domenica 24 gennaio 2021

L'uomo della provvidenza

Altro volume preziosissimo quello di Antonio Scurati, M. L'uomo della provvidenza, che segue il già ottimo Il figlio del secolo

Forse ancora più dolorosa la lettura, perché gli anni dal 1925 al 1932 sono davvero gli anni del trionfo di Mussolini e della fascistizzazione del Paese. 

Quattro attentati falliti, più uno nemmeno tentato, danno l'idea di un uomo invincibile, di un destino inevitabile

Nel frattempo, nel Paese, la democrazia viene totalmente cancellata, ogni diritto civile conculcato. L'opposizione è sparuta e confinata, la polizia controlla tutto e tutti. 

Nel frattempo, sul fronte coloniale, le popolazioni indigene della Libia vengono deportate in massa, vengono costruiti i primi campi di concentramento, vengono sganciate sui ribelli le bombe all'iprite, un gas velenoso devastante, vietato dalle convenzioni internazionali sottoscritte dalla stessa Italia fascista. 

La violenza, la vergogna, l'adulazione, il consenso, l'esaltazione. La storia delle nazioni intrecciata con la storia degli uomini e delle loro miserie personali. Lo sguardo dell'autore è meno indignato che disincantato, lucido nell'analizzare e riportare la realtà e la cronaca, pietoso nel tratteggiare i profili e i caratteri dei personaggi, grandi e piccoli, con la predilezione per i marginali e gli sconfitti, per le ombre piuttosto che per le luci. 

Non conosco altro che miracoli

Seconda poesia di lode tratta da L'Osservatore Romano, La più grande poesia è un inventario

Stavolta è un classico di Walt Whitman:

Miracoli

Perché? Chi fa tanto caso a un miracolo?
Quanto a me, io non conosco altro che miracoli:
Che io passeggi per le vie di Manhattan,
O che spinga il mio sguardo al di sopra dei tetti, verso il cielo,
O che guazzi a piedi nudi lungo la sponda, proprio sul bordo dell’acqua,
O che stia sotto gli alberi nei boschi,
O che parli, durante il giorno, con chi amo o che dorma di notte con chi amo,
O che sieda a tavola a pranzare con altri,
O che guardi estranei che viaggiano stando seduti di fronte a me,
O che guardi le api, affaccendate attorno all’arnia, in un pomeriggio estivo,
O gli animali che brucano per i campi,
O gli uccelli, o il meraviglioso gioco degli insetti per aria,
O il meraviglioso spettacolo del tramonto, o degli astri splendenti silenziosi e lucenti,
O la squisita delicata curva della luna nuova in primavera;
Queste cose con altre, ciascuna e tutte, sono miracoli per me,
E, pur riferendosi al tutto, ciascuna sia distinta, e al proprio posto.

Per me ogni ora di luce e di tenebra è un miracolo,
Ogni pollice cubico di spazio è un miracolo,
Ogni miglio quadrato della terra è seminato di miracoli,
Ogni piede dell’interno della terra è affollato di miracoli.

Un continuo miracolo è per me il mare,
E i pesci che vi nuotano — e gli scogli — e il movimento delle acque — e le navi e gli uomini che vi sono a bordo:
Quali miracoli più straordinari di questi vi sono?


lunedì 18 gennaio 2021

Niente di più meraviglioso

Da un articolo dell'Osservatore Romano sul canto di lode - La più grande poesia è un inventario - traggo questa prima di tre poesie. 

È un testo della poetessa Mary Oliver, tradotta da Elena Buia Rutt. È intitolato:

Il sole

Hai mai visto
in vita tua
niente
di più meraviglioso
del modo in cui il sole,
ogni sera,
rilassato e calmo,
fluttua verso l’orizzonte
e nelle nuvole o le colline,
o nel mare increspato,
e sparisce —

e come scivola fuori di nuovo
dall’oscurità,
ogni mattina,
dall’altra parte del mondo,
come un fiore rosso
balenando verso l’alto sui suoi olii celesti,
come in una mattina d’inizio estate,
alla sua perfetta distanza imperiale —
e hai mai provato per qualcosa
un amore tanto selvaggio —

pensi che ci sia in qualche altro posto, in qualche altra lingua,
una parola così ondeggiante
da riempirti
di piacere,
come quando il sole
si allunga,
come quando ti riscalda
mentre sei lì in piedi,
a mani vuote —
o anche tu
sei impazzito
per il potere,
per le cose?

giovedì 7 gennaio 2021

La poesia come fiducia

"La fiducia è un linguaggio poetico". 

Affermazione attribuita al grande fisico tedesco Werner Heisenberg (La leggendaria storia di Heisenberg e dei fisici di Farm Hall, Gabriella Greison, Salani).

Si parla del rapporto tra scienza e religione, fisica e religione, che secondo il padre del principio di indeterminazione (premio nobel nel 1932) non sono in contrapposizione. "Lo scienziato che, come Galileo e Keplero, scopre strutture matematiche nei fenomeni rende visibili attraverso le sue scoperte ordinamenti parziali che fanno parte dell'ordinamento divino del mondo".

Heisenberg, scrive Gabriella Greison, aveva a cuore un ordinamento divino del mondo, non solo fisico ma anche etico. Secondo lui, la religione è la base etica e la base della fiducia nel mondo. Diceva che come da bambini apprendiamo un linguaggio e la comunicazione, guardiamo il mondo e lo interpretiamo, fidandoci degli uomini, allo stessa maniera dobbiamo fare da grandi. La fiducia è un linguaggio poetico, diceva.

In effetti Heisenberg dice una cosa profondamente vera della poesia e del suo carattere necessariamente religioso, nel senso che essa è innanzitutto espressione, indipendentemente dal suo contenuto, della possibilità di un legame (religio, rilegare) di senso tra gli uomini e tra gli uomini e il mondo. La poesia è espressione di una relazione di senso, persino quando questo senso è espressamente negato (Leopardi). La poesia è il linguaggio per eccellenza che con grande umiltà esprime la fiducia in una relazione e in un significato trasmissibile e condivisibile, a prescindere - lo ripeto - dal contenuto di questo significato. Per questo motivo, ne consegue, chiunque in qualsiasi campo - artistico o scientifico - esprima con umiltà la fiducia nella possibilità della conoscenza o anche solo dell'interrogazione della realtà, si esprime necessariamennte in modo poetico. La fisica è poesia. La matematica è poesia.


domenica 3 gennaio 2021

Il Dio in agguato

Grande lettura questa Vita di Gesù di Francois Mauriac, che a più di 80 anni dalla sua prima uscita in francese (nel 1936) e a più di 70 dalla sua prima edizione italiana (1950), mantiene intatto il suo fascino, gettandoci nella concretezza scandalosa del mistero di questo legnaiuolo ebreo che si rivela Figlio dell'uomo e Dio in agguato. 

Una biografia letteraria, che racconta la vita del Cristo con gli occhi dello scrittore e del poeta, che sa vedere oltre ciò che si vede, sa immaginare il movimento dei cuori e il turbamento delle menti, sa riconoscere ciò che è vero, ciò che è vivo, ciò che dà vita

Il testo ripercorre in modo piuttosto ordinato e fedele la vita di Gesù per come la raccontano i vangeli canonici. L'autore interroga i silenzi, scandaglia il mistero, fa riverberare i gesti e le parole, rimarca i continui fraintendimenti e tradimenti, interpreta le attese e i desideri dei protagonisti, tra cui il lettore stesso di queste pagine. 

Tra i tantissimi spunti, ne scelgo solo alcuni, partendo dall'attesa di Maria durante i primi lunghi 30 anni di Gesù, il suo nascondimento nella carne, la sua vita occulta prima della predicazione. 

Dopo vent'anni, dopo trent'anni, [la madre del legnaiuolo] si crede ancora benedetta fra tutte le donne? Nulla accade: e che potrebbe accadere a quest'operaio stremato, a quest'ebreo non più giovanissimo, che è appena capace di piallar delle assi, medita la Scrittura, obbedire e pregare?

Di tutti quelli che avevano assistito alla divina manifestazione fin dal principio, in quella notte, esisteva ancora un solo testimonio? Dov'erano i pastori? E quei sapienti, conoscitori degli astri, venuti d'al di là del Mar Morto per adorare il Bambino? L'intera storia del mondo era parsa piegarsi ai disegni dell'Eterno [...]

La madre invecchiata di quest'operaio carpentiere cercava nel cupo dell'ombra gli angeli che nei giorni dopo l'Annunciazione non avevano mancato di nutrir la sua vita. Erano loro che nella santa notte avevano insegnato ai pastori il cammino della grotta [...] Ed era pure un angelo che aveva, in sogno, comandato a Giuseppe di prendere il Fanciullo e sua madre e fuggire in Egitto la collera di Erode... Ma dopo il ritorno a Nazaret il cielo s'era di nuovo chiuso, e gli angeli erano spariti.

Eccoci finalmente all'inizio della vita pubblica di Gesù, che Mauriac presenta come l'inizio della contesa con il Nemico per la conquista dell'umanità. 

Quando pensa ai suoi nemici, Gesù non immagina i farisei, i sommi sacerdoti, i soldati che lo percuoteranno sul volto... [...] Egli conosce il suo avversario. Il suo avversario ha parecchi nomi in tutte le lingue. Gesù è la luce venuta in un mondo che è preda alla potenza delle tenebre. Il demonio è il padrone apparente dell'universo in questa quindicesima annata del governo di Tiberio [..] Si serve degli dèi per corrompere gli uomini, si sostituisce agli dèi, divinizza il delitto, è il re del mondo. Gesù lo conosce, ma lui ancora non conosce Gesù: non lo avrebbe indotto in tentazione se conosciuto l'avesse. [...]

A questo punto della sua vita il Figlio dell'uomo è il gladiatore nascosto in oscurità, ma prossimo a lanciarsi nel circo abbacinante, il reziario che la fiera aspetta e paventa: "Io vedevo, doveva gridare il Cristo in un giorno d'esultanza, io vedevo Satana cader dal cielo come la folgore". È forse durante queste ultime ore di vita occulta ch'egli ebbe la visione di quella caduta [...]

Prese un mantello, allacciò i suoi sandali, e disse a sua madre una parola d'addio che non sarà mai conosciuta.

Mauriac ci parla del carattere implacabile di Gesù e dell'illanguidimento della sua figura operato nei secoli. 

No, non è per niente che questo Cristo tanto amato è stato così violentemente odiato. Quale ingenuità scandalizzarsi perché molti di quelli che hanno visto il Cristo nella carne, non han potuto adorarlo! Molti attenuano la forza delle sue più aspre parole qualifocandole iperboliche; tutti gli orientali hanno un linguaggio eccessivo. E nondimeno: "Questa parola è dura" borbottavano i Giudei "e chi potrebbe ascoltarla?". Essa irritava dunque anche dei semiti abituati all'iperbole. E suona ancora sempre talmente cruda, talmente odiosa. L'amore assoluto respinge i mediocri, urta la falsa aristocrazia, disgusta i delicati. E senza dubbio i suoi nemici lo odierebbero assai più che non facciano (ed anche i suoi pretesti amici!) se non sostituissero l'insipido e melato Rabbi di tipo corrente, all'uomo che ha realmente vissuto, e che ha manifestato un carattere "intero" nel senso metafisico: letteralmente implacabile. È la loro ignoranza, oggigiorno, che distoglie molti dal detestare il Cristo. Se lo conoscessero, non lo sopporterebbero

I discorsi di Gesù, tra tutti il sermone della montagna, appaiono folli, perché tutto vi si oppone ma nulla si contraddice (del resto è il paradosso l'unica condizione accettabile della verità). 

Troppa poca cosa è la carità: è la follia della carità, ch'egli vuole: tendere l'altra gota, abbandonare il mantello al ladro che ha già preso la tunica, amare quelli che ci odiano... È pazzo? Difatti, è, rispetto agli uomini, uno stato di demenza, che pretende e otterrà dai suoi diletti

Eppure del Cristo è impossibile liberarsi, se si porta la carità nel cuore

Non è in potere di alcuno, tra coloro che portano la carità nel cuore, di non servire il Cristo. Taluno che crede odiarlo gli ha consacrato la vita; poiché Gesù è travestito e mascherato in mezzo agli uomini, nascosto nei poveri, negli infermi, nei prigionieri, nei forestieri. Molti che lo servono ufficialmente, non seppero mai chi egli è; ma molti che non lo conoscono neppur di nome, udranno l'ultimo giorno le parole che spalancheranno loro le porte della gioia: "Ero io, quei figliuoli, ero io, quegli operai; io piangevo su quel letto d'ospedale; ero quell'assassino nella sua cella, quando tu lo consolavi". 

Eccoci giunti alla Passione del Cristo, che non poteva essere meno atroce, spiega Mauriac, non poteva fermarsi ai dolori normali della condizione umana. 

Non ci può essere al mondo un prigioniero, un martire, un condannato innocente o colpevole, che non ritrovi in Gesù vituperato e crocifisso la sua propria immagine e somiglianza [...]. Dopo che egli (il Cristo) ebbe sofferto e fu morto, gli uomini non sono stati meno crudeli, né ci è stato meno sangue versato, ma le vittime sono state ricreate una seconda volta a immagine e somiglianza di Dio; anche senza saperlo, anche senza volerlo. 

Infine la Resurrezione di Gesù, che dura tuttora.

La presenza di Gesù resuscitato dura tuttora: verrebbe voglia di dire che l'Ascensione non l'ha interrotta: parecchi mesi dopo che i discepoli l'ebbero visto sparire, egli abbagliava della sua luce, sulla via di Damasco, il suo nemico Saul e gli parlava [...] D'ora innanzi, nel destino di ciascun uomo, vi sarà questo Dio in agguato.

Un guscio vuoto

Francois Mauriac sul Cristo, da un articolo di Gianfranco Ravasi.

«Se Gesù non fosse il Cristo, io non sentirei nelle cattedrali che un vuoto immenso. Il cattolicesimo senza il Cristo sarebbe un guscio vuoto, curiosamente lavorato. La Croce senza il Verbo non sarebbe nulla più che una forca».

E ancora:

«Con Cristo o contro Cristo: bisogna scegliere. Rifiutare di prendervi parte, vuol dire aver già scelto: “Chi non è con me, è contro di me”, disse Cristo. Felici coloro ai quali sarà concesso di comprendere che all’infuori di Lui non c’è nulla». 

Infine, nella prima prefazione a Vita di Gesù (1936):

«Devo confessarlo? Non avessi conosciuto Cristo, “Dio” sarebbe stato per me un vocabolo vuoto di senso... È bisognato che Dio s’immergesse nell’umanità e che a un preciso momento della storia, sopra un determinato punto del globo, un essere umano, fatto di carne e di sangue, pronunciasse certe parole, compisse certi atti, perché io mi getti in ginocchio».