domenica 20 settembre 2020

L'essenza della rosa

Buttate pure via
ogni opera in versi o prosa. 
Nessuno è mai riuscito a dire
cos'è, nella sua essenza, una rosa. 

Il libro di Andrea Marcolongo che ho appena ricevuto per regalo - Alla fonte delle parole. 99 etimologie che ci parlano di noi (Mondadori, 2019) - promette benissimo iniziando con questa citazione di Giorgio Caproni, che apre immediatamente mille riflessioni. 

Le parole, anche le migliori parole, non possono svelare il mistero delle cose, o almeno non posso svelarlo tutto, non possono esaurirlo. L'essenza delle cose è inesauribile, sfugge alle pretese di oggettivizzazione del linguaggio e del pensiero umano, soprattutto del pensiero maschile

"La rosa è senza perché" scriveva il mistico Angelus Silesius nel Seicento. 

È una verità che i poeti conoscono da sempre, almeno i veri poeti, e non ha nulla a che vedere con il romanticismo stucchevole della rosa (vale anche per il cactus), ma con la relazione vitale tra l'uomo e la realtà, mediata attraverso il linguaggio, la parola, e il silenzio. Una relazione mai scontata (pena la consapevolezza dell'umano), che può assumere i tratti della ricerca, dell'inseguimento, della seduzione o della "costante colluttazione", come osserva Marcolongo nella sua intensa introduzione sul valore militante e resistente dell'indagine etimologia ("De-costruire una parola per ri-costruirci come esseri umani", scolpito). 

Ma c'è un tratto di questa relazione che mi ha colpito ulteriormente, e vi ho accennato con l'aggettivo maschile usato più sopra per descrivere le pretese dello sguardo oggettivizzante o totalizzante sulla realtà. 

Per spiegare l'approccio del suo libro sulle parole, infatti, l'autrice cita come modello la grande grecista francese Jacqueline de Romilly, autrice a sua volta di un libro intitolato suggestivamente Nel giardino delle parole. "Il suo sguardo", commenta Andrea Marcolongo, non era "mai giudicante ma sempre meravigliato".

Associo istintivamente questa frase a un'altra appena letta in una recente, interessantissima, intervista della giornalista Roberta Scorranese alla psicologa femminista Silvia Vegetti Finzi, che dice a un certo punto, quasi incidentalmente: "Lo sguardo maschile è sempre giudicante". 

C'è dunque qualcosa di specificatamente e provvidenzialmente femminile nello sguardo (poetico) che sa penetrare la realtà delle cose (e delle persone), ma senza giudicarle, senza pretenderle di conoscerle interamente, definitivamente, di possederle dunque, di esaurirle e consumarle, ferirle e violarle. 

Lo sguardo del poeta sa che persino "dando un nome alle cose, si rischia di ferirle in mezzo al cuore con un colpo irrimediabile" (J. Green, Diario, 1928-1934).

Svelare la realtà è sempre una ri-velazione, un riconoscerne il mistero di cui è continuamente rivestita. 

(Il rosone della cattedrale Notre-Dame di Parigi) 


venerdì 18 settembre 2020

Bellezza morale

«Per me la bellezza è sempre una “bellezza morale”; ma questa bellezza giunge sempre a noi mediata: attraverso la poesia, o la filosofia, o la pratica; il solo caso di “bellezza morale” non mediata, ma immediata, allo stato puro, io l’ho sperimentato nel Vangelo».

Pier Paolo Pasolini, in una lettera al produttore Alfredo Bini del giugno 1963, citata da padre Virgilio Fantuzzi in un articolo su Civiltà Cattolica del 2013.








La felicità all'improvviso

Dopo Leviatan, letto il primo dei tre Diari (Journal) di Julien Green, contenente le sue annotazioni personali dal 1928 al 1934.

Il volume, di circa 200 pagine, veniva pubblicato nel 1946 in Italia da Arnoldo Mosca Mondadori, nella collana Arianna, dedicata al "filo" (illustrato anche in copertina) della memoria.

Nella prefazione, il traduttore Libero de Libero scrive che Green si aggira nelle sue pagine "nei dintorni di Emmaus", come nell'episodio evangelico, per quel suo racconto faticoso e lento ma "fecondo di rivelazioni".

Ci sono nei Vangeli - si legge nel Diario - molte parole oscure e quello che noi capiamo di quei libri, quello che capiamo con tutto il cuore, si riduce probabilmente a qualche versetto. Ma io credo pure che alcune chiese ritenute eterne dovranno scomparire e farsi dimenticare prima che tutte le parole di Cristo trovino il loro compimento.. 

Le rivelazioni di Green, improvvise, riguardano molte volte e sorprendentemente l'esperienza della felicità: il nostro non può dirsi certo, infatti, un autore allegro o spensierato. 

Sono felice, ma in un modo inesprimibile

... 

Mi sentivo così felice che ne ridevo da solo, a letto. 

... 

Non si racconta la felicità, ma ci sono momenti in cui essa s'insedia in noi, senza ragione apparente, nel cuore d'una malattia, o durante una passeggiata attraverso i prati, o in una stanza buia in cui ci si annoia; d'improvviso ci si sente assurdamente felici, felici da morire, allo scopo di prolungare all'infinito quell'istante straordinario. 

... 

All'improvviso ho sentito la presenza indescrivibile della felicità

Eppure non sono certo anni felici quelli vissuti e raccontati nel Diario. Ricorrente è il pensiero cupo e presago sulle sorti dell'Europa negli anni a venire.

1931. La visita di M. m'ha depresso. Secondo lui, il mondo è vicino alla fine, che dico, noi già scivoliamo nell'abisso (...) Se la guerra non si farà, s'incaricherà la rivoluzione di annientarci. Tutto sta per crollare. La Germania si butterà forse in una guerra senza speranza, per una specie di suicidio...

... 

1934. Nell'Europa del 1934 l'assassinio chiama l'assassinio con una forza irresistibile. Fin dove si può arrivare senza che la guerra scoppi? 

Ricorrente è il tema della morte, legato a quello della memoria

Morire...vuol dire lasciar per sempre il mondo del ricordo e la morte mi si presenta prima d'ogni altra cosa come una perdita assoluta e definitiva della nostra memoria. 

... 

Quando penso a tutta la parte della mia vita che è già scomparsa interamente dalla mia memoria, tremo come si trattasse d'una morte parziale dell'esser mio. 

Ma la morte può essere anche, sorprendentemente, una specie di liberazione

Come dire la bellezza del mondo? Ci sono giorni in cui ne sono oppresso come da un peso enorme. Sotto tutti gli aspetti, essa mi rapisce. Un tempo, né partivo così vivamente che la morte mi appariva (orribile a dirsi) come una specie di liberazione dalla gioia...

O ancora, la morte è il più bello dei paesi lontani. 

Anche la verità è una rivelazione, quasi impossibile, in un tempo così oscuro. 

Diventa impossibile, dopo aver abusato a lungo delle parole, far dire ad esse la verità.

... 

Tutto mi pare vano e falso, salvo alcuni dipinti, qualche pagina di musica e qualche poesia.

... 

Tutto è altrove. Nulla è vero se non il dondolarsi d'un ramo nel cielo.
 
La rivelazione della verità è l'amore.

Nel caos di illusioni in cui siamo cacciati, una sola cosa rimane vera: l'amore. Il resto è nulla.

... 

Spesso, pensando alla morte, mi dico che sarà come un risveglio. Ci sarà qualcuno che mi dirà: "Ebbene, hai visto cos'era? Che ne pensi? Non valeva la pena d'aver paura" . E m'interrogheranno come s'interroga un viaggiatore. Ma io non mi ricorderò che dell'amore.

martedì 1 settembre 2020

Un'altra bellezza

Quale bellezza salverà il mondo? Se lo domanda padre Gustav Schorghofer su La Civiltà Cattolica, rievocando Dostoevskij. 

Non è bello solo ciò che è piacevole. Non è bello solo ciò che armonioso e nobile. La bellezza non è più immediatamente data, come forse era in passato, ma va cercata, va scoperta, va riconosciuta, perché la percezione della bellezza è un processo di apprendimento infinito. 

Padre Schorghofer, che opera a Vienna nel campo della pastorale degli artisti, invita a rivolgersi proprio a loro (e ai poeti, ai mistici, agli amanti) per imparare a riconoscere questa bellezza diversa, una bellezza altra, non paragonabile a quella del passato, perché essa non si impone con la forza delle belle forme. 

In particolare, dice l'autore, l'arte del XX secolo ci ha insegnato a riconoscere la bellezza in molte cose, a scoprirla anche là dove prima si vedevano soltanto sporcizia e rifiuti. Padre Schorghofer cita a mo' d'esempio l'artista tedesco Kurt Schwitters e il movimento dell'arte povera, ma più in generale il discorso può estendersi a tutta l'arte informale del Novecento, che ha frantumato non solo i canoni estetici ma anche i procedimenti artistici tradizionali, componendo spesso le proprie opere utilizzando e assemblando materiali di recupero e oggetti di scarto. 

Quest'arte ci insegna che la bellezza di Dio si rivela anche nei rifiuti, negli scarti, nella spazzatura. È lo sguardo degli artisti, dei santi e dei bambini. Una bellezza misteriosa e spesso scandalosa, che va saputa intendere e interpretare. 

Il grande compito dei cristiani - scrive l'autore - è senza dubbio quello di imparare a percepire tali opere sempre più nel contesto di un misticismo cristiano.