martedì 9 giugno 2009

Questo non mi giustifica


Pensò che la bellezza del mondo nascondeva un segreto, che il cuore del mondo batteva a un prezzo terribile, che la sofferenza e la bellezza del mondo crescevano di pari passo, ma in direzioni opposte, e che forse quella forbice vertiginosa esigeva il sangue di molta gente per la grazia di un semplice fiore.

Cormac McCarthy è diventato famoso fuori dagli Stati Uniti per la fortunata trasposizione cinematografica di un suo libro del 2005 - “Non è un paese per vecchi” – da parte dei fratelli Coen. Ma già da tempo chi conosce questo scrittore statunitense nativo di Providence – Rhode Island – e abitante a El Paso, in Texas, ne parla come di un “grande” della letteratura.

Da qualche giorno ho finito di leggere il primo dei suoi tre romanzi – “Cavalli selvaggi” – che fanno parte della “Trilogia della frontiera”, pubblicata da Einaudi nel 2008. Un volumone di oltre mille pagine regalatomi per il mio compleanno dall’amico Mauro, che non sbaglia mai un colpo in fatto di libri.

Cavalli selvaggi, ambientato nell’anno 1949, racconta la fuga a cavallo di due giovanissimi ragazzi dal Texas al Messico, attraverso una frontiera leggendaria. Sono “storie di apprendistato e di eterno vagabondare di cavalli e cavalieri” quelle raccontate nella Trilogia. Tre romanzi – si legge nella quarta di copertina – “che costituiscono un’autentica epica americana

Ciò che amava nei cavalli era la stessa cosa che amava negli uomini, il sangue e il calore del sangue che li animava. Tutta la sua stima, la sua simpatia, le sue propensioni andavano ai cuori ardenti. Così era e sempre sarebbe stato.

Scrive Alessandro Baricco nella prefazione al volume Einaudi: “Ogni tanto qualche scrittore riesce a cambiare le carte in tavola. A creare nuovi paesaggi. Non si limita a scrivere libri belli. Scrive libri che sono mondi radicalmente inediti. Spalanca la geografia della scrittura” (e della realtà, aggiungerei io)

Di McCarthy Baricco dice alcune cose fondamentali e assolutamente condivisibili. Le sue storie sono intessute di violenza e dolore, orrore e tragedia, ma niente a che vedere con il pulp. “Qui la violenza è sacra. È un simulacro che si aggira per la terra come un testo biblico che promette apocalissi (…in Messico il male è una realtà distinta che marcia sulle proprie gambe…). Non c’è niente di grottesco, non c’è niente da ridere”. McCarthy ha “la serietà di un profetache “prescrive il futuro”:

Credi che verrà un giorno in cui non sorgerà il sole? Sì, rispose John Grady, il giorno del giudizio.

Dicono che chi non conosce la storia è condannato a ripeterla, ma io non credo che conoscerla serva a qualcosa.

In McCarthy, scrive ancora Baricco, “il reale è una ferita”:

Sulle spine delle piante c’erano trafitti numerosi uccelli trascinati dal vento, piccole creature grigie e anonime impalate nell’atto di volare o afflosciate con le piume arruffate. Alcuni erano ancora vivi e al passaggio dei cavalli si contorcevano sulle spine sollevando il capo e pigolando, ma i cavalieri non si fermarono…

“C’è qualcosa nella sua scrittura che ricorda l’autorità che hanno le pietre…”:

Quelli che non vengono guariti dalla vita vengono guariti dalla morte.

I legami più stretti sono quelli creati dalla sofferenza. La comunione più profonda è quella basata sul dolore.

E i personaggi di queste storie, i protagonisti? “Gente che con pazienza infinita cerca di rimettere a posto il mondo. Di riportare le cose dove dovrebbero stare”. Costi quello che costi.

Un cavallo viene rubato. Incoscientemente il giovane proprietario, per riprenderselo, va incontro alla morte. Viene ucciso davanti ai suoi amici impotenti. Uno di questi arriva ad un passo dalla vendetta cruenta ma si trattiene, e poi confessa:

Volevo ucciderlo perché, quando ha portato il ragazzino fra gli alberi e l’ha freddato, io l’ho lasciato fare senza dir nulla.
Sarebbe servito a qualcosa?
Nossignore, ma questo non mi giustifica.

Non si può assistere all’ingiustizia lasciando fare, senza dir nulla. “Gli eroi di Mccarthy vivono per ricomporre il quadro sfigurato del mondo”.




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