"Esiste uno stile cristiano di presenza anche nel mondo digitale: esso si concretizza in una forma di comunicazione onesta ed aperta, responsabile e rispettosa dell’altro" (Benedetto XVI)
mercoledì 14 gennaio 2015
L'incantesimo della memoria
E tuttavia, come mi sorprendo spesso a constatare, certe cosa hanno una loro maniera di fare ritorno, inaspettate e impreviste, magari dopo una più che lunga assenza.
Scriveva il critico Pietro Citati, qualche anno fa: "Con mio dolore, gli italiani non leggono Sebald: o lo leggono poco. Forse lo trovano «difficile». Ma tutta la vera letteratura è difficile, perché trasforma punti di vista, cambia lo sguardo, l'udito, i pensieri, le sensazioni degli esseri umani. Nato nel 1944, Sebald è stato il maggiore tra gli scrittori della sua generazione: nel mondo, non solo in Germania. Nessuno possedeva la sua passione, intelligenza, cultura, densità stilistica, tragedia. Nessuno aveva il suo dono fondamentale: trasformare la vocazione metafisica in scienza naturale e la scienza naturale in vocazione metafisica".
A me gli scrittori difficili piacciono, mi sono sempre piaciuti, per partito preso, per pregiudizio. E' verso la facilità di lettura che sono diffidente, ma in parte è un mio limite. Quando sento dire di un libro: è bello, si legge velocemente; penso subito male di quel libro e del suo autore (in parte anche del lettore...)
Winfried Sebald non corre questo rischio, con la sua scrittura caratterizzata da una meticolosità descrittiva sicuramente non conciliante - una scrupolosità maniacale, dice lui stesso di sé, ossessiva e sempre più paralizzante - in particolare nella ricostruzione degli ambienti, interni ed esterni: stanze, case, edifici, strade, parchi, giardini, paesaggi.
Non è un vezzo il suo (sarebbe insopportabile), ma appunto una "vocazione metafisica", una una forma attraverso la quale si esprime il suo rapporto drammatico con la realtà o piuttosto con la memoria, con il ricordo, come in questo libro, Gli Emigrati:
Una volta colpiti dall'incantesimo, bisogna continuare con il lavoro incominciato - in questo caso dunque il ricordo, la scrittura e la lettura, finché non schianta il cuore.
Il mestiere di scrittore, dunque, e prima ancora il ricordo, come incantesimo crudele, come dannazione, ma anche come parziale salvezza contro l'oblio.
Gli Emigrati racconta le storie, intrecciate alla vita dell'autore, di quattro personaggi legati alle vicende del popolo ebraico, spaesati ed errabondi. Sebald ne ripercorre il cammino andando in cerca di amici e testimoni, diari, documenti, ritagli di giornali, fotografie, cartoline, e intessendo come sempre parola e immagine fotografica in un’investigazione che è anche indagine sul proprio sradicamento.
Sono storie di solitudine, isolamento, annichilimento (una reiterata istanza di congedo), spaesamento, incomprensione:
E si diventava di giorno in giorno, di ora in ora, da una pulsazione del cuore all'altra sempre più incomprensibili, più poveri di qualità, più astratti... sempre a una distanza di circa 2000 chilometri in linea d'aria - ma a una distanza da dove?
Storie caratterizzate da esiti tragici: il suicidio, la pazzia. Personaggi afflitti da un dolore insanabile (A un certo stadio il dolore cancella il proprio presupposto: la coscienza), da un rapporto insoluto con la memoria spesso fuggita o misconosciuta delle origini (Non volendo che più nulla e nessuno mi ricordasse le mie origini).
Ma allo struggente desiderio dei personaggi...di veder distrutti in sé, nel modo più radicale e irrevocabile, il raziocinio e la memoria si oppone l'ostinazione (l'incantesimo) dello scrittore che non vuole dimenticare, non vuole abbandonare quelle storie all'oblio, prende in mano il filo nascosto di quelle esistenze e prova pazientemente a dipanarlo, finché è in tempo.
Non a caso il libro finisce con la visione onirica delle tre Parche dallo sguardo implacabile, con in mano il fuso, il filo e le forbici. Tagliato il filo, smette ogni racconto. E scende l'oblio.
Ho spesso l'impressione...che il ricordo sia una forma di stoltezza. Ci rende la testa pesante, ci dà le vertigini, come se non si stesse guardando all'indietro attraverso le fughe del tempo, bensì giù verso la terra da grandi altitudini, da una di quelle torri che si perdono nel cielo.
Di Sebald avevo già scritto qui e qui, ringraziando l'amico caro che me lo aveva fatto conoscere.
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