Annoto tre selezioni di versi di gesuiti poeti e una domanda radicale.
Eusebio Rey, imprigionato durante la Guerra Civile, attraverso le sbarre della sua cella distingue, nell'insonnia notturna, un tenue raggio:
Il raggio nuovo di questa stella vecchia
per me fu creato
e per secoli e deserti di luce
ha camminato senza riposo
fino a posarsi sulla mia fronte avvilita.
Grazie, Signore, ti sei ricordato
di me nella mia notte più triste.
Grazie per questo bacio delle tue labbra.
Javier Melloni, esperto di spiritualità e autore di poesie, sull'alternanza pieno/vuoto:
La pausa tra due note,
lo spazio bianco tra due parole,
la pagina vergine tra due capitoli,
la notte dopo le attività diurne,
gli alberi spogli in inverno, [...]
tutto ciò che è pieno aspira al vuoto
per non saturarsi di sé
Il gesuita cileno José Maria Vélaz (1910-1985) e la salita al monte del silenzio:
Esplorerò il silenzio / oltre le porte della notte [...]
o percorrerò il sentiero del nulla dove tutto tace [...].
Là incontrerò Dio, / capirò il muto linguaggio della sua presenza.
Infine la domanda folgorante, lacerante e terribile, di Félix Gonzàlez Olmedo, testimone di un dono "pericoloso", da tenere nascosto:
Che devo fare di questa luce di poesia che mi portò dentro?
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