venerdì 26 settembre 2008

Caro Babbo Natale



Per il fantastico mondo dei bambini, pubblico con gran piacere quanto mi ha scritto l'amica e collega Cinzia. Protagonista è la figlia Elisa, 7 anni.

Elisa ieri sera a voce bassissima prima di addormentarsi (preciso che a casa siamo io e lei e se io sono sveglia e lei pure non si capisce perché parla sottovoce…!!!!!): “mamma sai cosa vorrei chiedere quest’anno a Babbo Natale???? La play station portabile!!!!! Sai, siccome so che costa molto non la posso chiedere ai genitori…...allora la chiedo a Babbo Natale!!!!!!”


Nella foto (Flickr/Gary Bridgeman) la reazione dei genitori



giovedì 25 settembre 2008

Scherzi da preti



Lo so che la battuta è facile e scontata. Ma il nuovo segretario generale della Chiesa italiana che si chiama Crociata è troppo divertente. Chissà se ci hanno riso - pensandoci (ci hanno pensato?) - quelli che lo hanno nominato.








(Foto da Flickr/Puroticorico, creative commons)

lunedì 22 settembre 2008

I CAN (wish day come)



Ancora un preziosissimo saggio di Antonio Spadaro sulla poesia e l’ispirazione poetica, da cui impariamo (o ribadiamo) almeno 3 cose fondamentali.

1. La poesia, l’ispirazione, non è pura emozione, né puro sentimento, né pura astrazione, ma vera e propria forma di conoscenza “ulteriore” (cioè, che va oltre) del mondo.

Con le parole del poeta polacco Adam Zagajewski, l’ispirazione “è un certo stato mentale, eccezionale e straordinario”, che ci permette di “scrutare il mondo attentamente e ardentemente”.

2. La poesia non è solo malinconia, “abisso della notte”, ma anche gioia, “alba del mondo”.

L’intuizione, cioè, spinge il poeta verso una conoscenza più profonda e radicale di se stesso e della realtà, collocandolo sull’orlo dell’abisso della sua origine, del suo inizio, del suo destino. Se così non fosse, l’esperienza poetica diverrebbe un gioco fatuo, una combinazione di parole e figure, un passatempo. Ma l’esplorazione dell’abisso non finisce necessariamente in un baratro. Il “viaggio al termine della notte” (Celine) può condurre all’ “alba del mondo” (Pareyson)

3. L’ispirazione è decisione, non è solo intuizione: “una scelta di abisso”

Il poeta, cioè, può in qualche modo scegliere a quale abisso abbandonarsi. La poesia può essere testimone di una scelta tra due visioni della realtà e dell’esistenza, tra due modi di sentire la vita e l’essere stesso.

Scriveva Gerard Manley Hopkins (1844-1889) in Carrion Comfort (Conforto della carogna)

No, non farò banchetto di te, Disperazione, conforto da carogne (…)
Né stremato griderò: non posso più. Io posso
Posso qualcosa, spero, desidero che il giorno venga, non scelgo il non essere

(I can / Can something, hope, wish day come, not choose not to be)


Giunto cioè all’estremo grido – I can no more – sull’orlo dell’abisso, il poeta oppone alla disperazione l’incrollabile potere che gli resta: I can. Io posso sperare, io posso desiderare, io posso essere.

(foto da flickr/creative commons/Elika e Shannon)



giovedì 18 settembre 2008

Un uomo felice


«Un uomo non può in nessun modo meritare la visione di una stella o di un tramonto».

Ho finito di leggere la biografia di San Francesco di Assisi scritta da Gilbert K. Chesterton. Tra le tante frasi e annotazioni significative ho voluto segnalare questa, perché più di tutte esprime quella «grammatica della gratitudine» che per Chesterton è la cifra inconfondibile della vita di Francesco e della sua opera, la sua preziosissima eredità.

Francesco d’Assisi, «il solo poeta felice tra i tanti poeti infelici del mondo», vedeva il «mondo intero sospeso ad un capello per la grazia del Signore». Sapeva che «tutti noi dipendiamo in ogni istante e in ogni cosa da Dio (o dall’esistenza e dalla natura delle cose, direbbe un agnostico)». Questo senso di «sublime dipendenza» coincideva con il senso di «massima gratitudine», perché egli sapeva – spiega ancora Chesterton – che «noi possiamo valutare meglio il grande miracolo della nostra semplice esistenza, se riusciamo a comprendere che è solo una straordinaria grazia, che ci ha fatto esistere».

«E noi possiamo dire», scrive ancora Chesterton a proposito della morte di Francesco, immaginando il suo corpo posto nudo sulla nuda terra, per mostrare che non possedeva e non era nulla: «Noi possiamo dire, con certezza quasi assoluta, che e stelle che passarono sopra quel consunto cadavere, irrigidito sul duro suolo, per la prima e unica volta nei loro giri splendenti intorno al mondo della laboriosa umanità, videro, dall’alto, un uomo felice»


martedì 16 settembre 2008

Più forte del male



"La potenza dell’amore è più forte del male che ci minaccia“.

Così Benedetto XVI da Lourdes, dal testo della sua omelia. Segnalazione che recupero dal blog di Luigi Accattoli, vaticanista storico del Corriere (sta per andare in pensione...) ma soprattutto cristiano umile e sincero (oltre che colto e appassionato).

Luigi, che ha uno sguardo "poetico" sul mondo, invita a cogliere la bellezza di questa frase, la forza dirompente della sua semplicità. "Il preannuncio della grande notizia cristiana - scrive - da comunicare all’umanità sgomenta. Ma prima ogni cristiano dovrà dirla a se stesso fino a che non avrà trovato il giusto tono di voce per dirla agli altri".

Verissimo. E oggi so - più di quanto non sapessi ieri - quanto sia importante ripetere a me stesso questa frase, come fosse un mantra: "La potenza dell'amore è più forte del male che ci minaccia".

Tante altre cose il Papa ha detto nel suo viaggio in Francia, catturando l'attenzione dei giornali tra consensi e polemiche: la laicità, le unioni civili, le coppie risposate... Alcune di queste le capisco e le condivido, altre le comprendo meno. Ma su tutte quelle parole preferisco queste, poche, semplici, essenziali, che il cuore di ogni uomo segretamente invoca: "Nel mondo, c’è un amore più forte della morte, più forte delle nostre debolezze e dei nostri peccati. La potenza dell'amore è più forte del male che ci minaccia".



(Foto da Flickr/Beyond Forgetting)