"Esiste uno stile cristiano di presenza anche nel mondo digitale: esso si concretizza in una forma di comunicazione onesta ed aperta, responsabile e rispettosa dell’altro" (Benedetto XVI)
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lunedì 5 novembre 2012
La sfida dell'immaginazione
«Il cristianesimo in Occidente potrà fiorire solo se riusciremo a coinvolgere l'immaginazione dei nostri contemporanei. Non credo che l'ateismo ci offra tanto una sfida intellettuale, quanto piuttosto una sull'immaginazione».
Così padre Timothy Radcliffe, teologo domenicano molto apprezzato, racconta la sfida della nuova evangelizzazione, in un recente intervento alla Pontificia Facoltà Teologica “San Bonaventura” Seraphicum.
Mi viene in mente il "battesimo dell'immaginazione" di cui parla padre Antonio Spadaro nel suo "Svolta di respiro. Spiritualità della vita cristiana". Ne scrivevo già qui: "La conversione, per essere profonda, deve toccare non solo i gesti e i pensieri ma anche l'immaginazione", altrimenti la fede "rischia di divenire rachitica, flebile" (oppure ideologica, appena appena riprende fiato e si galvanizza). Altrimenti, aggiungerebbe Radcliffe, non riusciremo a raggiungere il cuore degli uomini, non riusciremo a farci capire veramente, non riusciremo a trasmettere la fede.
Per immaginazione, secondo Spadaro, dobbiamo intendere il fare creativo, lo sguardo di stupore sul mondo capace di farsi racconto ed espressione artistica.
Similmente padre Radcliffe, per spiegare la sua "teoria" dell'immaginazione cristiana, non espone una teoria ma porta un esempio, "perché l'immaginazione cristiana dimora nel particolare" (come l'immaginazione poetica, del resto). L'esempio di un'opera artistica, un film, un racconto cinematografico recente che ha avuto un grandissimo successo di critica e di pubblico, soprattutto in Francia: Des Hommes et des dieux; in italiano, Gli uomini di Dio.
Il motivo del successo è nella forza della storia e del racconto, che ha per protagonisti uomini particolari - dei monaci, vissuti in una comunità particolare, in un contesto particolare - l'Algeria degli anni Novanta. Il tutto raccontato con un realismo e una precisione (da un regista non credente), che non ridimensionano piuttosto esaltano la luminosità (e la specificità cristiana) di quella testimonianza e di quel martirio. Nessuna edulcorazione, nessuna retorica, nessuna semplificazione (come invece in tanta produzione cinematografica pseudo-religiosa).
Ancora padre Radcliffe: "Le esigenze della vita cristiana non possono essere comunicate letteralmente, come una teoria astratta... Dobbiamo scoprirne la verità immaginativamente. Dobbiamo fare un viaggio verso l'illuminazione... La trasmissione della fede è come l'accensione successiva di fuochi di segnalazione... La trasmissione è sempre creativa e artistica".
Perché l'evangelizzazione fatica a seguire questa strada? Perché la riflessione e la produzione culturale di segno cattolico è più di carattere ideologico (morale, apologetico) che artistico? Perché così pochi capolavori?
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martedì 8 maggio 2012
La rete come luogo
Qualunque cosa legga o ascolti di Antonio Spadaro, mi colpisce sempre per l'intelligenza e la densità.
Nel breve testo di un'intervista rilasciata per un seminario sulla comunicazione promosso dai vescovi del Medio Oriente, esprime due concetti precisi e fondamentali.
Il primo. "La tecnologia è l’espressione della libertà dell’uomo: non è solo espressione della sua volontà di potenza sulla realtà, ma è anche la capacità dell’uomo – appunto – di relazionarsi in maniera libera nei confronti del mondo e di costruire il proprio futuro".
Una visione dunque creativa e relazionale della tecnologia, prima che moralistica o ideologica.
Il secondo concetto, più volte ribadito da Spadaro ma mai a sufficienza: la rete non è un mezzo di evangelizzazione; semmai è un luogo di evangelizzazione.
"Sì, la rete non è uno strumento, non è come un martello che si può utilizzare come un qualcosa di oggettivo, come appunto un oggetto; è, al contrario, un contesto, un contesto esperienziale, un ambiente di vita. Questo lo vediamo sempre di più: i giovani, soprattutto i cosiddetti “nativi digitali”, vivono la rete come un luogo dove esprimere la loro capacità di relazione, un luogo attraverso il quale conoscono il mondo, conoscono la realtà. Quindi la rete non è uno strumento, non può essere un mezzo neanche di evangelizzazione: semmai è un luogo di evangelizzazione. Per la Chiesa si tratta di incontrare gli uomini lì dove sono ed oggi gli uomini sono anche in rete e quindi la Chiesa è chiamata ad essere in rete".
Dirlo meglio non si può.
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