"Non conoscerete niente senza l'amore" (Dostoevskil)
L'itinerario di Giovanni Casoli alla ricerca di Dio nella letteratura contemporanea - il primo saggio del libro Vangelo e letteratura (post precedente e post del 18 febbraio) - giunge alla fine con la terza situazione, quella in cui c'è una meta e la strada per raggiungerla, pur nella "morte di Dio".
Ad essa fa da ponte uno scrittore, Albert Camus, non credente né nella meta né nella strada, ma che nel suo appassionato umanesimo ateo si pone drammaticamente a camminare sul solco stesso del credente, per l'impulso di una solidarietà che supera le affermazioni e le negazioni stesse: "Noi lavoriamo insieme - dice ne La peste il non credente dott. Rieux al prete Paneloux - per qualcosa che riunisce oltre le bestemmie e le preghiere. Questo solo è importante". E aggiunge: "Quello che odio, è la morte e il male, lei lo sa. E che lei lo voglia o no, noi siamo insieme per sopportarli e combatterli. (...) Dio stesso ora non ci può separare".
Questo ponte che Camus costruisce tra ateismo sincero e fede sincera si chiama, dice Casoli, oltre ogni retorica, amore. Ed è qui che si incontra - insieme ad artisti molto grandi e grandissimi come
Millet (capace di trasformare l'infornatura del pane in un gesto eroico e santo), Rouault, l'epico del quotidiano, Gaudì l'architetto dei cieli aperti, Chagall il premonitore di cieli e terre nuove, Morandi il contemplativo della creazione - il narratore forse più grande di tutta l'età contemporanea, Fjodor Dostoevskij. Una grandezza e un genio non consistenti in affermazioni filosofiche o teologiche, ma nella rappresentazione della reale condizione umana, inferno e purgatorio, e dell'unico suo possibile riscatto che è l'amore capace di scendere negli inferi più profondi.
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