martedì 3 settembre 2024

Voi che restate

Vladimir Majakovskij, Poesie, BUR

A tutti. Se muoio non incolpate nessuno. E, per favore, niente pettegolezzi: il defunto non li poteva soffrire. Mamma, sorelle, compagni, perdonatemi. Non è una soluzione (non la consiglio a nessuno), ma io non ho altra scelta [..] 
Come si dice,
l'incidente è chiuso:
La barca dell'amore 
si è spezzata contro gli scogli banali della quotidianità.

La vita e io siamo pari,
inutile elencare
offese, 
dolori,
torti reciproci. 
Voi che restate siate felici.

(Lettera, 12 aprile 1930)



lunedì 1 luglio 2024

L'abisso con gli occhi degli altri

Io guardo l'abisso con gli occhi degli altri. 

L'arte di legare le persone, di Paolo Milone (Einaudi) è un libro sulla follia scritto da un neuropsichiatra e ambientato in reparto di psichiatria (Avendo fuggito ogni altro lavoro per paura, mi ritrovo a fare il lavoro che fa più paura a tutti).

Un libro estremo, eppure poetico nella sua capacità di guardare in faccia il dolore senza farsi annientare, restituendoci uno sguardo più vero e una parola più umana. 

Se non hai mai provato il dolore psichiatrico, non dire che non esiste. Ringrazia il Signore e taci.

La realtà descritta nel libro è dura, concretissima e drammatica, senza sconti (ad esempio le pagine sulla contenzione fisica), ma quello di Milone non è un saggio né un libro di denuncia: è "un'opera letteraria sulla salute mentale - commenta lo scrittore Nicola Lagioia - tra le più belle, inusuali e poetiche degli ultimi anni. Un libro unico". Letteraria è la sua struttura - che ricorda un diario ma senza vincoli cronologici - e la sua scrittura, sempre aderente alla realtà ma sempre aperta a possibili suggestioni, combinazioni, immagini e significati ulteriori.

Quando procediamo per entrare in Reparto 77, noi siamo come i pescatori che vanno al mare; prima di imbarcarci e prendere il largo, chiediamo le previsioni metereologiche. Calma piatta, mare mosso, molto mosso, agitato. Burrasca in arrivo. Sull'uscio ci fermiamo e ci mettiamo la cerata nel vento.

(...)

Il bene e il male che facciamo a un'altra persona si riverbera e si propaga in mille modi / tra i suoi parenti amici e conoscenti / e, nel tempo, si trasmette a tutti i discendenti. / Sarà qualcosa di infinitesimo, un movimento atomico, / un'ombra, un fremito, ma esiste ma esiste e si diffonde nell'universo. / Vedi, Giulia, noi contribuiamo a migliorare o peggiorare l'universo / e, su questo, abbiamo una responsabilità.

(...)

Luciano, per essere più forte del dolore, / più forte della paura, / più forte del rancore, / ti sei fatto vento.

(...) 

Ma se non lo sanno i suicidi falliti perché hanno tentato di uccidersi, / come possiamo capirlo noi.

(...)

Le chiavi servono a chiudere la follia in Reparto 77 quando si torna a casa

(...)

Filippo, tu che ce l'hai fatta a passare, / e ora sei tutto graffi, sporco, sudore, dimmi com'è di là. Di là dove non c'è ragione. / Io curo grandi mappe della frontiera. / Per quali sentieri nascosti, per quali valichi, gole, precipizi, sei riuscito a passare? / Dimmi com'è di là.

(...)

I depressi usano l'indicativo passato: / io ho sbagliato, io non sono riuscito... / oppure il presente, ma con un profondo legame con il passato: io sono colpevole, io sono fallito. / Gli euforici usano l'imperativo: vieni, fai, compra / e usano il futuro: festeggeremo, conquisteremo, ci vedremo. / Gli schizofrenici sbagliano tutto: dicono io sono invece di io ero, io sarò, io sarei, io fossi. / I caratteriali, sempre all'imperativo: scrivi, dammi, ascoltami, ubbidisci. / I nevrotici sono persone deliziose che usano il condizionale: potrei, sarebbe così gentile... / o il congiuntivo: se fosse possibile, se fossi sicuro di non disturbarla... / Giulia, stai attenta alle persone al congiuntivo trapassato: se io fossi stato, se io avessi avuto. Sono le peggiori.

(...)

Chi è triste esce poco di casa, e spende meno di chi è allegro. / L'ideale per la società dei consumi è tutti allegri e nessuno triste. / La tristezza è uno stato mentale eversivo.

(...)

La società dei consumi non ha nulla da dire sulla morte / per il semplice fatto che i morti non consumano.

(...)

Poetico è il mal d'amore, il rimpianto, il lutto, / poetico è il dolore tragico che trova ragione, vendetta, riscatto, / impoetico è questo dolore, monotono, lento, insaziabile, sequestratore. / Poetica è la nostalgia, impoetica la depressione. / Poetica è la fantasia, impoetico il deliro. / Poetico è il timore, impoetica l'ansia. / Poetico il desiderio, impoetica la dipendenza. / La poesia non frequenta la Psichiatria, si ferma sulla soglia. / Dove non entra la vanga della poesia, zolle dure, secche, infertili e fredde. / Noi ci occupiamo del dolore impoetico.






sabato 29 giugno 2024

E nella morte vivremo

SENZA FINE

E nella morte vivremo, 
solo diversamente, con delicata dolcezza, 
dissolti nella musica; 
chiamati a uno a uno in corridoio, 
soli, seppure in schiere, 
come compagni di una stessa classe che si estende sin oltre gli Urali 
e arriva fino al Quaternario. Affrancati
dalle eterne discussioni politiche,
aperti e sinceri, liberi, anche se proprio allora
si chiuderanno sbattendo le persiane
e la grandine suonerà sul davanzale
la sua marcia turca, spavalda come sempre.
Il mondo delle apparenze non svanirà
d'un tratto, a lungo farà ancora
i capricci accartocciandosi come un foglio
umido gettato dentro il fuoco.
La sete di perfezione si avvererà
quasi contro voglia, eviterà tutti
gli ostacoli, come i Teutoni impararono
a eludere la linea Maginot. Cose
minime e dimenticate, aquiloni fatti
con la cartavelina più sottile, fragili foglie
degli autunni passati ritroveranno la loro
dignità immortale, e i grandi
sistemi vittoriosi si contrarranno
come il sesso di un gigante. Non ci sarà più
la nostalgia, perché raggiungerà se stessa, stupita
per aver così a lungo cacciato la propria
artica ombra. Neppure noi ci saremo,
poiché ancora non sappiamo
vivere a una simile altitudine.

(Adam Zagajewski, Dalla vita degli oggetti, Adelphi)





E poi mi camminasti sopra il cuore

Lungamente travolto dai marosi,

tu sia sbattuto contro Salmidesso,

nudo, di notte, mentre in noi fa quiete.

E spossato, con ansia della riva

tu rimanga a ciglio del frangente,

nel freddo, stringendo i denti,

come un cane, riverso sulla bocca;

e il flusso continuo dell'acque

ti copra fitto d'alghe.

Così ti prendano i Traci, che in alto

annodate portano le chiome,

e con loro tu nutra molti mali

mangiando il pane dello schiavo.

Questo vorrei vedere che tu soffra,

tu che m'eri amico un tempo

e poi mi camminasti sopra il cuore.


(Archiloco, All'amico d'un tempo)


Dai Lirici Greci, tradotti da Salvatore Quasimodo (Mondadori, 1951)




Profondamente tu dormi

Quando nell'arca regale l'impeto del vento

e l'acqua agitata la trascinarono al largo,

Danae con sgomento, piangendo, distese amorosa

le mani su Perseo e disse: "O figlio,


quale pena soffro! Il tuo cuore non sa;

e profondamente tu dormi

così raccolto in questa notte senza luce di cielo,

nel buio del legno serrato da chiodi di rame.

E l'onda lunga dell'acqua del passa

sul tuo capo, non odi; né il rombo

dell'aria: nella rossa

vestina di lana, giaci; reclinato

al sonno il tuo bel viso.


Se tu sapessi ciò che è da temere,

il tuo piccolo orecchio sveglieresti alla mia voce.

Ma io prego: tu riposa, o figlio, e quiete

abbia il mare; ed il male senza fine

riposi. Un mutamento


avvenga ad un tuo gesto, Zeus padre;

e qualunque parola temeraria

io urli, perdonami!

la ragione m'abbandona".


(Simonide di Ceo, Lamento di Danae)


Dai Lirici Greci, tradotti da Salvatore Quasimodo (Mondadori, 1951)


John William Waterhouse, Danae e Perseo ritrovati nella cassa (1892)


Non il muschio, né il tempo

Di quelli che caddero alle Termopili

famosa è la ventura, bella la sorte

e la tomba un'ara. Ad essi memoria

e non lamenti; ed elogio il compianto.

Non il muschio, né il tempo che devasta

ogni cosa, potrà su questa morte.

Con gli eroi sotto la stessa pietra,

abita ora la gloria della Grecia.


(Simonide di Ceo)


Dai Lirici Greci, tradotti da Salvatore Quasimodo (Mondadori, 1951)


Jacques-Louis Davis, Leonida alle Termopili (1815)


A me non dà quiete

Poi che raramente la Musa

allieta soltanto, ma rievoca

ogni cosa distrutta:


a me non dà quiete il dolce

sonante flauto dalle molte voci

quando comincia soavissimi canti.


(Stesicoro)


Dai Lirici Greci, tradotti da Salvatore Quasimodo (Mondadori, 1951)




Vino celeste

Venite al tempio sacro delle vergini

dov'è più grato il bosco e sulle are

fuma l'incenso.


Qui fresca l'acqua mormora tra i rami

dei meli: il luogo è all'ombra di roseti,

dallo stormire delle fronde stende

profonda quiete.


Qui il prato ove meriggiano i cavalli

è tutto fiori della primavera,

e gli aneti vi odorano soavi.


E qui con impeto, dominatrice, 

versa Afrodite nelle tazze d'oro

chiaro vino celeste

e insieme gioia.


(Saffo, Invito all'Eràno)

Dai Lirici Greci, tradotti da Salvatore Quasimodo (Mondadori, 1951)


Antoine-Jean Gros, Saffo a Leucade, 1801






Tramontata è la luna

Tramontata è la luna

e le Pleiadi a mezzo della notte;

anche giovinezza già dilegua,

e ora nel mio letto resto sola.

Scuote l'anima mia Eros,

come vento sul monte

che irrompe entro le querce;

e scioglie le membra e le agita,

dolce amaro indomabile serpente.


Ma  a me non ape, non miele;

e soffro e desidero.


(Saffo)


Dai Lirici Greci, tradotti da Salvatore Quasimodo (Mondadori, 1951)




lunedì 10 giugno 2024

Posseduto dalla verità

Gustav Janouch, Conversazioni con Kafka. Uscito per la prima volta nel 1951, in seconda versione nel 1968, rappresenta un documento "unico e imperdibile", perché riporta pensieri e considerazioni inedite del grande scrittore praghese, raccolte in via colloquiale dal giovane Gustav, aspirante scrittore anche lui, in una frequentazione amicale e intellettuale risalente agli anni 20 del secolo XX. Il padre di Gustav era collega di Kafka presso l'Istituto di Assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, luogo principale dove si svolgono la gran parte di queste conversazioni.

Franz Kafka parla di tutto: la scrittura, l'arte, la verità, la guerra, la società, l'ebraismo, la fede, la malattia, la sua personale condizione esistenziale.
Ne emerge un ritratto intenso e misterioso dello scrittore - un "santo posseduto dalla verità" - che offre al lettore inesauribili spunti di riflessione.