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sabato 2 gennaio 2016

Te lo prometto


Chiara, te lo prometto, risorgeremo.
Io, te, mamma, e Gloria e Gabriele
Rideremo in eterno e un nuovo gioco
Impareremo a vivere tra Sirio
E l'Orsa Maggiore.
                             Guarda! Il cielo 
Non è un buco nero che ti mangia,
Perché la pancia
Del lupo è solo un grembo
Buono, e l'universo è un prato
Rifiorito, è preparato
Per noi come una festa
E la vivremo, credimi,
In eterno.


(Marco Guzzi, In eterno, da Nella mia storia solo Dio, Passigli, 2005, riproposto in Parole per nascere, Paoline, 2014)

L'ora della ricreazione


C'è un orizzonte più ampio del cuore.
Più ampio perfino del mondo.
Si apre a un passo da te. Molto vicino.
Non appena ci posi l'occhio.
Se lo vedi ha i colori della terra.
Profuma d'abeti o di scoglio.
Tra le foglie d'un olivo si dilata
Come la fragranza di un sorriso.

O ci stai dentro oppure scompare.
O lo conosci oppure non esiste.
Chi ci abita sa leggere i quadri
Del mondo come nobili
Leggende illustrate.
                              Non c'è fondo
Al passero o alla rana.
Tutta la trama è un unico rigoglio
Senza strappi e senza cuciture.

E io stesso non sono una figura
Finita, ma un corso
Della vita, un suo discorso
Che nelle pause del sonno mi continua
A parlare di te.

                       "Da questo punto
Di vista ti ho creato
Perché guardando coi miei occhi procreassi
Questo momento di perfetta ricreazione".


(Marco Guzzi, L'ora della ricreazione, da Preparativi per la vita terrena, Passigli, 2002, riproposto in Parole per nascere, Paoline, 2014)



mercoledì 27 febbraio 2013

Il compito dell'uomo


Da molto, troppo tempo, non mi concedevo il gusto di un ascolto attento e profondo come questo: il video di una conferenza dedicata al tema della "Creazione" alla luce del testo della Genesi.

Relatori il biblista Pietro Bovati e il poeta e filosofo Marco Guzzi. L'appuntamento si è svolto lo scorso dicembre alla Chiesa del Gesù a Roma.



Padre Bovati, gesuita, sviluppa il suo ragionamento a partire dall'intenzione dichiarata di correggere un'idea ancora molto diffusa, desunta da una lettura tradizionale del primo capitolo della Genesi: "In principio Dio creò il cielo e la terra". L'idea della legge di Dio come ordine naturale precostituito. Da cui l'assioma per cui obbedire a Dio equivarrebbe ad obbedire all'ordine costituito.

Il testo, in realtà, va inteso in senso liturgico e non cosmologico. L'ordine non è nelle cose, ma in ciò che esse significano, nella loro funzione appunto liturgica, nella loro relazione con il Creatore.

Va quindi compreso il significato "etico" del Creato. Non è tanto la descrizione delle cose create che il testo sacro ci vuole presentare, ma la rivelazione dell'interiorità di Dio, dei suoi sentimenti, di ciò che per Dio è "cosa buona". E la bontà delle cose non è nella loro perfezione o nella loro collocazione ordinata. Ma nell'intenzionialità buona che Dio vi ha posto. L'opera di Dio è buona perché è strumento di bene per l'uomo e da parte dell'uomo.

Intenzione di Dio e responsabilità dell'uomo. Le due cose stanno insieme. La bontà del Creato, cioè, è un'opera del Signore e, insieme, un compito, una missione, una vocazione per l'uomo. Senza la bontà dell'uomo non si realizza la bontà della creazione. L'essere umano è principio attivo della bontà della Creazione 'nel tempo', nel ritmo progressivo della storia.

E' il capovolgimento di quell'idea tradizionale da cui siamo partiti. La creazione di Dio non va intesa come prodotto finito e precostituito, ma come messa in moto di un processo. Il bene, l'armonia della Creazione, non è ciò che Dio ha già realizzato, ma ciò che di buono per mezzo dell'uomo si compirà. Il bene, cioè, non sta dietro di noi. L'uomo non è chiamato solo a conservare (la società, le leggi, la natura), ma ad essere promotore di sviluppo, con i suoi limiti e i suoi tradimenti. La bontà del cammino, il punto Omega verso il quale la storia tende, è garantito dalla benedizione originaria di Dio e dalla sua presenza nella Storia come spirito vivificante.

Anche Marco Guzzi riprende il tema della collaborazione costante dell'uomo alla Creazione di Dio. Il suo ragionamento parte dal "preciso rapporto" tra Dio, l'uomo e il Creato disegnato dalla Genesi.

"Dio creò l'uomo a sua immagine". L'uomo assomiglia a Dio come un figlio assomiglia al Padre. E' dunque della sua stessa specie, una specie divina. L'immagine di questa somiglianza non è solo maschile, ma maschile e femminile insieme ("Maschio e femmina li creò"). Un'immagine dunque non monolitica ma relazionale, "coniugale". L'essere umano non è una creatura tra le altre, ma svolge una funzione vitale e speciale nel mistero della Creazione.

La grandezza della sua funzione, che ancora e sempre fatichiamo a comprendere, è quella appunto di essere co-creatore, di essere chiamato a collaborare alla funzione creatrice di Dio. Non solo con le opere, spiega Marco Guzzi, ma prima ancora con la coscienza, con il pensiero, con le stesse emozioni.

Nel grande gioco dell'esistenza, del Creato, noi non siamo spettatori e non siamo marionette, ma siamo pro-creatori. In mezzo c'è il mistero della Caduta dell'uomo, del peccato, e della sua Redenzione. Cristo è la figura della perfetta riconciliazione con il Padre, il Creatore, e con la sua opera, il Creato.

"In Cristo - scriveva il teologo ortodosso Olivier Clément, citato da Guzzi come chiosa del suo intervento - sotto il soffio e i fuochi dello Spirito, l'uomo trova pienamente la sua vocazione di creatore creato".

mercoledì 18 luglio 2012

Consigli per la fine dei tempi


Questa mattina ho letto su facebook questo 'stato' di Marco Guzzi che ho trovato talmente utile e necessario da farlo uscire dal confine del social network e pubblicarlo anche qui.

Consigli per sopravvivere nei tempi finali: non ascoltare per più di un'ora al giorno l'ossessiva informazione economica che occupa TG, quotidiani, radio, e internet. 


Riflettere bene: la mia vita non dipende dallo Spread, né da Monti, né da Draghi, né dal Fondo Monetario, o da altri organismi di oscura ispirazione. 


Osservare frequentemente fiori, api, laghi, abeti, o altre cose viventi, per esorcizzare il dominio dei morti viventi che stanno riducendo l'uomo ad un ectoplasma dissanguato. Meditare e pregare almeno una o due ore al giorno, per ricordare che l'intero livello economico è comuqnue una dimensione secondaria dell'esistenza, in quanto nessuno di noi "per quanto si dia da fare può aggiungere un'ora sola alla sua vita" (Matteo 6,27). 


La libertà dei veri credenti è sempre stata la vera spina nel fianco dei potenti del mondo, perché ne ridicolizza le assurde pretese, mostrando il lato comico della loro funebre seriosità.



(Foto da flickr/creativecommons/marco bellucci)

lunedì 22 marzo 2010

Un volto buono


Non posso certo dirmi un esperto d'arte contemporanea, tanto meno di scultura. Eppure queste sculture di Davide Calandrini, a me sconosciuto fino ad oggi, mi sento di consigliarle.

Il video è artigianale, come artigiano è il mestiere di Davide, ma questo credo sia oggi un pregio, e non certo un difetto. I suoi volti e i suoi corpi sono lavorati con amore, cura e passione. Sono i volti e i corpi di ciascuno di noi, scolpiti in un momento qualsiasi del nostro infinito e quotidiano e misterioso esistere.

"Questi volti - scrive Marco Guzzi presentandoli sul sito Darsipace - comunicano una densità umana raramente riscontrabile nel casermone contemporaneo dell’arte, ricco di pagliacciate, di astrazioni concettuali, e, appunto, di brutali disumanità. Qui invece l’umano ritrova una misura, un volto, fatto di dolore e di pace, di sbigottimento e di dolcezza infinita, e specialmente di apertura all’infinito: questi volti sono sempre ri-volti a qualcosa che verrà, che ci sta già raggiungendo, e che a volte intravediamo tra lo stupore e la gioia".

Il video dura 6 minuti. Prendeteveli, se potete, e godeteveli, "con cuore estatico e pieno di bontà"







venerdì 16 ottobre 2009

Sani e salvi


«Generazioni di intellettuali, educati al pensiero astratto e quindi a pensare in superficie, hanno convinto i nostri popoli occidentali che l'anelito all'infinito che regna nel cuore umano e che in realtà connota la nostra stessa natura, non sarebbe altro che un vano delirare di cui liberarci per tornare ai giusti limiti del nostro essere povere "scimmie nude"».

Questo uno dei passaggi più forti dell'ultimo articolo di Marco Guzzi, poeta e filosofo, pubblicato ora online e prima nella rivista Via Verità Vita - Comunicare la fede (n.4, luglio-agosto 2009, anno LVIII).

L'articolo è dedicato al binomio salute/salvezza come «nuovo bisogno primario». L'amplificarsi progressivo dell'interesse dell'uomo moderno verso la salute, «il desiderio di una salute perfetta» è visto da Guzzi in tutta la sua ambiguità. Da una parte la corsa verso un «salutismo nevrotico e paralizzante», dalla parte opposta la «riapertura ad un concetto di salute globale e quindi propriamente alla speranza della salvezza».

Questa seconda direzione richiede però 3 passi, scrive Marco Guzzi. Il primo: «tornare a sperare in una salute/salvezza globale» rieducandoci all'ascolto delle nostre più intime aspirazioni. Da cui l'accusa contro le generazioni di intellettuali e l'invito a tornare a «rivendicare la follia del nostro cuore umano», che vuole «una vita senza fine, una gioia senza confini, una conoscenza piena, un'amore finalmente integro». Che è ugauale a dire: «Noi vogliamo Dio».

Il secondo passaggio obbligato: «riconoscere la nostra malattia mortale», «l'alienazione strutturale che connota l'esistenza umana su questa terra». Come hanno constatato nel XX secolo la pratica psicanalitica e la filosofia più radicale. Come racconta da sempre la teologia cristiana del peccato originale.

Terzo e ultimo passo: «entrare nel processo messianico della guarigione definitiva». La nostra speranza di guarire in modo integrale e definitivo può poggiarsi solo su una potenza infinitamente superiore alle forze vulnerate dell'uomo. Al desiderio di salute che si fa «fame di slavezza» può corrispondere in pieno soltanto l'annuncio della bella notizia: «il Medico è arrivato», «il Medico che guarisce fino in fondo la nostra natura ferita è qui tra noi».


(Foto da Flickr/alextremps)




martedì 5 maggio 2009

Dinamite contro il Crocifisso


Appunti di filosofia, e letteratura.

Qualche pomeriggio fa, sono riuscito a regalarmi il tempo per una bella conferenza filosofico-letteraria dedicata Friedrich Nietzsche, e all’attualità della sua sfida. "Dioniso Contro il Crocifisso" il titolo dell'incontro alla biblioteca della Camera dei deputati, in via del Seminario, a Roma, organizzato all'interno della Rassegna "Inediti in Biblioteca", diretta da Maria Luisa Spaziani, poetessa e critica letteraria torinese di 87 anni, storica sodale di Eugenio Montale.

Relatori della conferenza: Sossio Giametta, traduttore e commentatore in Italia dell’opera integrale dell’autore di Zarathustra, classe 1929, venuto apposta da Bruxelles, dove vive; Marco Guzzi, poeta e filosofo, oltre che amico.

Inizia Giametta. "Nietzsche non è stato ancora capito" dice, e cita Zucchero Fornaciari: "Nice, che dice? Boh?"

Diversi i motivi di questa incomprensione. Secondo un suo biografo: “Di Nice non si può venire a capo perché neanche lui ne è venuto a capo”. In realtà, sostiene Giametta, l’incomprensione sul pensatore tedesco deriva innanzitutto dai "tentativi di strumentalizzazione del suo pensiero, un’attualizzazione a-critica in chiave soprattutto nichilistica. Mentre Nietzsche si oppone al nichilismo con la sua grande e tragica visione dionisiaca…"

C'è poi un altro motivo di incomprensione, secondo Giametta. Nice è stato fatto a fette come un bue, chiaro che la sua opera risulta complessivamente incomprensibile. "Tante bistecche messe insieme non fanno un bue, soprattutto non fanno un bue vivo!"

Ma chi è allora veramente Friedrich Nietzsche? Un grande oppositore di tutte le ipocrisie (filosofiche, religiose, sociali, politiche). Di tutte le illusioni, gli oblii, le falsità, le ipocrisie degli uomini e dei sistemi di pensiero. Ha provocato un terremoto spaventoso di cui è rimasto vittima lui stesso. Questa è la chiave per capire tutto Nice. “Fenomeno epocale terrificante” diceva Thomas Mann. E lui stesso: “Io non sono un uomo, sono dinamite” (Ecce Homo)

Un moralista più che un filosofo, insomma, e un poeta. Ma senza un pensiero concettuale, sistematico. Anzi quando vuole sistematizzare le sue intuizioni, si contraddice, fa un cattivo sistema. Tanto cattivo che finisce per costituire "il cuore ideologico del nazi-fascismo": il valore della forza, il dominio dei forti sui deboli...Giametta ricorda che Hitler regalò a mussolini l’opera omnia di Nietzsche. E che i soldati tedeschi avevano nei loro zainetti la "Volontà di potenza".

E' la volta di Marco Guzzi, che invita da parte sua a prendere sul serio Friedrich Nietzsche e la sua proposta di umanità molto precisa: "Dioniso contro il Crocifisso". E' il Cristo, infatti, secondo Guzzi, il vero antagonista e protagonista dell'opera di Nice, che in Ecce Homo dice testualmente: “Io sono il lieto annunzio”. E così termina: “Sono stato compreso? Dioniso contro il Crocifisso

Per Guzzi, insomma, Nietzsche non è "solamente" un moralista. Nel senso che la sua non è solo una critica feroce di ogni ipocrisia moralistica, degli egoismi e delle menzogne che si nascondono sotto i “valori”. Più profondamente, Nice attacca la morale stessa come “menzogna dei perdenti” contro la vita, contro i forti. In lui, come in altri, c’è un fortissimo sentimento della crisi, della fine dei tempi. “Gli ultimi uomini” li chiama. E Rimbaud: “L’uomo ha finito, ha recitato tutte le parti”. Ma qual è la causa di questo tramonto? La “morale degli schiavi”, che l’umanità ha seguito e che ha avvelenato col senso di colpa la virtù dei forti. Ecco allora il terremoto come soluzione, la "dinamite" che deve distruggere e far saltare tutta la civiltà a partire dalla civiltà cristiana, dal cristianesimo, dal Cristo stesso. “Sono stato compreso? Dioniso contro il Crocifisso

Perché questa contrapposizione? - si domanda Guzzi - perchè questo bivio? Se lo guardiamo dal punto di vista umano, personale, Nice era esattamente il contrario del tipo di uomo che propone. Aveva persino la fama di "santo" per la sua condotta di vita discreta e morigerata. Egli si identifica nell’uomo dionisiaco per un processo di inflazione egoista, direbbe Jung. Nice sente la crisi e sente l’avvento di una nuova umanità, ma rifiuta l’archetipo umano del crocifisso per quello dionisiaco, per il superuomo, tanto caro ai totalitarismo del Novecento.

Eppure - conclude Guzzi - c’era un punto in cui nietzsche avrebbe potuto dare più ascolto alla propria natura poetica, invece di incattivirsi nell distruzione di tutto ciò che non soddisfaceva la sua esigenza radicale di rinnovamento…

Ma questo punto, suggestivo, merita un post a parte...


(La foto è presa dalla pagina dedicata a Nietzsche su Wikipedia)






lunedì 20 aprile 2009

Anche se Dio non esiste


"Noi siamo fatti a immagine e somiglianza di Dio, anche se Dio non esiste".

La frase è di Marco Guzzi, o almeno io l'ho sentita da lui in uno degli ultimi incontri, di cui conservo gli appunti.

Significa che c'è negli uomini - indipendentemente dalla loro consapevolezza - un rispecchiamento misterioso e profondo tra le proprie visioni sulla vita e su Dio (inteso come principio ordinatore della vita) e le diverse modalità di essere un io. I pensieri (consapevoli o inconsci) che ho sul principio delle cose determinano l'uomo che sono e il mio rapporto con gli altri. Viceversa, a seconda dello stato in cui mi trovo, faccio una determinata esperienza fisica della vita e di Dio (anche se non credo in Dio, o non credo di credere...)

Esistono, cioè, teologie per lo più inconscie - ed errate - che condizionano la vita di ogni uomo, credente o non credente. Che uomo divento se credo in un Dio assente? e se credo in un Dio persecutore?

E se invece credo in un Dio che è Amore fedele e incondizionato?
(Foto da Flickr/madèo)




sabato 4 ottobre 2008

Darsi Pace


Il "cuore della pace" - scriveva Benedetto XVI nel 2007, nel messaggio per la giornata mondiale per la pace - è la "persona umana". Ma cosa succede se il cuore dell'uomo non è in pace? Se è soffocato dall'angoscia, vinto dalla rabbia, spento dalla tristezza, paralizzato dalla paura, indurito dalle sue cicatrici?

Ho sperimentato sulla mia pelle quanto darsi pace possa apparire un obiettivo irraggiungibile eppure indispensabile: un oasi nel deserto. Quanto questa pace sia un "dono" - come scrive sempre il Papa - e quanto sia un "compito", cioè una responsabilità, un lavoro su se stessi, anche una guerra con se stessi e le proprie resistenze.

In tutto questo sono stati per me fondamentali - provvidenziali - l'incontro, la conoscenza e l'amicizia con Marco Guzzi e l'esperienza nei suoi gruppi, denominati appunto "Darsi pace". Esperienza di cui mi è capitato di scrivere già una testimonianza.

Ora "Darsi pace" è diventata anche un'associazione, con l'ambizione di diventare un movimento culturale. E' nato anche un sito, ancora in fase embrionale, ma già molto bello. Il sito, l'associazione e l'esperienza fei gruppi "Darsi pace" saranno presentate a Roma sabato prossimo 11 ottobre, alle ore 17,30, presso il Complesso storico dei Domenicani, in Piazza della Minerva 42.

Ciascuno si senta invitato.





martedì 30 ottobre 2007

Meditazione e preghiera cristiana

Il 9 ottobre scorso alla bibioteca Vallicelliana ho assistito ad una conferenza del ciclo "Le vie della conoscenza" dedicata al rapporto tra meditazione profonda e preghiera cristiana. Relatore Marco Guzzi. Ne offro qui una sintesi ai fini di una maggiore mia chiarezza e a beneficio - si spera - di qualche malcapitato lettore.

Ogni tradizione spirituale - ha esordito Marco - ci dice che la nostra esperienza sensibile ordinaria e l’elaborazione concettuale che ne deriva è in qualche misura erronea, parziale, distorta, illusoria. Non è, insomma, la realtà. Per la tradizione ebraico-cristiana il mondo – con dentro la morte, il male, la malattia – è una realtà corrotta, di tenebre e ignoranza, sulla quale non possiamo fondare la nostra vita. San Paolo esorta in continuazione a non conformare la nostra mente e la nostra vita a questo mondo, ma a rinnovare la nostra mente. Noi purtroppo traduciamo tutto in termini moralistici. La stessa idea marxista dell’alienazione è frutto di questa idea religiosa originaria. Così la psicoanalisi è un processo di “disalienzazione”. Quando ci dimentichiamo di essere alienati vuol dire che lo siamo del tutto.

Se il presupposto è questo,cosa desideriamo quando ci mettiamo in meditazione? Desideriamo uscire da questo stato ordinario di sofferenza e di alienazione. Non a caso meditazione e medicina hanno la stessa radice, med, curare.

La cura consiste in due passaggi fondamentali: svuotarsi e lasciarsi rifare, ricostruire, ristorare (Matteo 11,28: Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò...)

Nella fase di svuotamento, riconosciamo le voci distorte che vogliono occupare il nostro cuore. Per metterle a tacere le devi prima riconoscere. Se non le vedi vuol dire che ci hai messo una pietra sopra. Riconosco quindi ciò che c’è di negativo e non mi ci identifico. Ma ci vuole silenzio per riconoscere le voci. Occorre osservare ciò che ci abita, lasciarlo emergere, senza rimuoverlo, e lasciarlo andare. La psicologia ci può aiutare a riconoscere gli automatismi mentali, ed evitare che la meditazione diventi rimozione. Un sano lavoro psicologico svolge una funzione purificatrice essenziale sulla pratica spirituale per evitare che diventi, come tende sempre, una forma di difesa.

Più ci dis-identifichiamo, più conquistiamo stati di pacificazione e integrazione. Scendo al di sotto dei vaneggiamenti della mente, in uno spazio di libertà e di silenzio in cui scopro di non essere del tutto determinato dagli automatismi ereditati dal passato. Questa libertà è gaudio, sollievo, annuncio che io sono qualcos’altro da tutto ciò che mi ferisce e mi confonde. Scopriamo di essere abissali. Liberi perché trascendenti le cose del mondo. Trascendenti perché aperti all’infinito.

Questa condizione è ciò che l’uomo può conoscere da sé. La ritroviamo in ogni tradizione. L’uomo da solo presagisce la sua infinità, la sua natura spirituale, trascendente. Ma resta ancora indefinito moltissimo. Chi sono io in questa apertura all’infinito? C’è ancora un io? Cosa o chi è questo infinito? Sentiamo che è una fonte, ma cos’è? Chi è? Non possiamo farne esperienza ‘naturalmente’. Non sappiamo se c’è un disegno salvifico. Non sappiamo la causa e il senso del dolore e della morte…

Giunti cioè alla mortificazione dell’uomo vecchio, silenziate le parti negative, raggiunta la vacuità della mente, ognuno di noi farà esperienza di ciò cui crede, ciò cui già prima avrà aderito per fede. Non esiste cioè un’esperienza spirituale naturale. C’è sempre una rivelazione. Si fa esperienza di ciò cui si decide liberamente di credere. Non si può vivere un’esperienza spirituale senza il rischio della fede, dell’adesione umile e concreta ad una fede storica. A noi non piace scegliere: perché rinunciare all’infinità del possibile? Ma la vera libertà è scegliere il possibile concreto. Non si superano le religioni storiche. I santi sono radicati nelle più modeste tradizioni spirituali. Le sintesi sono illusorie, sono l’opposto del dialogo. E’ la vera morte dell’ego: farai esperienza solo di ciò cui avrai creduto.

Il tuo nuovo io ‘ristorato’ sarò dunque costituito dalle parole cui avrai dato il cuore, dalle parole cui hai creduto. Il mio io viene riformulato dalle parole bene-dette di Dio, in quel dialogo che è la preghiera cristiana. Quindi la meditazione silenziosa non è la meta della preghiera ma un continuo passaggio. La meta, l’assoluto, per il cristiano, è la comunione con Dio, la libera comunione tra due persone che si parlano, non il silenzio quindi né l’unità indistinta. E’ un dialogo che si dipana in una storia, nel tempo, ecco perché ho bisogno della preghiera quotidiana, della lectio quotidiana, del pane quotidiano. Per non dimenticare e ridire ogni giorno le parole di Dio: "Dicendo le parole che ascolti diventi me"

lunedì 29 ottobre 2007

Deporre e rivestire, i verbi della preghiera

Primo. Cosa manca alla mia preghiera? Secondo. Cosa vorrei dalla mia preghiera? Due domande dirette cui rispondere altrettanto direttamente, “senza ragionamenti”. Così abbiamo iniziato quest’anno gli incontri della fraternità delle giovani coppie, a San Frumenzio. A porre le domande Marco Guzzi, venuto a raccontarci l’esperienza della preghiera. Ed ecco le risposte, in fila. Cosa manca alla mia pratica di preghiera? La pratica (!), la continuità, il silenzio, la capacità di abbandono, di svuotare la mente. Cosa vorrei raggiungere: l’intimità con dio; la condivisione con il marito/la moglie; “sentire” la Parola di dio anziché capirla (anzi, spesso capire la Parola mi impedisce di sentirla); riuscire ad avere quella forza che mi spinga a vivere diversamente, vivere un dialogo ininterrotto con Gesù; ritrovare lo sguardo di Dio su di me; rinnovarmi interiormente.

Quello che desideriamo dalla preghiera – ha commentato Marco – è ciò che desideriamo dalla vita”. Il che significa che “siamo la preghiera che viviamo”: “Quello che riusciamo a vivere nella preghiera, lo viviamo nella vita. Ciò che ci manca nella preghiera, viene a mancarci nella vita”.

Come può essere, allora, o deve essere questa preghiera? Marco invita a leggere San Paolo, la lettera agli Efesini, il capitolo 4, 17-24

non comportatevi più come i pagani nella vanità della loro mente, accecati nei loro pensieri, estranei alla vita di Dio a causa dell`ignoranza che è in loro, e per la durezza del loro cuore ... Ma voi non così avete imparato a conoscere Cristo, … dovete deporre l`uomo vecchio …, l`uomo che si corrompe dietro le passioni ingannatrici. Dovete rinnovarvi nello spirito della vostra mente e rivestire l`uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera.

O anche Colossesi 3, 8-11

Ora invece deponete anche voi tutte queste cose... Non mentitevi gli uni gli altri. Vi siete infatti spogliati dell`uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo, che si rinnova, per una piena conoscenza, ad immagine del suo Creatore.

“Deporre” e “rivestire” sono i due verbi della preghiera secondo Marco. Ma il primo lo trascuriamo spesso, rendendo di fatto vano anche il secondo.