lunedì 7 luglio 2014

Coloro che rispondono al nome di uomini



Ho finito di leggere un libro grande (750 pagine) ma soprattutto un grande libro, "immortale e terribile", come lo definisce Giovanni Casoli: Vita e destino di Vasilij Grossman (Biblioteca Adelphi). Il racconto realistico dell'assedio di Stalingrado da parte delle truppe tedesche, della follia nazista e dell'altrettanto folle e disumana dittatura sovietica.

Iniziava un nuovo giorno e la guerra si preparava a riempirlo generosamente, fino all'orlo, di fumo, pietrisco, ferro e bende sporche e insanguinate. I giorni precedenti non erano stati diversi. Al mondo non c'era altro che quella terra arata dal ferro, quel cielo in fiamme.

Finito di scrivere nel 1960 da uno scrittore "fra i più noti del realismo socialista sovietico e corrispondente di guerra di immensa popolarità",  il manoscritto fu confiscato dal KGB nel 1961 (insieme alla carta carbone, alle minute e persino ai nastri della macchina per scrivere). L'autore morirà di cancro a Mosca nel 1964. L'opera vedrà la luce in Svizzera nel 1980, ma in forma lacunosa, infine in Russia, nella versione integrale, ma solo nel 1990.

Dentro la Grande Storia, le storie di vita di tanti personaggi piccoli e grandi (anche Hitler e Stalin vengono ritratti nella loro piccola e delirante umanità), tutti alle prese con il loro destino. Soldati semplici e generali, operai e scienziati, uomini del partito e prigionieri politici, russi e tedeschi, mogli, mariti, amanti, figli e figlie, vecchi e giovani, vivi e morti (...tutti sono colpevoli di fronte a una madre che ha perso il figlio in guerra). Una grande epopea umana dagli accenti biblici, sferzata dalla violenza della guerra, dello Stato, del destino.

Il tempo è lo spazio trasparente in cui gli uomini nascono, si muovono e scompaiono senza lasciare traccia... Nel tempo nascono e muoiono anche le grandi città. Il tempo le crea e il tempo le distrugge.

Pagine memorabili sull'amore, la bontà, il dolore (...di enorme ed eterno come la terra c'era il dolore), la morte, la pietà, la scienza, la libertà dell'uomo e la sua dignità (...grande è la forza di una parola intelligente e libera), ma anche il suo contrario, la debolezza, le nefandezze, i tradimenti, la brutalità, l'infamia, la stupidità.

Il 15 settembre dell'anno passato ho visto giustiziare ventimila ebrei, donne, vecchi e bambini. Quel giorno ho capito che Dio non può aver permesso nulla di simile, e mi è parso evidente che non esiste.

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- Là dove c'è violenza, regna il dolore e scorre il sangue. Le ho viste io, le sofferenze immani dei contadini, e la collettivizzazione era fatta a fin di bene. Non ci credo, io, nel bene, io credo nella bontà
- Dunque, a sentire lei, dovremmo inorridire anche quando, a fin di bene, qualcuno impiccherà Hitler o Himmler... 
- Se lo chiede a Hitler, le dirà che anche questo lager è a fin di bene.

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Il secolo di Einstein e Planck era diventato anche il secolo di Hitler. La Gestapo e il Rinascimento scientifico erano figli della stessa epoca... I principi del nazismo e quelli della fisica contemporanea si somigliavano in modo terrificante. Il nazismo aveva respinto il concetto di individuo singolo, il concetto di persona, e agiva per insiemi enormi. La fisica contemporanea parlava di maggiori o minori probabilità dei fenomeni nel tale o talaltro insieme di individui fisici. Ma nel suo meccanismo spaventoso il nazismo non si fondava forse sulla legge della politica dei quanti, della probabilità politica? Il nazismo era pervenuto all'idea di eliminare interi strati della popolazione, insiemi legati dalla razza o dall'etnia, sulla base del fatto che in quegli strati e sottostrati la possibilità di un'opposizione nascosta o manifesta era maggiore che altrove. La meccanica delle probabilità e degli insiemi umani. E invece no! Il nazismo è destinato a perire proprio perché vuole applicare all'uomo le leggi degli atomi e dei ciottoli! 

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Si strinse la mano al petto perché i battiti del suo cuore non disturbassero il loro sonno. In quella penombra provava un senso fortissimo e struggente di tenerezza, angoscia e pena per i suoi figli. Aveva voglia di abbracciarli tutti quanti, il maschio e la femmina, di baciare i loro visini addormentati. In quella stanza provava una tenerezza impotente, un amore irrazionale, e in quella stanza si perdeva d'animo, turbato, debole. 

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La violenza estrema dei sistemi totalitari si è mostrata capace di paralizzare i cuori su interi continenti... Per sopravvivere l'istinto scende a patti con la coscienza. In suo soccorso sopraggiunge la forza ipnotica di idee grandiose. Che esortano a compiere qualunque sacrificio, a usare qualunque mezzo pur di raggiungere lo scopo supremo: la grandezza futura della Patria, la felicità del genere umano, di una nazione o di una classe, il progresso mondiale. Ma accanto all'istinto di conservazione e alla fascinazione delle teorie esiste anche una terza forza: la paura al cospetto della violenza senza limiti di uno Stato potente, il terrore di fronte all'assassinio posto a fondamento della quotidianità. In uno Stato totalitario la violenza è talmente grande che smette di essere strumento e diviene oggetto di culto e di esaltazione mistica e religiosa. 

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L'unica ragione ed eterna della lotta per la vita è l'uomo, la sua pudica unicità, il suo diritto a essere unico.

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Si stupì che il cuore umano potesse essere tanto grande da costringere la guerra a farsi da parte.

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Ha una dote straordinaria, la steppa. Una dote che possiede sempre, all'alba, in inverno e in estate, nelle notti scure di tempesta e in quelle terse. Perché sempre e comunque la steppa parla all'uomo di libertà. E la ricorda a chi l'ha perduta.

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E dunque oltre al bene grande e minaccioso (in nome del quale - è il pensiero ricorrente di Grossman - si compiono da sempre le peggiori atrocità) esiste la bontà di tutti i giorni. La bontà della vecchia che porta un pezzo di pane a un prigioniero, la bontà del soldato che fa bere dalla sua borraccia un nemico ferito, la bontà della gioventù che ha pietà della vecchiaia, la bontà del contadino che nasconde un vecchio ebreo nel fienile. La bontà delle guardie che, a rischio della propria vita, fanno avere a mogli e madri le lettere dei prigionieri. È la bontà dell'uomo per l'altro uomo, una bontà senza testimoni, piccola, senza grandi teorie. La bontà degli uomini oltre al bene religioso e sociale... E questa bontà sciocca (illogica, fortuita) è quanto di umano c'è nell'uomo, è ciò che lo contraddistingue, è l'altezza cui lo spirito umano si eleva. La vita non è il male, ci dice.

Innumerevoli gli spunti e le suggestioni, il nucleo tematico di questo grande romanzo si raccoglie intorno al rapporto drammatico e decisivo, nella vita di ogni uomo, tra libertà e destino, come suggerisce il titolo stesso.

Chi ha peccato ha conosciuto sulla sua pelle la potenza - sterminata - dello Stato totalitario, una forza tremenda che incatena la libertà umana con la propaganda, la fame, la solitudine, col lager, la minaccia di morte, l'anonimato, l'ignominia. Ma a ogni passo che compie sotto la minaccia della miseria, della fame, del lager e della morte, l'uomo ha sempre e comunque accanto la propria volontà, libera e senza catene... Il destino prende per mano l'uomo e l'uomo diventa strumento di forze di sterminio: perché ci guadagna, non perché ci perde. Lui lo sa bene e sceglie di guadagnarci.

La dignità dell'uomo, dentro la tragedia della storia così come nella vita di ogni giorno, risiede alla fine nella sua capacità di restare umano, pur tra errori e fallimenti.

Sebbene confusi, colmi di amarezze, di dubbi e di segreto dolore, tutti speravano di trovare la felicità... Anche lei, vecchia com'era, campava di speranze, non perdeva la fiducia ma aveva paura del male, era piena di angosce per i vivi e non li distingueva dai morti. Era lì, in piedi a guardare le rovine della sua casa, a godersi il cielo di primavera senza neanche rendersene conto... (Ma) lo conosceva, lo capiva con tutto il cuore il senso della vita che era toccata a lei e ai suoi cari, e per quanto né lei né loro potessero dire cosa avesse in serbo la sorte, e per quanto sapessero tutti che in epoche tremende l'uomo non è più artefice del proprio destino e che è il destino del mondo ad arrogarsi il diritto di condannare o concedere la grazia, di portare agli allori o di ridurre in miseria...., tuttavia né il destino del mondo, né la storia, né la collera dello Stato, né battaglie gloriose e ingloriose erano in grado di cambiare coloro che rispondono al nome di uomini; ad attenderli potevano esserci la gloria per le imprese compiute oppure la solitudine, la disperazione, il bisogno, il lager e la morte, ma avrebbero comunque vissuto da uomini e da uomini sarebbero morti, e chi era già morto era comunque morto da uomo: è questa la vittoria amara ed eterna degli uomini su tutte le forze possenti e disumane che sempre sono state e sempre saranno nel mondo, su ciò che passa e ciò che resta.




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