venerdì 27 dicembre 2019

Vannella

Giurate di non aiutare i partigiani? In fila sul sagrato della Chiesa, davanti al plotone dei soldati tedeschi occupanti, tutta la gente del paese risponde di sì, anche il prete, che pure era il sospettato numero uno. 

Tutti tranne lei, Giovanna detta Vannella, la figlia del medico fascista del paese. Unica tra donne, vecchi e bambini mezzi morti di paura, rifiuta la solenne pagliacciata di giurar di non aiutare i partigiani, gli "schifosi della montagna". E riceve in cambio, dall'ufficiale tedesco, uno sputo in faccia.

D'accordo, sì, d'accordo, cos'è un po' di saliva rispetto al mare di sangue che ricopre la terra? Ma la guerra non è solo la catastrofe delle tante morti: è violazione della dignità morale dell'uomo.

Vannella è terrorizzata, ma davanti al comandante tedesco non parla e non giura. Quale potere di provocazione ha il suo silenzio. "Eppure ho visto Dio nel battere atterrito delle ciglia, in quel modo furtivo vergognoso, di asciugarsi la guancia contro la spalla. Dio in una forma che non sapevo. Come un uccello piccolo, il più piccolo e debole. Non l'aquila di Zeus. Forse non la potenza paurosa di Dio, bensì la debolezza del Divino riesce intollerabile a un mondo come questo".

In tutto il romanzo di Elena Bono (Come un fiume come un sogno), Vannella non pronuncia una parola, ma ne è la protagonista silenziosa. Non parla e quasi non compare, si nasconde, ma comunica con la sua "bellezza", la forza interiore di chi assume con determinazione cosciente il ruolo della vittima.

Sputacchiata da un ufficiale tedesco, sorvegliata come soccorritrice dei partigiani e infine deportata in campo di concentramento, la ragazza è - poeticamente - la figura dell'angelo (visiting angel) di cui parlano Eliot e Montale: creatura testimone (e martire) di quell'amore che supera ogni limite umano e apre la dimensione dell'Oltre, testimone di un altro ordine e di un'altra natura.





Quella mano


Dice che appena un'ombra a lei rimane
del padre ridotto a zero dalla tisi
presto divelto non solo dall'elenco dei vivi
ma dai nomi della memoria,
come una storia abrasa perduta mai esistita:
un giardino azzurro di gelo, un paese
rappreso sui colli boschivi alto sul lago,
e, calda, nel giardino
nel paese sulle colline in mezzo al mondo
nel cosmo nel secolo breve
la mano festosa di lui che compatta la neve, / dà forma umana al pupazzo
affonda una carota come naso
due monete per gli occhi
poi rientra e scompare
per sempre nel suo cielo d'incertezza.

Doveva essere io Natale
del '30, o del '31.
Nessuno, oltre mia madre, può vedere
nel fondo vago degli occhi quella mano.

Da un lontano NataleFabio Pusterla in Natale in poesia, Antologia dal IV al XX secolo (Interlinea).




lunedì 16 dicembre 2019

La vicenda di gioia e di dolore

Taci, anima stanca di godere
e di soffrire
(all'uno e all'altro
vai rassegnata).
Nessuna voce tua odo se ascolto:
non di rimpianto per la miserabile
giovinezza, non d'ira o di speranza,
e neppure di tedio.
Giaci come
il corpo, ammutolita, tutta piena
d'una rassegnazione disperata.

Noi non ci stupiremmo,
non è vero, mia anima, se il cuore
si fermasse, sospeso se ci fosse
il fiato...

Invece camminiamo.
camminiamo io e te come sonnambuli.
E gli alberi son alberi, le case
sono case, le donne
che passano son donne, e tutto è quello
che è, soltanto quel che è.

La vicenda di gioia e di dolore
non ci tocca
. Perduta ha la sua voce
la sirena del mondo, e il mondo è un grande deserto.

Nel deserto
io guardo con asciutti occhi me stesso

(Camillo Sbarbaro, Pianissimo, 1914)