mercoledì 30 luglio 2014

Scegli di essere gentile


So di non essere un normale ragazzino di dieci anni. Sì, insomma, faccio cose normali, naturalmente. Mangio il gelato. Vado in bicicletta. Gioco a palla. Ho l'Xbox. E cose come queste fanno di me una persona normale. Suppongo. E io mi sento normale. Voglio dire dentro. Ma so anche che i ragazzini normali non fanno fanno scappare via gli altri ragazzini normali tra urla e strepiti ai giardini. E so che la gente non li fissa a bocca aperta ovunque vadano. Se trovassi una lampada magica e potessi esprimere un desiderio, vorrei avere una faccia così normale da passare inosservato.

August, Auggie, è nato con la faccia deturpata da una tremenda malformazione (Non mi dilungo a descrivere il mio aspetto. Tanto, qualunque cosa stiate pensando, probabilmente è molto peggio).

Protetto dalla sua meravigliosa famiglia per i primi dieci anni della sua vita, adesso, per la prima volta, deve affrontare la scuola.

Inizia così il romanzo Wonder, di R.J. Palacio: l'intenso, divertente, emozionante racconto di un ragazzino che trova malgrado tutto il suo posto nel mondo, un libro con un grande cuore, un libro per i ragazzi e per i loro genitori: a me è stato segnalato da un padre, cui l'aveva consigliato il figlio.

Narrato in prima persona da August e dagli altri protagonisti, Wonder è un romanzo sull'amore incondizionato dei genitori nei confronti dei figli (Io la amo la tua faccia, Auggie - confida il padre), sull'amore bellissimo e difficile tra fratelli; un romanzo sulla scuola e l'insegnamento, sull'amicizia e la gestione delle relazioni, fin da piccoli. Un romanzo, infine, forse soprattutto, sulla gentilezza:

Quando ti viene data la possibilità di scegliere se avere ragione o essere gentile, scegli di essere gentile.

...

Se ogni singola persona (...) assumesse come regola quella di cercare, ovunque si trovi e ogni qual volta ne abbia la possibilità, di comportarsi in modo un po' più gentile del necessario, qualcun altro, da qualche altra parte, un giorno, qualcun altro potrebbe riconoscere in voi, in ognuno di voi, il volto di Dio.

Sulla quarta di copertina c'è scritto: "Fatevi un favore, leggete questo libro, la vostra vita sarà migliore". Un consiglio senz'altro da condividere.


lunedì 7 luglio 2014

Alla deriva


Sul ponte di coperta c'è un odore nauseabondo. I migranti non si sono potuti lavare per giorni. L'odore di sudore si mescola con quello dei gabinetti chimici e dell'urina. Quando ci si trova ammassati su una barca, senza potersi muovere, si è costretti a farsela addosso. Un uomo dell'equipaggio racconta che di notte i profughi sui barconi non si vedono, ma se ne percepisce l'odore.

Sulla rivista Internazionale il servizio della giornalista olandese Pauline Valkenet, a bordo della San Giorgio, una delle navi della marina che soccorrono i barconi carichi di migranti e profughi.

Tra loro sempre tanti bambini. Ogni volta che salgono a bordo, il medico della marina, una dottoressa, si mette nei panni dei genitori: quanto bisogna essere disperati per rischiare la fragile vita di un figlio in un viaggio pericoloso come questo?

Già. Quanto bisogna essere disperati?





Coloro che rispondono al nome di uomini



Ho finito di leggere un libro grande (750 pagine) ma soprattutto un grande libro, "immortale e terribile", come lo definisce Giovanni Casoli: Vita e destino di Vasilij Grossman (Biblioteca Adelphi). Il racconto realistico dell'assedio di Stalingrado da parte delle truppe tedesche, della follia nazista e dell'altrettanto folle e disumana dittatura sovietica.

Iniziava un nuovo giorno e la guerra si preparava a riempirlo generosamente, fino all'orlo, di fumo, pietrisco, ferro e bende sporche e insanguinate. I giorni precedenti non erano stati diversi. Al mondo non c'era altro che quella terra arata dal ferro, quel cielo in fiamme.

Finito di scrivere nel 1960 da uno scrittore "fra i più noti del realismo socialista sovietico e corrispondente di guerra di immensa popolarità",  il manoscritto fu confiscato dal KGB nel 1961 (insieme alla carta carbone, alle minute e persino ai nastri della macchina per scrivere). L'autore morirà di cancro a Mosca nel 1964. L'opera vedrà la luce in Svizzera nel 1980, ma in forma lacunosa, infine in Russia, nella versione integrale, ma solo nel 1990.

Dentro la Grande Storia, le storie di vita di tanti personaggi piccoli e grandi (anche Hitler e Stalin vengono ritratti nella loro piccola e delirante umanità), tutti alle prese con il loro destino. Soldati semplici e generali, operai e scienziati, uomini del partito e prigionieri politici, russi e tedeschi, mogli, mariti, amanti, figli e figlie, vecchi e giovani, vivi e morti (...tutti sono colpevoli di fronte a una madre che ha perso il figlio in guerra). Una grande epopea umana dagli accenti biblici, sferzata dalla violenza della guerra, dello Stato, del destino.

Il tempo è lo spazio trasparente in cui gli uomini nascono, si muovono e scompaiono senza lasciare traccia... Nel tempo nascono e muoiono anche le grandi città. Il tempo le crea e il tempo le distrugge.

Pagine memorabili sull'amore, la bontà, il dolore (...di enorme ed eterno come la terra c'era il dolore), la morte, la pietà, la scienza, la libertà dell'uomo e la sua dignità (...grande è la forza di una parola intelligente e libera), ma anche il suo contrario, la debolezza, le nefandezze, i tradimenti, la brutalità, l'infamia, la stupidità.

Il 15 settembre dell'anno passato ho visto giustiziare ventimila ebrei, donne, vecchi e bambini. Quel giorno ho capito che Dio non può aver permesso nulla di simile, e mi è parso evidente che non esiste.

...

- Là dove c'è violenza, regna il dolore e scorre il sangue. Le ho viste io, le sofferenze immani dei contadini, e la collettivizzazione era fatta a fin di bene. Non ci credo, io, nel bene, io credo nella bontà
- Dunque, a sentire lei, dovremmo inorridire anche quando, a fin di bene, qualcuno impiccherà Hitler o Himmler... 
- Se lo chiede a Hitler, le dirà che anche questo lager è a fin di bene.

...

Il secolo di Einstein e Planck era diventato anche il secolo di Hitler. La Gestapo e il Rinascimento scientifico erano figli della stessa epoca... I principi del nazismo e quelli della fisica contemporanea si somigliavano in modo terrificante. Il nazismo aveva respinto il concetto di individuo singolo, il concetto di persona, e agiva per insiemi enormi. La fisica contemporanea parlava di maggiori o minori probabilità dei fenomeni nel tale o talaltro insieme di individui fisici. Ma nel suo meccanismo spaventoso il nazismo non si fondava forse sulla legge della politica dei quanti, della probabilità politica? Il nazismo era pervenuto all'idea di eliminare interi strati della popolazione, insiemi legati dalla razza o dall'etnia, sulla base del fatto che in quegli strati e sottostrati la possibilità di un'opposizione nascosta o manifesta era maggiore che altrove. La meccanica delle probabilità e degli insiemi umani. E invece no! Il nazismo è destinato a perire proprio perché vuole applicare all'uomo le leggi degli atomi e dei ciottoli! 

...

Si strinse la mano al petto perché i battiti del suo cuore non disturbassero il loro sonno. In quella penombra provava un senso fortissimo e struggente di tenerezza, angoscia e pena per i suoi figli. Aveva voglia di abbracciarli tutti quanti, il maschio e la femmina, di baciare i loro visini addormentati. In quella stanza provava una tenerezza impotente, un amore irrazionale, e in quella stanza si perdeva d'animo, turbato, debole. 

...

La violenza estrema dei sistemi totalitari si è mostrata capace di paralizzare i cuori su interi continenti... Per sopravvivere l'istinto scende a patti con la coscienza. In suo soccorso sopraggiunge la forza ipnotica di idee grandiose. Che esortano a compiere qualunque sacrificio, a usare qualunque mezzo pur di raggiungere lo scopo supremo: la grandezza futura della Patria, la felicità del genere umano, di una nazione o di una classe, il progresso mondiale. Ma accanto all'istinto di conservazione e alla fascinazione delle teorie esiste anche una terza forza: la paura al cospetto della violenza senza limiti di uno Stato potente, il terrore di fronte all'assassinio posto a fondamento della quotidianità. In uno Stato totalitario la violenza è talmente grande che smette di essere strumento e diviene oggetto di culto e di esaltazione mistica e religiosa. 

... 

L'unica ragione ed eterna della lotta per la vita è l'uomo, la sua pudica unicità, il suo diritto a essere unico.

...

Si stupì che il cuore umano potesse essere tanto grande da costringere la guerra a farsi da parte.

...

Ha una dote straordinaria, la steppa. Una dote che possiede sempre, all'alba, in inverno e in estate, nelle notti scure di tempesta e in quelle terse. Perché sempre e comunque la steppa parla all'uomo di libertà. E la ricorda a chi l'ha perduta.

...

E dunque oltre al bene grande e minaccioso (in nome del quale - è il pensiero ricorrente di Grossman - si compiono da sempre le peggiori atrocità) esiste la bontà di tutti i giorni. La bontà della vecchia che porta un pezzo di pane a un prigioniero, la bontà del soldato che fa bere dalla sua borraccia un nemico ferito, la bontà della gioventù che ha pietà della vecchiaia, la bontà del contadino che nasconde un vecchio ebreo nel fienile. La bontà delle guardie che, a rischio della propria vita, fanno avere a mogli e madri le lettere dei prigionieri. È la bontà dell'uomo per l'altro uomo, una bontà senza testimoni, piccola, senza grandi teorie. La bontà degli uomini oltre al bene religioso e sociale... E questa bontà sciocca (illogica, fortuita) è quanto di umano c'è nell'uomo, è ciò che lo contraddistingue, è l'altezza cui lo spirito umano si eleva. La vita non è il male, ci dice.

Innumerevoli gli spunti e le suggestioni, il nucleo tematico di questo grande romanzo si raccoglie intorno al rapporto drammatico e decisivo, nella vita di ogni uomo, tra libertà e destino, come suggerisce il titolo stesso.

Chi ha peccato ha conosciuto sulla sua pelle la potenza - sterminata - dello Stato totalitario, una forza tremenda che incatena la libertà umana con la propaganda, la fame, la solitudine, col lager, la minaccia di morte, l'anonimato, l'ignominia. Ma a ogni passo che compie sotto la minaccia della miseria, della fame, del lager e della morte, l'uomo ha sempre e comunque accanto la propria volontà, libera e senza catene... Il destino prende per mano l'uomo e l'uomo diventa strumento di forze di sterminio: perché ci guadagna, non perché ci perde. Lui lo sa bene e sceglie di guadagnarci.

La dignità dell'uomo, dentro la tragedia della storia così come nella vita di ogni giorno, risiede alla fine nella sua capacità di restare umano, pur tra errori e fallimenti.

Sebbene confusi, colmi di amarezze, di dubbi e di segreto dolore, tutti speravano di trovare la felicità... Anche lei, vecchia com'era, campava di speranze, non perdeva la fiducia ma aveva paura del male, era piena di angosce per i vivi e non li distingueva dai morti. Era lì, in piedi a guardare le rovine della sua casa, a godersi il cielo di primavera senza neanche rendersene conto... (Ma) lo conosceva, lo capiva con tutto il cuore il senso della vita che era toccata a lei e ai suoi cari, e per quanto né lei né loro potessero dire cosa avesse in serbo la sorte, e per quanto sapessero tutti che in epoche tremende l'uomo non è più artefice del proprio destino e che è il destino del mondo ad arrogarsi il diritto di condannare o concedere la grazia, di portare agli allori o di ridurre in miseria...., tuttavia né il destino del mondo, né la storia, né la collera dello Stato, né battaglie gloriose e ingloriose erano in grado di cambiare coloro che rispondono al nome di uomini; ad attenderli potevano esserci la gloria per le imprese compiute oppure la solitudine, la disperazione, il bisogno, il lager e la morte, ma avrebbero comunque vissuto da uomini e da uomini sarebbero morti, e chi era già morto era comunque morto da uomo: è questa la vittoria amara ed eterna degli uomini su tutte le forze possenti e disumane che sempre sono state e sempre saranno nel mondo, su ciò che passa e ciò che resta.




venerdì 25 aprile 2014

Nessuno te l'ha detto


Morirono per la libertà, 
essi, a cui i padri non avevano insegnato 
a vivere liberi.

Ai martiri della Resistenza antifascista e antinazista, la grande poetessa Elena Bono, da poco scomparsa ultranovantenne, ha dedicato versi indimenticabili eppure ancora troppo poco conosciuti.

Per festeggiare la Festa odierna della Liberazione, e rendere contemporaneamente omaggio a questa grande poetessa, animata da una profondissima fede cattolica, ho scelto questi versi meravigliosi dalle "Stanze per Rinaldo Simonetti", detto "Cucciolo", fucilato per la libertà, appena bambino, nei boschi di Chiavari.

La poesia è composta di tre parti (stanze). Salto la prima, per lasciare spazio all'avvio folgorante della seconda. La terza stanza ci porta improvvisamente in una dimensione mistica, ultraterrena.

II

Fucilato è una parola importante
e tu te ne fai bello
nel tuo cimiterino
fra i candidi vecchioni
e i bambini lattanti
e le ragazze che invece dell'arancio
ebbero una corona di fiori di carta. 
T'ascoltano tutti
con grave attenzione ammirati, 
ma che cos'è la libertà 
questo non ci riesci 
per quanto ti provi 
a spiegarlo 
e finisce che sempre
con un grosso sospiro
ti smarrisci a guardare
nuvole e nebbie che vanno
insieme alla luna. 
I morti nella terra
i vivi nelle case, 
gli altri prendono sonno
e soli ad ora ad ora 
gridano i galli. 
Supino ancora guardi 
quelle lunari nuvole andare 
di là dai castagni 
come una volta. 

III

Nessuno te l'ha detto 
che un animo da re ci vuole 
per entrare negli alti 
palazzi della morte
non da qualunque porta 
alla rinfusa gettati 
ma dalla grande entrata 
a testa dritta 
graziosamente 
recando le ferite come fiori in dono
mentre il Signore si affretta all'incontro 
giù per la scalea aprendo le braccia. 
Nessuno te l'ha detto, 
ragazzo di campagna. 
Ma così tu sei entrato.


lunedì 10 febbraio 2014

Non ci credo


Non ci credo, io, nel bene. Io credo nella bontà.

Vasilij GrossmanVita e destino

domenica 9 febbraio 2014

Una dietro l'altra


Una dietro l'altra, le baracche formavano strade ampie e dritte. La ferocia disumana dell'enorme lager si esprimeva in quella regolarità perfetta. Le izbe russe sono milioni, ma non possono essercene - e non ce ne sono - due perfettamente identiche. Ciò che è vivo non ha copie. Due persone, due arbusti di rosa canina, non possono essere uguali, è impensabile... E dove la violenza cerca di cancellare varietà e differenze, la vita si spegne.

Vasilij Grossman, Vita e destino




sabato 8 febbraio 2014

Vale la pena


Riprendo a scrivere, ma soprattutto a leggere, dopo moltissimo tempo. Mi imbatto per caso, dentro casa, nella lettura di un libretto che non so neanche come è finito sul mio comodino. Sono 4 racconti di Ernest Hemingway raccolti nel volume "Sotto il crinale", tutti ambientati nella Spagna della guerra civile. Conservo nella memoria le poche frasi che qui appunto:

"Qualunque atto di bontà si possa fare nella propria vita, per piccolo che sia, vale senz'altro la pena di farlo" (La denuncia)

"Questa gaiezza malintesa che si scontra con la mortale serietà" (La farfalla e il carro armato)

"Quando le cose vanno bene e sei tu a sentirti giù di corda, un bicchiere può farti sentir meglio. Ma quando sono le cose ad andar male, e tu bene, un bicchiere non può far altro che chiarirti ulteriormente il concetto" (La sera prima della battaglia)

"Qual è la tua linea politica?" "Odio tutti gli stranieri" disse. "È un programma piuttosto vasto". "Odio i mori, gli inglesi, i francesi, gli italiani, i tedeschi, i nordamericani e i russi" (Sotto il crinale)


lunedì 2 settembre 2013

Difficilissimo


"Scrivere è difficilissimo, esige molto da te, e per la maggior parte del tempo ti fa sentire stupido. Penso sempre che si cominci dalla parte stupida del libro per finire poi, se hai fortuna, con quella intelligente. Quando inizi ti senti inadeguato al compito. Non lo capisci nemmeno. E' così difficile che non ti preoccupi proprio dei critici, delle opinioni. Sembrano solo stronzate che succedono là fuori." (Salman Rushdie)

Prendo questa citazione dalla pagina Facebook di un giovane scrittore italiano, Enrico Macioci. Esprime perfettamente il mio rapporto non solo con la scrittura ma anche con la lettura. Nel senso che possono esserci autori "facili" e altri più difficili, ma in tutti cerco - da lettore - questo atteggiamento umile (il senso di inadeguatezza) nei confronti della scrittura e della stessa realtà da raccontare. Di norma è una garanzia di qualità.

domenica 28 luglio 2013

La cathedra è il cuore



"Siamo riuniti un po’ in disparte, in questo posto preparato dal nostro fratello ..., per rimanere da soli e poter parlare da cuore a cuore".

Eccolo lo stile sorprendente di Papa Francesco, rivelato anche solo dallo stile dei suoi discorsi. Stile sorprendente perché evangelico, semplice come il Vangelo. Francesco è in Brasile nel suo primo viaggio pastorale, celebratissimo dai media nazionali e internazionali. Le folle lo accompagnano e lui si ferma "in disparte" a parlare con i vescovi brasiliani, come Gesù faceva con gli apostoli. Niente sa di cattedratico del suo discorso, niente di "formale", il Papa parla "da cuore a cuore", ma questo non scalfisce neanche per un'istante la sua autorevolezza. La sua cathedra è il suo cuore.

"Voglio abbracciare tutti e ciascuno" dice ai suoi fratelli vescovi, come ad ogni folla che incontra. E qui - mi si perdoni la sfrontatezza dell'accostamento - mi viene addirittura in mente la giovialità e la fisicità del giullare Roberto Benigni. "Godiamo di questo momento di riposo, di condivisione, di vera fraternità". Usa il verbo "godere" senza vergogna, questo Papa.

Francesco rievoca un episodio centrale della tradizione religiosa brasiliana - il ritrovamento in mare della statua di Nostra Signora di Aparecida, patrona del Brasile, da parte di alcuni pescatori - per parlare dell'agire di Dio e della Chiesa. "C’è qualcosa di perenne da imparare su Dio e sulla Chiesa in Aparecida".

Il primo insegnamento è quello dell'umiltà, "che appartiene a Dio come tratto essenziale". L'umiltà "è nel DNA di Dio".

Il secondo insegnamento rivela il modo di agire di Dio: "Dio è sorpresa": anche quando "le acque sono profonde... nascondono sempre la possibilità di Dio". E poi: "Dio entra sempre nelle vesti della pochezza".

La statua della Madonna che i pescatori tirano su dal mare è senza testa. I pescatori gettano le reti di nuovo per recuperare la parte mancante. Il mistero si mostra sempre "incompleto", a "pezzi", in attesa della rivelazione della sua pienezza. E invece, "noi vogliamo vedere troppo in fretta il tutto e Dio invece si fa vedere pian piano".

Quindi il tema della semplicità. "La gente semplice ha sempre spazio per far albergare il mistero. Forse abbiamo ridotto il nostro parlare del mistero ad una spiegazione razionale; nella gente, invece, il mistero entra dal cuore. Nella casa dei poveri Dio trova sempre posto". E allora: "Dio chiede di essere messo al riparo nella parte più calda di noi stessi: il cuore". La Chiesa deve ricordare sempre che "non può allontanarsi dalla semplicità, altrimenti disimpara il linguaggio del Mistero e resta fuori dalla porta del Mistero". "Abbiamo disimparato la semplicità, importando dal di fuori anche una razionalità aliena alla nostra gente. Senza la grammatica della semplicità, la Chiesa si priva delle condizioni che rendono possibile pescare Dio nelle acque profonde del suo Mistero".

Pescata la statua, i pescatori la portano a casa e chiamano i vicini a vedere la bellezza trovata. "Solo la bellezza di Dio può attrarre. La via di Dio è l’incanto che attrae. Dio si fa portare a casa. Egli risveglia nell’uomo il desiderio di custodirlo nella propria vita, nella propria casa, nel proprio cuore. Egli risveglia in noi il desiderio di chiamare i vicini per far conoscere la sua bellezza. La missione nasce proprio da questo fascino divino, da questo stupore dell’incontro".

L'ultima lezione è sui luoghi della rivelazione di Dio. Aparecida è comparsa in un luogo di incrocio tra Rio e San Paolo. "Dio appare negli incroci" ricorda Francesco ai vescovi, alla Chiesa, ai cristiani amanti dei recinti e dei confini.

Dal ricordo dell'episodio di Aparecida il Papa passa alle domande: "Che cosa chiede Dio a noi?". Che cosa ci chiede, in questa che "non è un’epoca di cambiamento, ma è un cambiamento d’epoca".

Francesco ricorre ora all'immagine dei discepoli di Emmaus per descrivere la situazione di quanti - tanti - abbandonano o hanno abbandonato la Chiesa, per i motivi più disparati. Perché la Chiesa per loro non ha più risposte. Perché non cercano più risposte, né nella Chiesa né altro. "Di fronte a questa situazione che cosa fare?" si domanda Francesco.

E la prima risposta per me è bellissima, quasi sconvolgente: "Serve una Chiesa che non abbia paura di entrare nella loro notte. Serve una Chiesa capace di incontrarli nella loro strada. Serve una Chiesa in grado di inserirsi nella loro conversazione". Via da ogni autoreferenzialità, capaci di mettere in gioco le proprie certezze.

Di fronte ad un panorama di smarrimento, di solitudine, di abbandono e di dolore spesso anestetizzato, "serve una Chiesa in grado di far compagnia, di andare al di là del semplice ascolto; una Chiesa che accompagna il cammino mettendosi in cammino con la gente; una Chiesa capace di decifrare la notte ...; una Chiesa che si renda conto di come le ragioni per le quali c’è gente che si allontana contengono già in se stesse anche le ragioni per un possibile ritorno, ma è necessario saper leggere il tutto con coraggio...". Una Chiesa capace di "dare calore" e "riscaldare il cuore". Ma ne siamo ancora capaci? - domanda Francesco provocatoriamente.

"Serve una Chiesa capace di riscoprire le viscere materne della misericordia. Senza la misericordia c’è poco da fare oggi per inserirsi in un mondo di “feriti”, che hanno bisogno di comprensione, di perdono, di amore".

Ne siamo ancora capaci?


(foto da http://www.chiesacattolica.it/giovani/)

lunedì 8 luglio 2013

Un'alba alla volta


Padre di luce e di potenza
del sacro spendersi
in lavoro e poi lavoro
stringi le tue mani di gigante,
senti quanta ancora ne possiedi
di forza per viaggiare nel futuro,
nel bene che hai creato,
un'alba alla volta.



Così apre la raccolta "Figlio" di Daniele Mencarelli, Edizioni Nottetempo. Già autore dei bellissimi versi del libro "Gesù Bambino", Marco Lodoli segnala su Repubblica oggi la sua ultima raccolta, poesie di un padre al figlio nell'epoca dell'incertezza.