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venerdì 2 aprile 2010

La fortuna non esiste?


"Prima si semina, poi si coltiva e solo alla fine si raccoglie. Abbiate pazienza, il raccolto arriverà"

Ho finito di leggere il libro di Mario Calabresi "La fortuna non esiste" (Mondadori, 2009) e come al solito ho segnato le frasi che più mi hanno colpito. Questa è una di quelle, tratta dalla prima storia - Il raccolto arriverà - che parla di una città abbandonata, Braddock, vicino Pittsburgh, e del coraggioso lavoro di un sindaco e di una bibliotecaria.

Il libro racconta "storie di uomini e donne che hanno avuto il coraggio di alzarsi" ed è in qualche modo un omaggio all'america obamiana, più esattamente un omaggio a quell'america che ha saputo esprimere un presidente come Obama perchè, secondo Calabresi, è ancora malgrado tutto la terra del "sogno" e delle opportunità, con una cultura ancora viva "del nuovo inizio e della seconda possibilità", con uno "spirito che ti incita a rialzarti e a ricominciare".

"Mio padre mi ha insegnato che non importa quante volte cadi. Quello che conta è la velocità con cui ti rimetti in piedi". E' una frase pronunciata da Joe Biden, vice di Obama, con una storia familiare terribile alle spalle.

Potrebbero essere tutte sceneggiature, le storie racontate, sul modello de "La ricerca della felicità", il film di Gabriele Muccino con Will Smith. Ci sono gli operai licenziati della General Motors che si inventano una seconda vita da chef ("La differenza tra un disastro e un avventura è solo la tua attitudine"), gli ex manager della Lehman Brothers che diventano imprenditori sociali ("Non importa se oggi quella storia sia finita, importa che qui non esistono limiti alle tue possibilità"), i rifugiati politici provenienti da ogni angolo del mondo che "non hanno più nulla, neanche una valigia", ma: "Abbiamo la vita, e adesso anche la possibilità di viverla".

Io non so se sia vero, come dice il titolo del libro, che la fortuna non esiste. E non nascondo una certa diffidenza, insieme ad invidia, per questo spirito americano di lotta e di conquista. Certo però fa impressione ascoltare le parole di Tammy, pilota di elicotteri abbattuta in Iraq nel 2004 e rimasta senza gambe, che da allora ogni anno festeggia il suo "Life Day", "perchè il giorno che sono stata ferita era il giorno che dovevo morire" e "oggi ho una libertà che non avevo prima di perdere le gambe".

"La verità - dice Tammy - è che nella vita puoi scegliere di essere triste e sentirti triste o di essere felice e di esserlo davvero, sta a te decidere. Ogni giorno".




giovedì 24 dicembre 2009

Spaventati dalla fortuna


"La nostra paura del peggio è più forte del nostro desiderio del meglio"

Si riflette troppo poco sul potere che ha la paura - le paure - sulla nostra vita. Fatta eccezione per i testi anche divulgativi di psicologia e per i percorsi psicoterapeutici, se ne parla un po' a livello politico, sui giornali, da quando è diventata consuetudine cavalcarla impunemente a fini elettorali. Se ne parlava un tempo a scuola, barcamendasoi nelle interrogazioni tra pessimismo romantico e ottimismo positivista. Se ne parla pochissimo ancora nei percorsi di fede, di discernimento spirituale.

La letteratura, come spesso capita (quando è buona), ci viene in soccorso. Anche sotto forma di citazioni. Quella in apertura, che dice una profonda e dura verità, è di Elio Vittorini.

Mi fa menire in mente un passaggio di un racconto di Flannery O'Connor che mi ero segnato. Si chiama Un cerchio nel fuoco e racconta la storia della signora Cope, proprietaria di un appezzamento di terra, pronta a difenderlo con i denti di fronte a chiunque, terrorizzata dall'idea di un possibile incendio (che puntualmente di verificherà). La scrittrice americana la descrive così, dipingendo con una pennellata il suo atteggiamento ordinario di fronte alla vita: "pareva quasi spaventata dalla fortuna che aveva avuto sfuggendo alle sciagure che avrebbero potuto travolgerla".

Siamo spesso così. Spaventati perfino dalla fortuna che abbiamo, per paura del peggio. Che è poi il contrario dello spirito dell'Avvento, che oggi si chiude nella notte di vigilia. Il Natale, infatti, ci dice nella fede che in ciò che sta per accadere non si cela alcuna sciagura. E' la nostra Salvezza, invece, che ci aspetta, che ci viene a cercare.


(Nella foto, presa dal sito del Comune di Torino, Antonio Albanese ne Il ministro della Paura)