domenica 19 gennaio 2020

Uscita di sicurezza

Uscita di sicurezza è una raccolta di scritti di Ignazio Silone, pubblicati nel 1965, che costituiscono una sua ideale autobiografia. 

Si parte dal racconto della sua adolescenza vissuta nel fondo della provincia italiana, tra i cafoni resi immortali dai suoi romanzi; si passa al periodo di militanza del partito comunista italiano, come esule antifascista, e al distacco da quel partito per il rifiuto assoluto di ogni totalitarismo, che è il nodo centrale, drammatico, della sua intera esistenza; si finisce alla riflessione sul nichilismo e sui motivi contraddittori che rendono ambiguo l'evolversi della società contemporanea del benessere diffuso.

Uscita di sicurezza è, in particolare, uno dei dieci scritti che compongono la raccolta e che dà il titolo all'intero volume. Apparso la prima volta in rivista nel 1949, destò inevitabilmente un clamore tale che lo stesso leader del partito comunista italiano, Togliatti, fu costretto a rispondere.

Si tratta di un racconto autobiografico di grande forza, lucidità e drammatica bellezza, mosso dall'assoluta necessità di testimoniare, di affermare il senso e limiti di una dolorosa ma definitiva rottura, e di una più sincera fedeltà

Silone racconta da principio come da emigrato e poi esule antifascista diventa dirigente del partito comunista italiano, un partito che si faceva famiglia scuola chiesa e caserma

Il suo ingresso nel partito aveva rappresentato l'esito di una prima uscita di sicurezza, l'uscita dalla solitudine insopportabile della sua terra, alla scoperta di un nuovo continente, la città di Milano e il primo contatto con il movimento operaio.

La partecipazione ai congressi e alle riunioni del partito a Mosca, il contatto con i dirigenti comunisti più autorevoli, Stalin e Tortzky su tutti, gli aveva drammaticamente rivelato la loro assoluta incapacità di discutere lealmente le opinioni contrarie alle proprie. Il dissenziente, per il semplice fatto che osava contraddire, era senz'altro un opportunista, se non addirittura un traditore e un venduto. Un avversario in buonafede sembrava per i comunisti russi inconcepibile.

Mentre osserva la rivoluzione divorare i suoi figli prediletti, Silone si interroga sullo scandaloso paradosso di "Come si possa, militando nel movimento comunista, diventare fascista".

Con l'ingenua spontaneità del sovversivo provinciale, Silone denuncia un sistema gli si era manifestato, puramente e semplicemente, come regno dell'arbitro.

Il comunismo, sorto dalle più profonde contraddizioni della società moderna, le riproduceva tutte nel suo seno, e con esacerbata virulenza. 

Silone vive queste contraddizioni come un dramma personale e familiare, richiamando la memoria di quanti comunisti vivono in clandestinità e vengono perseguitati dal regime fascista. "In Italia, finché governa il fascismo non puoi tornare", gli ricorda Giuseppe Di Vittorio. "All'estero, senza carte non puoi fermarti. Non hai i mezzi di sussistenza. Non hai buona salute. Tuo fratello è in carcere per il Partito (morirà di lì a poco). Tutti i tuoi amici sono nel Partito e romperebbero con te appena tu ne uscissi. Contro il fascismo non v'è altra forza fuori della nostra". 

La situazione all'interno del partito diventa per Silone insostenibile. La sua espulsione, la sua seconda uscita di sicurezza, arriva nel 1931. 

La verità è questa: l'uscita dal Partito comunista fu per me una data assai triste, un grave lutto, il lutto della mia gioventù

mercoledì 8 gennaio 2020

Codice di sopravvivenza

Un "telescopio puntato sulla vita", uno "strumento prodigioso di lettura dell’esperienza individuale e collettiva", un "codice di sopravvivenza del nostro stare al mondo".

La storica rivista Civiltà Cattolica torna a parlare della letteratura e delle sue ragioni in un recente preziosissimo articolo (Perchè la letteratura?) firmato dal card. José Tolentino de Mendonça, teologo e poeta, archivista e bibliotecario della Santa Sede. Un articolo da conservare per la sua forza e la sua chiarezza anche sul rapporto tra fede e letteratura. Alcune perle:

"Non comprende veramente una determinata tradizione culturale chi ignora la sua letteratura. Non comprende l’essere umano, nella sua universalità, chi ignora le testimonianze poetiche che esso è andato inanellando nel corso dei millenni". Abbiamo dunque bisogno della letteratura "non come di un ornamento gradevole ma tutto sommato superfluo del nostro habitat spirituale, bensì come di una sua struttura portante, un codice di sopravvivenza del nostro stare al mondo".

"Uno dei drammi del cristianesimo e delle religioni del nostro tempo, è la crescente dislocazione della sua autocomprensione al di fuori dall’orizzonte della letteratura: sempre meno la pratica religiosa contemporanea ricorre alla letteratura per articolare le proprie rappresentazioni di fede, e sempre meno la letteratura ricorre al loro discorso come risorsa di senso".

"È perciò una responsabilità urgente e gravissima della Chiesa, di tutti i credenti, riattivare processi culturali che sbocchino nella creazione di codici e chiavi di lettura del presente (...) rispondenti alle sofisticate richieste avanzate dalla storia contemporanea", rimettere in moto "l’indispensabile dinamica creativa fra fede e cultura", superando gli approcci egemonici del passato.

L'obiettivo e la responsabilità è di far nascere qualcosa di cui non solo la Chiesa, ma tutta la società ha disperatamente bisogno: "non una letteratura cristiana, che appartiene a un modello di civiltà del passato, ma una letteratura che faccia della fede cristiana (...) una risorsa di senso per l’umanità del nostro tempo".

L'articolo merita di essere letto, meditato e condiviso integralmente.

venerdì 3 gennaio 2020

Non resistenza

Romanzo sorprendentemente "cristologico". Luca, il protagonista, sconta da innocente in carcere una condanna di 40 anni per un omicidio che non ha mai commesso. Affronta il processo senza difendersi, restando mite e mansueto, per fedeltà ad un amore segreto, che non poteva essere rivelato apertamente, pena il suo tradimento. Nei suoi confronti, l'ostilità dei giudici e dell'intero Paese.

Durante l'interrogatorio egli guardava fisso qualcosa sulla parete, al di sopra del presidente [del tribunale]. "Cosa guardate?" gli gridò il presidente. "Gesù in croce" gli rispose Luca; "non è permesso?" "Dovete guardare in faccia chi vi parla" gridò il presidente. "Scusate" replicò Luca "ma anche Lui mi parla; perché non lo fate tacere?" Puoi immaginare l'ilarità del pubblico (del processo). Era uno spettacolo assurdo e spaventoso. Alla fine del dibattimento, come d'uso, il presidente chiese all'imputato se avesse da dire qualcosa, prima che i giurati si ritirassero in camera di consiglio. Luca mosse lievemente le labbra. "Più forte" gridò il presidente. Ma Luca arrossì e lo guardò imbarazzato. "Che cosa avete detto?" Insisté il presidente. "Che iddio vi perdoni" disse Luca. La sua non resistenza era spaventosa. Avesse bestemmiato, inveito, minacciato; invece era mite e mansueto. Negava di essere stato l'omicida, ma assisteva alla sfilata dei testimoni che accumulavano indizi contro di lui, come a uno spettacolo che non lo riguardasse.