Appollaiato in alto sul rigido stecco
Un corvo nero bagnato
Si aggiusta e si riaggiusta le piume nella pioggia.
Non mi aspetto un miracolo
O un evento
Che dia fuoco alla vista
Nel mio occhio, e nemmeno più cerco
Nella stagione mutevole un disegno,
Ma lascio che le foglie maculate cadano come capita,
Senza cerimonia, o presagio.
Benché, lo ammetto, io desideri
Ogni tanto qualche risposta
Dal cielo muto, in verità non posso lamentarmi:
Una luce modesta può sempre
Balzare incandescente
Dal tavolo di una cucina e da una sedia
Come se un ardore celestiale
Si impadronisse a tratti degli oggetti più ottusi
Consacrando così un intervallo
Altrimenti irrilevante
Con l'elargizione di doni, di onore,
Di amore, si potrebbe forse dire. Sia come sia, ora cammino
Guardinga (perché c'è caso che avvenga
Persino in questo grigio panorama in rovina); scettica
Eppure accorta; ignara
Di qualsivoglia angelo scegliesse di avvampare
D'un tratto al mio fianco. So soltanto che un corvo
Che si rassetta le piume può brillare a tal punto
Da afferrare i miei sensi, issare a forza
Le palpebre, e accordare
Una breve tregua alla paura
Della neutralità assoluta. Con un po' di fortuna,
Arrancando testarda in questa stagione
Faticosa, metterò
Insieme una contentezza,
Più o meno. I miracoli avvengono,
Se vogliamo chiamare miracoli quegli spasmodici
Scherzi di radianza. Ricomincia l'attesa,
La lunga attesa dell'angelo,
Di quella rara, aleatoria discesa.
(Sylvia Plath, Corvo nero in tempo piovoso, 1956)
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