Quando nell'arca regale l'impeto del vento
e l'acqua agitata la trascinarono al largo,
Danae con sgomento, piangendo, distese amorosa
le mani su Perseo e disse: "O figlio,
quale pena soffro! Il tuo cuore non sa;
e profondamente tu dormi
così raccolto in questa notte senza luce di cielo,
nel buio del legno serrato da chiodi di rame.
E l'onda lunga dell'acqua del passa
sul tuo capo, non odi; né il rombo
dell'aria: nella rossa
vestina di lana, giaci; reclinato
al sonno il tuo bel viso.
Se tu sapessi ciò che è da temere,
il tuo piccolo orecchio sveglieresti alla mia voce.
Ma io prego: tu riposa, o figlio, e quiete
abbia il mare; ed il male senza fine
riposi. Un mutamento
avvenga ad un tuo gesto, Zeus padre;
e qualunque parola temeraria
io urli, perdonami!
la ragione m'abbandona".
(Simonide di Ceo, Lamento di Danae)
Dai Lirici Greci, tradotti da Salvatore Quasimodo (Mondadori, 1951)
John William Waterhouse, Danae e Perseo ritrovati nella cassa (1892) |
Nessun commento:
Posta un commento