martedì 30 ottobre 2007

Meditazione e preghiera cristiana

Il 9 ottobre scorso alla bibioteca Vallicelliana ho assistito ad una conferenza del ciclo "Le vie della conoscenza" dedicata al rapporto tra meditazione profonda e preghiera cristiana. Relatore Marco Guzzi. Ne offro qui una sintesi ai fini di una maggiore mia chiarezza e a beneficio - si spera - di qualche malcapitato lettore.

Ogni tradizione spirituale - ha esordito Marco - ci dice che la nostra esperienza sensibile ordinaria e l’elaborazione concettuale che ne deriva è in qualche misura erronea, parziale, distorta, illusoria. Non è, insomma, la realtà. Per la tradizione ebraico-cristiana il mondo – con dentro la morte, il male, la malattia – è una realtà corrotta, di tenebre e ignoranza, sulla quale non possiamo fondare la nostra vita. San Paolo esorta in continuazione a non conformare la nostra mente e la nostra vita a questo mondo, ma a rinnovare la nostra mente. Noi purtroppo traduciamo tutto in termini moralistici. La stessa idea marxista dell’alienazione è frutto di questa idea religiosa originaria. Così la psicoanalisi è un processo di “disalienzazione”. Quando ci dimentichiamo di essere alienati vuol dire che lo siamo del tutto.

Se il presupposto è questo,cosa desideriamo quando ci mettiamo in meditazione? Desideriamo uscire da questo stato ordinario di sofferenza e di alienazione. Non a caso meditazione e medicina hanno la stessa radice, med, curare.

La cura consiste in due passaggi fondamentali: svuotarsi e lasciarsi rifare, ricostruire, ristorare (Matteo 11,28: Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò...)

Nella fase di svuotamento, riconosciamo le voci distorte che vogliono occupare il nostro cuore. Per metterle a tacere le devi prima riconoscere. Se non le vedi vuol dire che ci hai messo una pietra sopra. Riconosco quindi ciò che c’è di negativo e non mi ci identifico. Ma ci vuole silenzio per riconoscere le voci. Occorre osservare ciò che ci abita, lasciarlo emergere, senza rimuoverlo, e lasciarlo andare. La psicologia ci può aiutare a riconoscere gli automatismi mentali, ed evitare che la meditazione diventi rimozione. Un sano lavoro psicologico svolge una funzione purificatrice essenziale sulla pratica spirituale per evitare che diventi, come tende sempre, una forma di difesa.

Più ci dis-identifichiamo, più conquistiamo stati di pacificazione e integrazione. Scendo al di sotto dei vaneggiamenti della mente, in uno spazio di libertà e di silenzio in cui scopro di non essere del tutto determinato dagli automatismi ereditati dal passato. Questa libertà è gaudio, sollievo, annuncio che io sono qualcos’altro da tutto ciò che mi ferisce e mi confonde. Scopriamo di essere abissali. Liberi perché trascendenti le cose del mondo. Trascendenti perché aperti all’infinito.

Questa condizione è ciò che l’uomo può conoscere da sé. La ritroviamo in ogni tradizione. L’uomo da solo presagisce la sua infinità, la sua natura spirituale, trascendente. Ma resta ancora indefinito moltissimo. Chi sono io in questa apertura all’infinito? C’è ancora un io? Cosa o chi è questo infinito? Sentiamo che è una fonte, ma cos’è? Chi è? Non possiamo farne esperienza ‘naturalmente’. Non sappiamo se c’è un disegno salvifico. Non sappiamo la causa e il senso del dolore e della morte…

Giunti cioè alla mortificazione dell’uomo vecchio, silenziate le parti negative, raggiunta la vacuità della mente, ognuno di noi farà esperienza di ciò cui crede, ciò cui già prima avrà aderito per fede. Non esiste cioè un’esperienza spirituale naturale. C’è sempre una rivelazione. Si fa esperienza di ciò cui si decide liberamente di credere. Non si può vivere un’esperienza spirituale senza il rischio della fede, dell’adesione umile e concreta ad una fede storica. A noi non piace scegliere: perché rinunciare all’infinità del possibile? Ma la vera libertà è scegliere il possibile concreto. Non si superano le religioni storiche. I santi sono radicati nelle più modeste tradizioni spirituali. Le sintesi sono illusorie, sono l’opposto del dialogo. E’ la vera morte dell’ego: farai esperienza solo di ciò cui avrai creduto.

Il tuo nuovo io ‘ristorato’ sarò dunque costituito dalle parole cui avrai dato il cuore, dalle parole cui hai creduto. Il mio io viene riformulato dalle parole bene-dette di Dio, in quel dialogo che è la preghiera cristiana. Quindi la meditazione silenziosa non è la meta della preghiera ma un continuo passaggio. La meta, l’assoluto, per il cristiano, è la comunione con Dio, la libera comunione tra due persone che si parlano, non il silenzio quindi né l’unità indistinta. E’ un dialogo che si dipana in una storia, nel tempo, ecco perché ho bisogno della preghiera quotidiana, della lectio quotidiana, del pane quotidiano. Per non dimenticare e ridire ogni giorno le parole di Dio: "Dicendo le parole che ascolti diventi me"

lunedì 29 ottobre 2007

Deporre e rivestire, i verbi della preghiera

Primo. Cosa manca alla mia preghiera? Secondo. Cosa vorrei dalla mia preghiera? Due domande dirette cui rispondere altrettanto direttamente, “senza ragionamenti”. Così abbiamo iniziato quest’anno gli incontri della fraternità delle giovani coppie, a San Frumenzio. A porre le domande Marco Guzzi, venuto a raccontarci l’esperienza della preghiera. Ed ecco le risposte, in fila. Cosa manca alla mia pratica di preghiera? La pratica (!), la continuità, il silenzio, la capacità di abbandono, di svuotare la mente. Cosa vorrei raggiungere: l’intimità con dio; la condivisione con il marito/la moglie; “sentire” la Parola di dio anziché capirla (anzi, spesso capire la Parola mi impedisce di sentirla); riuscire ad avere quella forza che mi spinga a vivere diversamente, vivere un dialogo ininterrotto con Gesù; ritrovare lo sguardo di Dio su di me; rinnovarmi interiormente.

Quello che desideriamo dalla preghiera – ha commentato Marco – è ciò che desideriamo dalla vita”. Il che significa che “siamo la preghiera che viviamo”: “Quello che riusciamo a vivere nella preghiera, lo viviamo nella vita. Ciò che ci manca nella preghiera, viene a mancarci nella vita”.

Come può essere, allora, o deve essere questa preghiera? Marco invita a leggere San Paolo, la lettera agli Efesini, il capitolo 4, 17-24

non comportatevi più come i pagani nella vanità della loro mente, accecati nei loro pensieri, estranei alla vita di Dio a causa dell`ignoranza che è in loro, e per la durezza del loro cuore ... Ma voi non così avete imparato a conoscere Cristo, … dovete deporre l`uomo vecchio …, l`uomo che si corrompe dietro le passioni ingannatrici. Dovete rinnovarvi nello spirito della vostra mente e rivestire l`uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera.

O anche Colossesi 3, 8-11

Ora invece deponete anche voi tutte queste cose... Non mentitevi gli uni gli altri. Vi siete infatti spogliati dell`uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo, che si rinnova, per una piena conoscenza, ad immagine del suo Creatore.

“Deporre” e “rivestire” sono i due verbi della preghiera secondo Marco. Ma il primo lo trascuriamo spesso, rendendo di fatto vano anche il secondo.

giovedì 25 ottobre 2007

Chiudere gli occhi e guardare

Così semplice era tutto: chiudere gli occhi e guardare. Inizia con questo verso di una bellezza folgorante - "un verso tra i massimi del Novecento" - la raccolta poetica di Elena Bono che trovo recensita sul n.20 di Città Nuova da Giovanni Casoli (Elena Bono, Opera omnia, Le Mani, Genova-Recco, pp.448, euro 20.00). La casa editrice è pressoché sconosciuta ma è quella di sempre - annota Casoli - come sempre "andando incontro a un destino di incomprensione pari alla sua grandezza", per aver "perseguito con ascetica dedizione la congiunzione assoluta di etica ed estetica". Qui il virgolettato è del critico Elio Gionaola, che ha sritto l'introduzione al volume. Ma chi è Elena Bono? "La più grande scrittrice vivente", la definisce lo stesso Giovanni Casoli nella sua antologia del ‘900 e di lei scrive Stas’ Gawronski per RAI libro: "La più grande scrittrice italiana del dopoguerra", aggiungendo anche, "ma sono in pochi a saperlo". Personalmente, la prima cosa che leggo di lei, oggi ottantaseienne, scrittrice di romanzi e di opere teatrali, è questo verso d'apertura, che mi ha convinto ad ordinare subito il libro. Ma altri versi citati nella recensione di Casoli fanno tremare i polsi, come questi dedicati ai resistenti antifascisti e antinazisti:

Nessun te l'ha detto
che un animo da re ci vuole
per entrare negli alti
palazzi della morte,
non da qualunque porta
alla rinfusa gettati
ma dalla grande entrata
a testa dritta
graziosamente
recando le ferite come fiori in dono
mentre il Signore si affretta all'incontro
giù per la scalea aprendo le braccia.
Nessuno te l'ha detto,
ragazzo di campagna.
Ma così tu sei entrato
.

O ancora, sulla solitudine feconda: Il cuore più solitario di tutti/ a tutti appartiene. Sul tema della morte, infine, sul morire quotidiano, con radicalità evangelica e giocosità francescana: Canto quel tutto che s'acquista/ tutto perdendo. Non vedo l'ora che arrivi il libro per perdermi nella sua lettura.

mercoledì 24 ottobre 2007

Costruire relazioni

"La finalità delle attività di comunicazione è costruire relazioni". Sul mensile della Ferpi, Relazioni Pubbliche, trovo questa frase come premessa all'intervista a Maria Elena Caporaletti, responsabile comunicazione Poste Italiane. Mi colpisce perchè sono abituato a pensare - e a raccontare - che la finalità della comunicazione sia lo sviluppo - comunicare per crescere - rispetto a cui la costruzione di relazioni assume un valore strumentale, seppure indispensabile - la comunicazione è efficace (o vera) quando si fonda su una relazione biunivoca con un interlocutore definito e riconosciuto. Non si parla a qualcuno, si parla con qualcuno. Qui c'è invece un passaggio ulteriore. La costruzione di relazioni non è più una premessa, un onere a volte, una necessità mal sopportata dai tuoi capi. Diventa un obiettivo produttivo, la finalità pratica della tua azione strategica così come dell'attività quotidiana. Gli strumenti si sopportano, gli obiettivi si desiderano. Sarà forse più facile in questo modo convincere finalmente i capi ad investire 'a monte' sulla comunicazione, piuttosto che utilizzarla 'a valle' come strumento pubblicitario. La comunicazione - e con essa le relazioni - se intesa come obiettivo d'investimento può risalire la china del processo organizzativo e decisionale di un'organizzazione, abbandonando la posizione appendicolare cui viene di norma relegata.
Non a caso nell'intervista Caporetti afferma: "la comunicazione è un aspetto fondamentale delle strategie del gruppo...per questo non vi è processo decisionale nel Gruppo che non sia condiviso con tutti gli attori del gioco". E ancora: "Riteniamo la coerenza e la congruenza tra la comunicazione esterna ed interna un fattore estremamente importante per il Gruppo, proprio nell'indirizzo della governance..."