giovedì 1 novembre 2007

Papi, mi porti a ccàle?


La lingua dei bambini mi fa impazzire, soprattutto quella dei miei bambini: Elisa e Giosuè. Potrei dire lo stesso dei loro pensieri, del loro modo di ragionare, ma è la traduzione linguistica il vero capolavoro, che mi scioglie il cuore come un gelato al sole. L'immediatezza delle intenzioni e delle emozioni unita all'incertezza della pronuncia. La semplicità siderale del ragionare calata in una sintassi e in un lessico poveri e per questo innocenti, creativi, realmente 'poetici'. Un balbettare del pensiero, delle emozioni e della parola che continua a sembrarmi l'unico modo 'adulto' di stare al mondo.

Ed ecco allora Elisa, 3 anni e mezzo, sul pianerottolo della nonna, davanti all'ascensore, che mi dice: "papi, andiamo a ccàle?" Che vorrebbe dire: andiamo a piedi? scendiamo per le scale? e insieme: tu mi accompagni? vieni con me? mi tieni la mano? La risposta ovviamente è scontata: siamo scesi, mano nella mano, "a ccàle".

Ho iniziato, purtroppo da poco, a raccogliere queste espressioni. Penso di inserirle nei prossimi post.

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