mercoledì 23 novembre 2022

Sull'orlo del bicchiere

Da Uscire dal mondo, di Edoardo Albinati (Rizzoli, 2022):

Le cose straordinarie avvengono ogni giorno, solo che ci siamo abituati e così i nostri occhi non se ne accorgono più.  

Diamo per scontato quasi tutto: vedere, toccare, camminare, pensare, cos'hanno di speciale? Proprio niente, in apparenza. Non ci bastano. Per cui vorremmo poter volare o respirare sott'acqua. 

Lo zoppo che torna a camminare, il morto che riprende a vivere: questi li chiamiamo miracoli, e solo un essere straordinario come Gesù riesce a compierli. Mentre ai nostri occhi non hanno nulla di portentoso i campi coperti di fiori, le risate tra amici, due sposi che fanno l'amore, un cane mentre salta una staccionata, l'alito ghiacciato davanti alla bocca d'inverno, un gelato che si squaglia in fretta, lo scoiattolo con una ghianda tra le zampe. Nessuno definirebbe questi dei miracoli - sono cose normali della vita. Magari belle, o piacevoli, o sorprendenti, ma certo non miracoli. 

Una barca che galleggia non sembra affatto un miracolo.  Ma se quella barca all'improvviso andasse a fondo?  Se il respiro ci si strozzasse in gola dell'aria fosse diventata solida?  Se di colpo i nostri occhi si spegnessero e il mondo diventasse buio - qualcuno si renderebbe conto che quello che accadeva fino a un istante prima non era affatto normale, anzi era straordinario?  In verità, è per un soffio che siamo vivi, che riusciamo a stare in piedi, che la casa non ci crolla in testa, che gli organi del corpo pulsano, pompano, si aprono e si chiudono...

Il mondo intero si tiene insieme per miracolo. Non ha proprio niente di solido, il mondo, potrebbe scomparire dall'oggi al domani, e questo in effetti accadrà, un giorno, anche se non sappiamo quale giorno. La sua precarietà è esattamente la nostra.

Voglio dirvi solo questo: che stamattina, alle sei e mezzo, mi hanno telefonato per avvisarmi che un caro amico, un mio vecchio compagno di scuola, durante la notte era morto, d'infarto. Non era malato, e aveva solo quarantasei anni. Ora non c'è più. Ieri sera cenava insieme alla moglie e commentava con lei quello che dicevano in televisione - sapete, le chiacchiere che si fanno guardando i notiziari. Ha parlato e riso insieme a lei. Era di buon umore. E stamattina non c'è più. Dunque, quella cena di ieri sera, quelle parole, il telegiornale, insomma, una qualsiasi serata in casa, erano in realtà degli eventi straordinari, che non si ripeteranno mai più.  Quella zuppa di verdura, non ne verrà mai servita una più buona. Il miracolo è dunque la mosca che cammina sull'orlo del bicchiere di vino, adesso, con le sue zampine, microscopica, un essere perfetto, quasi inesistente eppure pieno di vita, un acrobata in bilico sull'orlo del bicchiere, e non si tratta di un tema buono solo per i poeti o le anime delicate capaci di osservare i piccoli dettagli della vita, no, non sto dicendo mica di inginocchiarvi davanti a qualsiasi insignificante particolare perché il mondo è meraviglioso e la vita è meravigliosa, ma no, non credo affatto questo, anzi, la vita può essere terribile, e il mondo un posto infernale [...]

Sto cercando invece di capire insieme a voi come tutto è imprevedibile, e che viviamo dentro una bolla di sapone, e il Signore viene di notte come un ladro quindi ogni momento della vita sarà perfettamente distinto da tutti gli altri e unico. Questo e nient'altro che questo è il miracolo, cioè la prossimità di ciascun attimo di esistenza alla non-esistenza. Ogni scintilla di vita scaturisce dalla non-vita [...]

Essere vivi ed essere morti sono due condizioni così prossime...  Ci vuol niente per ritrovarsi da una parte o dall'altra.  Ma dov'è dunque il miracolo,  dov'è il miracolo vero?  Non era forse nel semplice fatto che Lazzaro fosse vivo, un istante prima di morire? Che respirasse, bevesse, mangiasse, come beviamo e mangiamo noialtri?  Che fosse un giorno venuto al mondo?  Non sta forse nella sua vita prima della morte, il miracolo,  più ancora che nel suo ritorno in vita?

domenica 20 novembre 2022

Lo strappo

Il dolore è lo strappo attraverso il quale fa breccia il completamente Altro [...]. Lo strappo attraverso il quale il Silenzio, l'Indisponibile irrompe nel pensare.

"La società senza dolore. Perché abbiamo bandito la sofferenza dalle nostre vite", di Byung-Chul Han (Einaudi), è un libro scandaloso, perché scandaloso è parlare di dolore - soprattutto in questi termini - nella società anestetizzata della sopravvivenza confortevole. Un libro denso eppure di una chiarezza cristallina, quasi tagliente, che dice in poche pagine infinite cose, tutte istintivamente inaccettabili.

Il dolore è la morte nel piccolo; la morte è il dolore nel grande. Dolore e morte e amore si "coappartengono".

La morte significa che l'essere umano è in relazione con l'Indisponibile, col completamente Altro che non proviene da lui.

Il dolore rende l'essere umano ricettivo nei confronti dell'Indisponibile che gli offre soggiorno e appiglio.

Il dolore apre un'altra visibilità. È un organo percettivo (che oggi abbiamo smarrito).

Il dolore è un "concepimento" dell'Essere, della Verità, e in questo senso - scandalosamente - può essere considerato un "dono".

giovedì 3 novembre 2022

Come una specie di monaco

Terzo volume della Trilogia della pianura di Kent Haruf

Dopo Benedizione e Canto della pianura, stavolta è Crepuscolo (Eventide) il titolo del libro, tradotto come gli altri da Fabio Cremonesi, che regala al lettore anche una piccola nota finale in cui parla di una "distanza abissale" che separa la "luminosa fiducia" dell'autore nel genere umano "dal cinismo corrivo, ma anche dal sentimentalismo corrivo di troppa letteratura di questi anni". 

Le numerose relazioni narrate nel romanzo, al netto del dolore e a volte della violenza, sono fatte di accudimento e timidezza, pudore e immotivata gentilezza

Un romanzo pieno di storie e pieno di vita, ambientato in un posto che non esiste ‐ la contea di Holt, in Colorado ‐ eppure così vero da volercisi trasferire.

"Se ho imparato qualcosa nella vita, ‐ scrive Kent Haruf parlando di sé - è che bisogna credere in sé stessi anche se nessun altro lo fa. Sentivo di avere una fiammella di talento, non un grande talento, ma una fiammella che dovevo alimentare regolarmente, come una specie di monaco, per impedirle di spegnersi"