietre…”:

Quelli che non vengono guariti dalla vita vengono guariti dalla morte.

I legami più stretti sono quelli creati dalla sofferenza. La comunione più profonda è quella basata sul dolore.

E i personaggi di queste storie, i protagonisti? “Gente che con pazienza infinita cerca di rimettere a posto il mondo. Di riportare le cose dove dovrebbero stare”. Costi quello che costi.

Un cavallo viene rubato. Incoscientemente il giovane proprietario, per riprenderselo, va incontro alla morte. Viene ucciso davanti ai suoi amici impotenti. Uno di questi arriva ad un passo dalla vendetta cruenta ma si trattiene, e poi confessa:

Volevo ucciderlo perché, quando ha portato il ragazzino fra gli alberi e l’ha freddato, io l’ho lasciato fare senza dir nulla.
Sarebbe servito a qualcosa?
Nossignore, ma questo non mi giustifica.

Non si può assistere all’ingiustizia lasciando fare, senza dir nulla. “Gli eroi di Mccarthy vivono per ricomporre il quadro sfigurato del mondo”.




lunedì 1 giugno 2009

2 giugno: Festa della Repubblica


Muore ignominiosamente la repubblica.

Ignominiosamente la spiano
i suoi molti bastardi nei suoi ultimi tormenti.
Arrotano ignominiosamente il becco i corvi nella / stanza accanto.
Ignominiosamente si azzuffano i suoi orfani,
si sbranano ignominiosamente tra di loro i suoi / sciacalli.
Tutto accade ignominiosamente, tutto
meno la morte medesima - cerco di farmi / intendere
dinanzi a non so che tribunale
di che sognata equità. E l'udienza è tolta.


Mario Luzi, da "Muore ignominiosamente la repubblica", Al fuoco della controversia, 1978 (in Mario Luzi, Tutte le poesie, Garzanti, v. I, p. 475)


(Foto da Flickr/meticcio)