lunedì 4 novembre 2019

Dare un nome ai morti

Naufraghi senza volto è un libro di cui giustamente si è molto parlato. Perché racconta con grande umanità le drammatiche storie di quanti - a migliaia - sono morti nei naufragi del Mediterraneo, per fuggire da qualcuno o qualcosa o nella speranza di una vita migliore. Il ragazzo eritreo con in tasca un sacchetto di terra del suo paese. Il ragazzo del Ghana con addosso una tessera del biblioteca. Il bambino con la pagella scolastica cucita all'interno del suo giubbotto.

Ma il libro è ancora più importante, perché attraverso queste storie racconta una drammatica epopea - che ancora si svolge davanti ai nostri occhi - che segnerà i libri di storia del futuro ed è emblematica di un fenomeno - quello delle migrazioni - che riguarda molti Paesi non solo europei, ma inchioda in particolare l'Europa alle sue responsabilità. Oltre trentamila vittime nel Mediterraneo dal 2001 ad oggi, oltre la metà delle quali non è stata mai identificata. Vittime senza nome.

E ancora, il libro sceglie di raccontare questa storia da una prospettiva incredibile e impensabile, quella di un gruppo di "eroici" antropologi e anatomopatologi di Milano, che accettano per primi la sfida di dare un nome a questi morti: identificare le vittime senza volto di questi tragici naufragi, perché i loro morti sono come i nostri. Una sfida nobile che vede collaborare insieme, dando il meglio di sé, tante istituzioni civili, accademiche e militari e tanti professionisti e studenti, restituendo un'immagine dell'Italia - per una volta - di cui essere straordinariamente fieri.

Un'avventura umana e professionale impressionante raccontata in prima persona da una donna, Cristina Cattaneo, medico legale responsabile del Laboratorio incaricato di coordinare l'impresa. Un racconto fatto di poche parole e tantissime immagini, immagini concrete: i corpi, le ossa, le borse con i cadaveri, i vestiti, gli oggetti, i relitti, le divise dei militari, i laboratori, le attrezzature. E poi ancora i volti dei parenti venuti da tutta Europa a cercare notizie dei loro cari dispersi, la conferma di una morte certa (perché altrimenti il lutto non può avere inizio). Come quel primo eritreo: Era un signore di circa cinquant'anni, ma dall'aspetto un po' più anziano. Avanzò quasi timoroso e ci alzammo tutti per porgergli la mano. Era un atteggiamento quasi eccessivo, ma nessuno sapeva come comportarsi con chi aveva subito un torto così grande.

Sarebbe un film meraviglioso. Spero qualcuno lo faccia presto.

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