Ognuno aveva un amico in ogni pezzetto di nuvola / così è infatti con gli amici dove il mondo è pieno di terrore.
E' a causa di questa poesia, di questi pochi versi, che quattro giovani vengono pedinati, interrogati, torturati, minacciati, licenziati, espatriati, spinti infine al suicidio. I quattro giovani protagonisti del romanzo di Herta Müller, Il paese delle prugne verdi, premio nobel per la letteratura nel 2009.
La loro colpa: accendere l’odio in coloro che fanno cimiteri. Perchè scrivono poesie, scattano fotografie e intonano un canto qua e là.
E' il mondo piendo di terrore della Romania degli anni Ottanta (In questo paese dovevamo camminare, mangiare, dormire e amare qualcuno nella paura). Sotto la dittatura di Nicolaeu Ceausescu, ma quasi sospesa nel tempo. Raccontata con uno "stile evocativo e immaginifico" da una scrittrice che come la protagonista del romanzo appartiene ad una minoranza di lingua tedesca della Romania; e che per aver rifiutato di collaborare con la polizia segreta del regime perse il lavoro e le fu impedito di pubblicare, fino a quando riuscì ad emigrare in Germania, nel 1987.
Scrivendo, non dimenticare la data e metti sempre un capello nella lettera. Se dentro non c'è, vuol dire che la lettera è stata aperta. Sono i consigli per aggirare la stretta pervasiva del terrore, che controllava anche la corrispondenza privata. Per l'interrogatorio una frase con forbici per unghie, disse Kurt, per la perquisizione una frase con scarpe, per il pedinamento una frase con raffreddato. Dopo il titolo sempre un punto esclamativo, per una minaccia di morte solo una virgola.
Recensendo il romanzo sulle pagine di Città Nuova, Giovanni Casoli ne parla provocatoriamente come di "un libro che non sarà mai un bestseller neanche per sbaglio", "e non perché non si capisca, ma perché invita e impegna il lettore a una lettura seria come lo è stata la scrittura". E in effetti la lettura del romanzo è seria ed ardua, un libro in prosa che "è poesia, non nel senso decotto della prosa d’arte o della poesia in prosa, ma in quello ben più arduo di una prosa memoriale che, per necessità di sopravvivenza, diventa continuamente metafora, come fango e sterco nutrono fiori".
Queste righe possono esserne un esempio.
La nonna che canta vive nove anni in più della nonna che prega. E sei anni in più vive la nonna che canta rispetto alla propria ragione. Non riconosce più nessuno in casa. Conosce soltanto le sue canzoni. Una sera va dalla stanza dell’angolo al tavolo e dice al chiarore della luce: Sono così contenta, che tutti voi siate con me in cielo. Non sa più d’essere in vita e deve cantare se stessa fino alla morte. Non contrae nessuna malattia che la possa aiutare a morire.
E ancora:
L’uomo con il papillon nero al collo, (...) teneva sempre lo stesso mazzo di fiori appassiti. Stava da anni presso la fontana asciutta e guardava salire la strada al termine della quale c’era il carcere. Quando gli rivolsi la parola disse: ora non posso parlare, presto lei verrà, forse non mi riconoscerà più. Presto le verrà, diceva da anni. E, quando lo diceva, giù per la strada arrivavano, ora un poliziotto, ora un soldato. E sua moglie, lo sapeva tutta la città, era già da tempo fuori dal carcere. Stava al cimitero nella tomba.
Il tema della morte è ricorrente, il regime fa cimiteri, e spinge i suoi perseguintati al suicidio.
Un libro della casa estiva si intitolava: Suicidarsi. Dentro c’era scritto che ogni testa ha un solo modo di morire. Però giravo qua e là tra la finestra e il fiume, in un cerchio freddo. La morte mi fischiò da lontano, dovetti prendere la rincorsa verso di lei. Avevo me stessa quasi in pugno, solo una piccolissima parte non partecipò. Forse era la bestia del cuore (Herztier, dal titolo originale, La bestia del cuore).
George scrisse. I bambini non dicono alcuna parola senza dovere. Io devo, tu devi, noi dobbiamo. Perfino quando sono orgogliosi, dicono: La mia madre mi doveva comprare le scarpe nuove. Ed è vero. Per me vale lo stesso: ogni notte devo chiedermi se il giorno arriverà.
E' a causa di questa poesia, di questi pochi versi, che quattro giovani vengono pedinati, interrogati, torturati, minacciati, licenziati, espatriati, spinti infine al suicidio. I quattro giovani protagonisti del romanzo di Herta Müller, Il paese delle prugne verdi, premio nobel per la letteratura nel 2009.
La loro colpa: accendere l’odio in coloro che fanno cimiteri. Perchè scrivono poesie, scattano fotografie e intonano un canto qua e là.
E' il mondo piendo di terrore della Romania degli anni Ottanta (In questo paese dovevamo camminare, mangiare, dormire e amare qualcuno nella paura). Sotto la dittatura di Nicolaeu Ceausescu, ma quasi sospesa nel tempo. Raccontata con uno "stile evocativo e immaginifico" da una scrittrice che come la protagonista del romanzo appartiene ad una minoranza di lingua tedesca della Romania; e che per aver rifiutato di collaborare con la polizia segreta del regime perse il lavoro e le fu impedito di pubblicare, fino a quando riuscì ad emigrare in Germania, nel 1987.
Scrivendo, non dimenticare la data e metti sempre un capello nella lettera. Se dentro non c'è, vuol dire che la lettera è stata aperta. Sono i consigli per aggirare la stretta pervasiva del terrore, che controllava anche la corrispondenza privata. Per l'interrogatorio una frase con forbici per unghie, disse Kurt, per la perquisizione una frase con scarpe, per il pedinamento una frase con raffreddato. Dopo il titolo sempre un punto esclamativo, per una minaccia di morte solo una virgola.
Recensendo il romanzo sulle pagine di Città Nuova, Giovanni Casoli ne parla provocatoriamente come di "un libro che non sarà mai un bestseller neanche per sbaglio", "e non perché non si capisca, ma perché invita e impegna il lettore a una lettura seria come lo è stata la scrittura". E in effetti la lettura del romanzo è seria ed ardua, un libro in prosa che "è poesia, non nel senso decotto della prosa d’arte o della poesia in prosa, ma in quello ben più arduo di una prosa memoriale che, per necessità di sopravvivenza, diventa continuamente metafora, come fango e sterco nutrono fiori".
Queste righe possono esserne un esempio.
La nonna che canta vive nove anni in più della nonna che prega. E sei anni in più vive la nonna che canta rispetto alla propria ragione. Non riconosce più nessuno in casa. Conosce soltanto le sue canzoni. Una sera va dalla stanza dell’angolo al tavolo e dice al chiarore della luce: Sono così contenta, che tutti voi siate con me in cielo. Non sa più d’essere in vita e deve cantare se stessa fino alla morte. Non contrae nessuna malattia che la possa aiutare a morire.
E ancora:
L’uomo con il papillon nero al collo, (...) teneva sempre lo stesso mazzo di fiori appassiti. Stava da anni presso la fontana asciutta e guardava salire la strada al termine della quale c’era il carcere. Quando gli rivolsi la parola disse: ora non posso parlare, presto lei verrà, forse non mi riconoscerà più. Presto le verrà, diceva da anni. E, quando lo diceva, giù per la strada arrivavano, ora un poliziotto, ora un soldato. E sua moglie, lo sapeva tutta la città, era già da tempo fuori dal carcere. Stava al cimitero nella tomba.
Il tema della morte è ricorrente, il regime fa cimiteri, e spinge i suoi perseguintati al suicidio.
Un libro della casa estiva si intitolava: Suicidarsi. Dentro c’era scritto che ogni testa ha un solo modo di morire. Però giravo qua e là tra la finestra e il fiume, in un cerchio freddo. La morte mi fischiò da lontano, dovetti prendere la rincorsa verso di lei. Avevo me stessa quasi in pugno, solo una piccolissima parte non partecipò. Forse era la bestia del cuore (Herztier, dal titolo originale, La bestia del cuore).
George scrisse. I bambini non dicono alcuna parola senza dovere. Io devo, tu devi, noi dobbiamo. Perfino quando sono orgogliosi, dicono: La mia madre mi doveva comprare le scarpe nuove. Ed è vero. Per me vale lo stesso: ogni notte devo chiedermi se il giorno arriverà.