domenica 28 febbraio 2010

Allegro seme


"Pazzo è colui che si rifiuta di cantare"

E' un verso da una delle tante canzoni contenute nel Signore degli Anelli (La Compagnia dell'Anello), una canzone "da bagno", la preferita da Bilbo Baggins. A cantarla è Pipino, in occasione del bagno serale, appena arrivati nella casa di Frodo nella Terra di Buck.

Gli Hobbit, questi personaggi semplici e quasi ingenui così simili agli uomini, creati dalla fantasia di Tolkien, accompagnano con il canto tutte le fasi e le avventure della loro vita, quelle tristi e quelle felici, quelle pericolose e quelle conviviali (per il ruolo della musica leggi qui). Scrive Tolkien:

"Il canto sgorgava naturalmente dalle loro labbra, quasi fosse più semplice e naturale cantare che parlare"

A me viene spontaneo un paragone che a molti apparirà forse blasfemo. Il paragone è con i Ragazzi di vita di Pier Paolo Pasolini, i giovani poveri disgraziati e delinquenti ragazzi del popolo che pure - come gli hobbit - "a un certo punto del racconto sentono il bisogno di cantare, pieni di gratitudine verso la vita" (C. Varese).

Un "canto popolare", come dice la poesia omonima da Le Ceneri di Gramsci, incomprensibile in mezzo a ignari tuguri eppure carico di misteriosa speranza anzi dura certezza d'imminente riscossa.

Ragazzo del popolo che canti,
qui a Rebibbia sulla misera riva
dell'Aniene la nuova canzonetta, vanti
è vero, cantando, l'antica, la festiva,
leggerezza dei semplici. Ma quale

dura certezza tu sollevi insieme

d'imminente riscossa, in mezzo a ignari
tuguri e grattacieli, allegro seme
in cuore al triste mondo popolare?





venerdì 26 febbraio 2010

Fammi uguale


Fammi uguale, Signore, a quelle foglie / moribonde che vedo oggi nel sole / tremar dell’olmo sul più alto ramo. / (…) Fa ch’io mi stacchi del più alto ramo / di mia vita, / cioè, senza lamento / penetrata di te come del sole”.

Sono versi splendidi di Ada Negri dalla sua ultima raccolta, Fons Vitae, pubblicata l'anno dopo la sua morte, avvenuta nel 1945. Un bel ritratto della poetessa lo ha scritto per l'Osservatore romano a inizio anno Cristiana Dobner, riprodotto dal blog letterario Flannery.

I veri scrittori e poeti - amava affermare Ada Negri - non appartengono a gruppi e chiesuole”.


(Foto da Flickr/creativecommons/Dan Zen)




lunedì 22 febbraio 2010

Recinti


"Potete rinchiudervi in un recinto, ma non potete impedire al mondo di penetrarvi…"


Da Il Signore degli Anelli, la Compagnia dell'Anello, John Ronald Reuel Tolkien.









(foto da flickr/creativecommons/
clairity)




mercoledì 17 febbraio 2010

Ultimately


Dereck Walcott, l'Omero dei Caraibi, premio nobel per la poesia nel 1992, è "tutt'altro che un poeta religioso".

Ma se gli si chiede - scrive Luigi Sampietro sull'inserto domenicale del Sole 24 Ore di qualche settimana fa - che cosa intenda dire quando afferma che «lo scopo della poesia, – ultimately: dopo tutto e al di là di tutto – è di glorificare Dio», questa è la sua risposta:

«Se in luogo della parola "Dio" usi la parola "luce", cosa che succede di continuo in Dante, puoi capire come la poesia non sia altro che un atto celebrativo. Un gesto di gratitudine. Forse, talora, un gesto di sconcertato stupore. La grande poesia riguarda qualcosa che si trova al di là della nozione di mortalità. Al di là di ciò che è effimero. La poesia è ritmo, incantagione. È un'articolazione della parola che si può addirittura pensare come fondamento della religione, perché viene "prima", per così dire, della religione stessa».



lunedì 15 febbraio 2010

Un grande spazzino


Trenta anni fa, il 12 febbraio 1980, nell'atrio della facolta di Scienze Politiche dell'Università La Sapienza di Roma, veniva assassinato dalle Brigate Rosse, proprio al termine di una lezione, il professor Vittorio Bachelet, giurista, politico cristiano e storico dirigente dell'Azione Cattolica italiana.

"Ucciso nell'adempimento del proprio dovere" c'è scritto nella lapide esposta alla Sapienza. Il figlio Giovanni, allora 25 enne e ora deputato, rivendica tutta la dignità di quell'espressione in un intervento commemorativo tenutosi nei giorni scorsi proprio all'Università. Lo fa ricordando due bellissime citazioni sul valore del lavoro, di ogni lavoro ben fatto, che il padre amava molto, e che qui ripropongo con senso di profonda gratitudine.

La prima è di Martin Luther King, che diceva: Nessun lavoro è insignificante. Ogni lavoro che fa crescere l'umanità ha la sua dignità e la sua importanza, e dovrebbe essere intrapreso con diligenza e perfezione. Se un uomo è chiamato ad essere uno spazzino, egli dovrebbe pulire le strade proprio come Michelangelo dipingeva, o Beethoven componeva musica, o Shakespeare scriveva poesia. Dovrebbe pulire le strade cosí bene che tutte le legioni del cielo e della terra dovrebbero fermarsi per dire: qui è vissuto un grande spazzino, che faceva bene il suo lavoro.

La seconda citazione è di Gandhi:

Se quando si immerge la mano nel catino dell’acqua,
se quando si attizza il fuoco col soffietto,

se quando si allineano interminabili colonne di numeri
al proprio tavolo di contabile,
se quando, scottati dal sole, si è immersi nella melma della risaia,

non si realizza la stessa vita religiosa
di quando ci si trova in preghiera in un monastero,

il mondo non sarà mai salvo.





venerdì 12 febbraio 2010

Sotto la panca


"Un buon capro espiatorio vale quasi quanto una soluzione"


Legge di Herman: di Arthur Bloch





(Foto da Flickr/creativecommons/Tony Austin)




mercoledì 10 febbraio 2010

Rima baciata


Per amor di filastrocche
Perse il senno Ticchettòcche



Mi ripeto. Sono uscito matto per la nuova campagna di comunicazione di Nichi Vendola - la poesia è nei fatti - tutta giocata su ottonari in rima baciata. Bella, gioiosa, originale, coerente, forse anche efficace.

Contenuti politici a parte, è sempre bello quando c'è un'idea espressa con intelligenza e creatività. Non come certe campagne e manifesti che si vedono in giro, per di più abusivi.

Ticchettòcche
La poesia è nei matti




venerdì 5 febbraio 2010

La cacca bianca


L'altra sera mia figlia di 6 anni piangeva perchè la sua migliore amica - una bambina filippina - l'indomani si trasferiva a Milano con i genitori e non sarebbe tornata mai più. Quella mattina, a scuola, la classe l'aveva salutata con una festa in suo onore.

Lo scorso anno è toccato invece al "grande": il suo amichetto Matteush tornava in Polonia con la mamma e il papà, che erano in Italia da 18 anni. Qualche settima fa lo abbiamo rivisto grazie ad un colegamento webcam (che invenzione!) ed è stata una grande gioia. E poi ancora, all'inizio di quest'anno, tutta la classe ha vissuto settimane di apprensione perchè la piccola Saduni non riusciva a tornare dallo Sri Lanka per motivi legati al permesso di soggiorno.

Benedico la scuola che é una grande palestra di integrazione. E non tanto per i discorsi che vengono fatti dagli insegnanti, quanto perchè insegna ai bambini (ma anche ai loro genitori) a vivere insieme e a volersi sfacciatamente bene, italiani e stranieri.

Stamattina un articolo su Repubblica presentava una bellissima carrellata di racconti di bambini stranieri sulla loro esperienza, bella o brutta, con i compagni di banco italiani. Si sa che i bambini possono essere anche cattivissimi, ma le osservazioni di questi ragazzini immigrati sono strepitose. Potrei scegliere quelle più serie, che fanno riflettere sul clima politico e culturale del nostro Paese sul tema dell'immigrazione. Ma preferisco segnalare quelle più esilaranti e fantasiose, che mostrano l'involontaria genialità dei bambini, di ogni latitudine.

Come Faiza, 10 anni, del Marocco, per il quale "gli italiani sono americani, però nati in Italia, non in America, per questo parlano italiano".

Omar, 9 anni, marocchino anche lui, ci tiene a precisare che non ha la pelle bianca, "è vero, ma non ho neanche la pelle nera, perchè la mia pelle è marroncina. I negri hanno la pelle nera e io non sono negro, sono arabo (...) Secondo me se il colore era nero per me era peggio".

Per Vera, 9 anni, albanese, gli italiani "sono bassi, simpatici, allegri, sempre alla moda. Gli italiani assomigliano agli albanesi".

Infine Ines, 9 anni anche lei, domenicana, si lamenta perchè "un bambino pensa che io ho la pelle così perchè mi sono colorata con un pennarello". Qualcuno, velenosetto, le chiede: "Perchè non ti scancelli?" o "Di che colore è il tuo sangue?" oppure ancora: "Ma tu fai la cacca nera?". Ines un po' s'arrabbia "perchè a loro la maestra deve ancora insegnare tutto, sono troppo piccoli". Quindi sbotta, adorabile, che "Poi io non ho mai visto una cacca bianca, nessuno la vede, non esiste!"




lunedì 1 febbraio 2010

Il re dei camosci


Il re dei camosci seppe improvvisamente che era quello il giorno. Le bestie stanno nel presente come vino in bottiglia, pronto a uscire. Le bestie sanno il tempo in tempo, quando serve saperlo. Pensarci prima è rovina di uomini e non prepara alla prontezza.

Il peso della farfalla, di Erri De Luca (Feltrinelli, novembre 2009, euro 7,50) è un piccolo capolavoro.

"Piccolo" perchè si tratta di un racconto di meno di 60 pagine (già la prima le vale tutte), grande in realtà per potenza narrativa, radicalità dei contenuti sottesi (la vita, la morte, la forza, la colpa, il tempo, la grazia), sguardo sull'uomo, la natura, gli animali, la vita.

Il libro ha la semplicità di una fiaba popolare, la forza e il mistero di un racconto epico e fantastico. Protagonisti assoluti un uomo solitario, un bracconiere d'alta quota, il più grande dei cacciatori (o semplicemente un ladro di bestiame), e un camoscio, anzi il re dei camosci, vestito di vento, se non addirittura il vento stesso vestito di zampe e di corna. In mezzo, il volo spezzettato di una farfalla, a cucire le due vite come un filo invisibile eppure essenziale, perché: Dove si posa la farfalla, è il centro.

Sullo sfondo, impervia e maestosa, la montagna (l'uomo sulla montagna è una sillaba nel vocabolario). Sul palcoscenico, la vita, indomita, sovrana, lasciata incustodita sotto il sole dal padrone di tutto, il creditore, il capomastro.

Se l'era guadagnata molte volte, ma non era roba sua. Era da restituire, sgualcita dopo averla usata.

Rubava al padrone di tutto, che si lasciava togliere, ma teneva il conto. Ogni giorno era buono per pagare il saldo tutto insieme.

La vita "pesata" dagli occhi grandi calmi desolati di un cucciolo di stambecco cui il cacciatore ha appena ucciso la madre: Bisogna guardare in quel paio per sapere di essere stati pesati. Dal padrone di tutto.