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lunedì 7 ottobre 2019

Amare la realtà

Una regola della scrittura secondo Giovanni Testori:

"Basta amare la realtà, sempre, in tutti i modi, anche nel modo precipitoso e approssimativo che è stato il mio. Ma amarla".

Quanto è difficile. Quanto è più facile il distacco intellettuale, l'astrazione del giudizio, la superiorità morale.

Amare la realtà: un po' come amare l'umanità, che non ci piace.

mercoledì 14 gennaio 2015

L'incantesimo della memoria


E tuttavia, come mi sorprendo spesso a constatare, certe cosa hanno una loro maniera di fare ritorno, inaspettate e impreviste, magari dopo una più che lunga assenza.

Scriveva il critico Pietro Citati, qualche anno fa: "Con mio dolore, gli italiani non leggono Sebald: o lo leggono poco. Forse lo trovano «difficile». Ma tutta la vera letteratura è difficile, perché trasforma punti di vista, cambia lo sguardo, l'udito, i pensieri, le sensazioni degli esseri umani. Nato nel 1944, Sebald è stato il maggiore tra gli scrittori della sua generazione: nel mondo, non solo in Germania. Nessuno possedeva la sua passione, intelligenza, cultura, densità stilistica, tragedia. Nessuno aveva il suo dono fondamentale: trasformare la vocazione metafisica in scienza naturale e la scienza naturale in vocazione metafisica".

A me gli scrittori difficili piacciono, mi sono sempre piaciuti, per partito preso, per pregiudizio. E' verso la facilità di lettura che sono diffidente, ma in parte è un mio limite. Quando sento dire di un libro: è bello, si legge velocemente; penso subito male di quel libro e del suo autore (in parte anche del lettore...)

Winfried Sebald non corre questo rischio, con la sua scrittura caratterizzata da una meticolosità descrittiva sicuramente non conciliante - una scrupolosità maniacale, dice lui stesso di sé, ossessiva e sempre più paralizzante - in particolare nella ricostruzione degli ambienti, interni ed esterni: stanze, case, edifici, strade, parchi, giardini, paesaggi.

Non è un vezzo il suo (sarebbe insopportabile), ma appunto una "vocazione metafisica", una una forma attraverso la quale si esprime il suo rapporto drammatico con la realtà o piuttosto con la memoria, con il ricordo, come in questo libro, Gli Emigrati:

Una volta colpiti dall'incantesimo, bisogna continuare con il lavoro incominciato - in questo caso dunque il ricordo, la scrittura e la lettura, finché non schianta il cuore.

Il mestiere di scrittore, dunque, e prima ancora il ricordo, come incantesimo crudele, come dannazione, ma anche come parziale salvezza contro l'oblio.

Gli Emigrati racconta le storie, intrecciate alla vita dell'autore, di quattro personaggi legati alle vicende del popolo ebraico, spaesati ed errabondi. Sebald ne ripercorre il cammino andando in cerca di amici e testimoni, diari, documenti, ritagli di giornali, fotografie, cartoline, e intessendo come sempre parola e immagine fotografica in un’investigazione che è anche indagine sul proprio sradicamento.

Sono storie di solitudine, isolamento, annichilimento (una reiterata istanza di congedo), spaesamento, incomprensione:

E si diventava di giorno in giorno, di ora in ora, da una pulsazione del cuore all'altra sempre più incomprensibili, più poveri di qualità, più astratti... sempre a una distanza di circa 2000 chilometri in linea d'aria - ma a una distanza da dove?

Storie caratterizzate da esiti tragici: il suicidio, la pazzia. Personaggi afflitti da un dolore insanabile (A un certo stadio il dolore cancella il proprio presupposto: la coscienza), da un rapporto insoluto con la memoria spesso fuggita o misconosciuta delle origini (Non volendo che più nulla e nessuno mi ricordasse le mie origini).

Ma allo struggente desiderio dei personaggi...di veder distrutti in sé, nel modo più radicale e irrevocabile, il raziocinio e la memoria si oppone l'ostinazione (l'incantesimo) dello scrittore che non vuole dimenticare, non vuole abbandonare quelle storie all'oblio, prende in mano il filo nascosto di quelle esistenze e prova pazientemente a dipanarlo, finché è in tempo.

Non a caso il libro finisce con la visione onirica delle tre Parche dallo sguardo implacabile, con in mano il fuso, il filo e le forbici. Tagliato il filo, smette ogni racconto. E scende l'oblio.

Ho spesso l'impressione...che il ricordo sia una forma di stoltezza. Ci rende la testa pesante, ci dà le vertigini, come se non si stesse guardando all'indietro attraverso le fughe del tempo, bensì giù verso la terra da grandi altitudini, da una di quelle torri che si perdono nel cielo.

Di Sebald avevo già scritto qui e qui, ringraziando l'amico caro che me lo aveva fatto conoscere.

lunedì 2 settembre 2013

Difficilissimo


"Scrivere è difficilissimo, esige molto da te, e per la maggior parte del tempo ti fa sentire stupido. Penso sempre che si cominci dalla parte stupida del libro per finire poi, se hai fortuna, con quella intelligente. Quando inizi ti senti inadeguato al compito. Non lo capisci nemmeno. E' così difficile che non ti preoccupi proprio dei critici, delle opinioni. Sembrano solo stronzate che succedono là fuori." (Salman Rushdie)

Prendo questa citazione dalla pagina Facebook di un giovane scrittore italiano, Enrico Macioci. Esprime perfettamente il mio rapporto non solo con la scrittura ma anche con la lettura. Nel senso che possono esserci autori "facili" e altri più difficili, ma in tutti cerco - da lettore - questo atteggiamento umile (il senso di inadeguatezza) nei confronti della scrittura e della stessa realtà da raccontare. Di norma è una garanzia di qualità.

martedì 10 maggio 2011

Scazzottando l'angelo


"Ho fatto i primi sei anni di scuola dalla suore [...] Fra gli otto e i dodici anni avevo l'abitudine di chiudermi ogni tanto a chiave in una stanza e facendo una faccia feroce (e cattiva), vorticavo torno torno coi pugni serrati scazzottando l'angelo. Si trattava dell'angelo custode del quale, secondo le suore, tutti eravamo provvisti. Non ti mollava un attimo. Lo disprezzavo da morire. Sono convinta di avergli addirittura mollato un calcione finendo lunga distesa".

Così Flannery O'Connor, scrittrice cattolica statunitense, in una lettera 17 gennaio 1956. ("Scrivo come scrivo perchè sono - non sebbene sia - cattolica").

L'aneddoto divertente è raccontato da Antonio Spadaro nel libro da poco pubblicato dalla Bur, "Il volto incompiuto. Saggi e lettere sul mestiere di scrivere". Una raccolta di testi inediti di Flannery O’Connor tradotti per la prima volta in Italia da Elena Buia e Andrew Rutt.

L'episodio citato diventa la chiave di lettura dell'intera esistenza di scrittrice di Flannery O'Connor, che in un saggio prima di morire scriveva che lo scrittore deve lottare come "Giacobbe con l'angelo [...] La stesura di un romanzo degno di questo nome è una sorta di duello personale".

Il dramma è in effetti il motore delle storie della scrittrice. Argomento principale della sua narrativa "l'azione della grazia in un territorio tenuto in gran parte dal diavolo". La violenza gratuita, il bizzarro e il grottesco, misto di comicita ed orrore, sono uno strumento di conoscenza della realtà. ("Sta all'artista scoprire la stranezza della verità").

E' una 'visione anti-emozionale del mondo' quella della O'Connor: "La narrativa riguarda tutto ciò che è umano e noi siamo polvere, dunque se disdegnate d'impolverarvi, non dovreste tentar di scriver narrativa".

La concretezza è una delle basi della sua poetica. "É la materia e la concretezza della vita che danno realtà al mistero del nostro essere nel mondo". Compito della scrittrice: "Rendere quanta più giustizia possibile all'universo visibile", perchè esso "è un riflesso di quello invisibile". Per la cattolicissima O'Connor - scrive Spadaro - 'non è il materiale a spiritualizzarsi, ma lo spirituale a materializzarsi'.

L'unico "obbligo" dello scrittore è quello di obbedienza nei confronti della realtà. Un obbligo che per uno scrittore cattolico è perfino maggiore, se è "convinto che il mondo naturale contenga il soprannaturale". Anche perché "più a lungo guardate un oggetto e più mondo ci vedrete dentro".

E "non vi sarà niente nella vita di troppo grottesco, o troppo 'non-cattolico', da non poter fornire materiale" per un romanzo, scrive la O'Connor in polemica con quei "lettori cattolici" che "non fanno che offendersi e scandalizzarsi". Perchè "tutta la realtà è il regno potenziale di Cristo".

"Lo scrittore cattolico - scrive ancora Flannery in maniera provocatoria - non deve essere un santo; non deve neppure essere cattolico; ma deve, purtroppo, essere uno scrittore… La prova finale per lui deve essere rappresentata dalle esigenze dell’arte, ben più severe delle esigenze della Chiesa".






giovedì 28 aprile 2011

Non ne soffocano abbastanza


"Non esiste una tecnica da scoprire e applicare che renda possibile scrivere... Una cosa che accompagna lo scrittore è il continuo apprendistato della scrittura. Non appena lo scrittore 'impara a scrivere'... è finito".

Flannery O'Connor, dal saggio Natura e scopo della narrativa, citato da Elisabetta Rasy su Domenica del Sole 24 Ore. L'occasione è l'uscita degli scritti inediti della scrittrice americana curati da Antonio Spadaro e tradotti da Elena Buia e Andrew Rutt per Rizzoli (Il volto incompiuto. Saggi e lettere sul mestiere di scrivere).

Tra le caratteristiche più amabili di questa straordinaria scrittrice e straordinaria donna, cattolica ortodossa, morta a 38 anni dopo una lunga e terribile malattia, c'è sicuramente l'ironia, la sua 'bizzarria', che traspare dai suo racconti, dal suo epistolario e dai suoi interventi 'accademici'.

"Ovunque vada mi chiedono se, secondo me, le università soffocano gli scrittori. Il mio parere è che non ne soffocano abbastanza. Con un buon insegnante più di un best-seller si sarebbe potuto prevenire".



giovedì 14 aprile 2011

The power of words


"Change your words, change your world".

A volte trovare le parole giuste può fare la differenza. Lo mostra un video molto bello che ho postato su bottega stampa, realizzato da un'agenzia specializzata nella produzione di contenuti per il web.

Il potere delle parole, the power of words.




venerdì 25 marzo 2011

Il primo debito


«Io per me, sapendo che la chiarezza è il primo debito dello scrittore, non ho mai lodata l'avarizia de' segni, e vedo che spesse volte una sola virgola ben messa dà luce a tutt'un periodo».

Giacomo Leopardi, in una lettera a Pietro Giordani (1820)


Sull'uso della virgola nello scrivere, ho scritto questo post su Bottega Stampa, citando un utile e divertente testo di Beppe Severgnini.



venerdì 30 aprile 2010

Una faticaccia


Lo scrittore è una persona per la quale scrivere è più difficile che per le altre.

(Thomas Mann, citato dallo scrittore Gianrico Carofiglio sull'inserto domenicale del Sole 24 Ore)

giovedì 23 luglio 2009

Popolare


Sul Corriere della Sera di oggi, un lungo articolo di Claudio Magris dedicato a Giovanni Guareschi, "l'anticomunista che amava i compagni".

Al di là del tema politico-ideologico, sempre legato in modo controverso all'autore di Don Camillo e Peppone, l'articolo di Magris ci aiuta a capire il valore della "vera" scrittura "popolare", spesso misconosciuta per una "concezione falsamente sofisticata e raffinata della letteratura", un "pregiudizio supponente nei confronti di ciò che appare facile e popolare".

Guareschi, scrive Magris, "è stato un vero scrittore popolare, qualità che oggi appare particolarmente carente nella nostra narrativa. Guareschi è popolare nel senso che sa realmente parlare a molti, raccontando qualcosa di essenziale (ad esempio il senso dell'amicizia, il piglio picaresco, gagliardo e malinconico del vivere) con una semplicità accessibile anche a chi non ha una profonda cultura, ma non a chi non ha cuore e non sa cosa significhi far baldoria con gli amici o preparare il Presepe quando si avvicina il Natale".

"Esattamente il contrario - precisa giustamente Magris - della fasulla popolarità costruita a tavolini di tanti odierni bestseller romanzeschi, apparentemente profondi per i problemi che esibiscono e in realtà superficiali per il semplicismo ancorchè serioso con cui li affrontano".


(L'immagine è recuperata dal sito www.cinemabaroni.com)





lunedì 6 ottobre 2008

Concisamente



«Ammonisco ed esorto infine i fratelli che, nella predicazione, le loro parole siano controllate e caste e tornino ad utilità e ad edificazione del popolo (…), e questo sia fatto concisamente, giacché "concisa fu la parola del Signore su questa terra" (Paolo, Epistola ai Romani)». Francesco d'Assisi, Regola 1223, IX Norma

E' bello scoprire, grazie a questa citazione suggerita da un amico, il Francesco "comunicatore", accanto al santo ed al poeta. Chi per mestiere, passione o vocazione è chiamato a comunicare, trova qui alcune regolette chiare, precise, incontrovertibili e straordinariamente attuali.

Parole "controllate" e "caste" (ovviamente non in senso moralistico) perchè siano di "utilità" ed "edificazione" (traduci = coerenti col messaggio). Il tutto "concisamente".


(Foto da Flickr/Dawnzy58)


martedì 15 gennaio 2008

Furia... e flemma

"Scrivi con furia, correggi con flemma".

Trovo casualmente questa frase del poeta inglese W.D. Roscommon (1633-1685) sulla newsletter speciale di gennaio dell'Art Directors Club Italiano, dal simpatico nome "Il Latore della presente". La trovo verissima e utilissima in entrambe le indicazioni, e la dedico a chi, come me, è troppo lento a scrivere e troppo rapido, forse, nel correggere.


(Foto da Flickr, creative commons, meike_g, Faith)

martedì 13 novembre 2007

Il giocatore invisibile - 2

Il giocatore invisibile contiene anche - come spesso nei libri di Pontiggia - utili indicazioni sulla scrittura e sul linguaggio. Qui non solo il protagonsita è filologo, e filologi sono i suoi colleghi, ma intrattiene anche una relazione con una giovane aspirante poetessa. Qualche frase tra le tante:

Sulla fatica di scrivere:
Scrivere gli costava una fatica enorme, «Sono un lago che deve uscire da un contagocce» gli aveva detto un giorno (p. 33)

Sulla sincerità in poesia:
«Mi sembra un po’ falso» dice il professore commentando il dattiloscritto della ragazza. E lei: «Se c’è una poesia sincera è questa». «Forse dovresti pensare meno alla sincerità». «Sei sempre stato tu a parlarne». «Sì, ma sbagliavo. Parlavo di un’altra sincerità. Tu adesso non fai che mentire in buona fede» (p.64-65)

Quello che vuole l'autore:
«Tanti testi corrispondono perfettamente a quello che vuole l’autore. Ma spesso è proprio questo il loro guaio» (p. 113)

Consigli:
«Parli molto di te con le parole degli altri. Andrà molto meglio quando parlerai agli altri con le parole tue» (p. 160)

«Quando togli va sempre bene» (p. 163)

Sul "tono":
«…Il tono è tutto. Oppure tu credi che contino le parole? Hai la superstizione che siano solo le parole a contare? » (p.49)