"Esiste uno stile cristiano di presenza anche nel mondo digitale: esso si concretizza in una forma di comunicazione onesta ed aperta, responsabile e rispettosa dell’altro" (Benedetto XVI)
lunedì 21 giugno 2010
Bambini dentro (purtroppo)
Nelle società ricche gli adulti rimangono bambini. Non crescono. Non diventano adulti. Gli crescono i peli sotto le ascelle e anche in altri posti ancora meno fini, ma rimangono bambini dentro. (…) E quindi soffrono, perché si sentono soli, abbandonati, non curati, non difesi, non amati, non coccolati.
E’ l’assunto di partenza di un libriccino di qualche anno fa, “Alla ricerca delle coccole perdute”, di Giulio Cesare Giacobbe, un manuale divulgativo di psicologia evolutiva, lo chiama l’autore, che spiega in questo modo la diffusione, nelle società ricche, di stati d’animo quali la solitudine, l’insicurezza, l’incertezza, lo squilibrio, il disagio, il disadattamento, l’insoddisfazione, la sofferenza, la paura, l’angoscia, il panico, l’infelicità.
Il libro, come gli altri di Giacobbe, è divertente e ironico nei toni ma serissimo nei contenuti. Vi sono tre comportamenti fondamentali – scrive l'autore con riferimento all’analisi transazionale – che caratterizzano rispettivamente, negli esseri umani, il bambino, l’adulto, il genitore:
Il bambino chiede. L’adulto prende. Il genitore dà.
Così vi sono ancora tre modalità di relazione sociale caratterizzanti ciascuna ogni singola modalità:
Per il bambino: dipendenza. Per l’adulto: parità. Per il genitore: superiorità
Quindi tre modi di rapportarsi alle coccole:
Il bambino ha sempre bisogno che qualcuno gli faccia le coccole; l’adulto si fa le coccole da solo e non ha bisogno di nessuno; il genitore è l’unico capace di fare le coccole agli altri.
Ora, ognuno di noi ha dentro di sé le tre personalità e dovrebbe saperle adottare in modo intercambiabile a seconda delle situazioni che si trova a vivere. Ma il problema nasce proprio quando questo non accade: per incapacità di attivare una specifica personalità (magari perché non si è mai strutturata: non ho mai imparato a fare l’adulto) o per la coazione ad attivarne sempre una (faccio sempre il bambino: magari “camuffato” da adulto o anche da genitore).
E’ in questo caso che si può parlare di “nevrosi”. E in particolare la nevrosi infantile – sostiene l’autore – è quella più diffusa nelle società ricche: caratteristica principale, far dipendere dagli altri (o da altro) la propria felicità. Che significa essere continuamente in ricerca dell’attenzione, dell’aiuto, della protezione, dell’affetto, della dedizione, dell’amore degli altri. Con conseguente inevitabile frustrazione, delusione, lamentazione, recriminazione, scontentezza, infelicità.
Nella relazione di coppia, in particolare:
La pretesa di essere amato sempre e in esclusiva è la caratteristica saliente del nevrotico bambino
E poi la paura, la dimensione psichica abituale del nevrotico bambino, assillato da paure immaginarie (nevrosi ansioso-depressiva): la paura di non essere amato, di rimanere solo, di invecchiare, di diventare brutto, di ammalarsi, di diventare povero, di finire in un ospizio, di morire. Paura di tutto. Soprattutto del futuro (perché non essendo in grado di affrontare il presente, si immagina chissà quali difficoltà anche maggiori nel futuro).
A questo, per chi fosse curioso di verificare se appartiene o meno a questa “terribile” categoria, l’autore propone questo semplice test. Chiediti se soffri di questi stati d’animo:
INSODDISFAZIONE, INADEGUATEZZA, POSSESSIVITA’, ASPETTATIVE, DEPRESSIONE, LAMENTI, PRETESE, ACCUSE, RIFIUTI, PAURE, ANSIA.
Se ne soffri ricorrentemente o spesso o cronicamente, sei anche tu un nevrotico “bambino”!
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5 commenti:
Interessante e molto aderente alla realtà il contenuto del post e, sicuramente, del libro (mi riprometto di leggerlo a breve).
Dato per buono il quadro descritto, e constatato che molte delle persone che conosciamo e, in primis, noi stessi (facciamo parte delle persone che conosciamo? Non è scontato.) soffrono e fanno soffrire gli altri per le storture psichiche descritte, si conferma in me l’idea che l'investimento più importante va fatto nell'educazione dei bambini (ex-ducere-condurre fuori, fuori dall’infanzia verso l’età adulta) e nel favorire, per quanto dipende da noi, una crescita della personalità equilibrata e solida. Dovremmo tutti vedere in proiezione quelle che oggi sono le piccole difficoltà comportamentali e le paure dei nostri figli, senza essere ossessivi in questa osservazione ma nemmeno superficiali e liquidare tutto con la famosa frase: è un bambino, crescendo poi gli passa…e nel frattempo incastriamo le decine di feste di compleanno (cui non si può certo rinunciare!) con le mille attività pomeridiane per fare, imparare, incontrare. Bisogna anche farli fermare e fermarci con loro per dedicare tempo all’interpretazione di ciò che vivono.
Altrimenti impareranno solo a correre più veloci della loro anima.
stefania, tu hai ragione da vendere ma io partirei da noi genitori, prima ancora di arrivare ai figli. In una battuta direi: cura te stesso che curerai anche gli altri (o farai meno danni...)
Il libro contiene alcune indicazioni provocatorie sull'educazione dei figli, tipo: mettetegli ostacoli davanti per farli crescere, anzichè preoccuparvi di spianargli la strada. Se non non diventeranno mai "adulti". Ma i primi a dover fare i conti con il nostro "bambino nevrotico" (ma anche adulto nevrotico e genitore nevrotico: ci sono tutte le categorie) siamo noi. Anzi, lo confesso: sono io...
Fai bene Alessandro a sottolineare che dobbiamo partire da noi e che ognuno deve fare i conti con gli spazi che dentro se stesso occupano oggi le tre componenti di cui si dice nel libro. Condivido pienamente.
Quando dico di investire nell'educazione sto solo scegliendo un anello della catena da cui partire, consapevole che il fenomeno è circolare.
E poi, pur riconoscendo ampi margini alla possibilità di cambiamento, per noi adulti ormai "il danno è fatto". Accettalo. ;-)
Rileggo sempre e volentieri "Ciao!...e poi?" e "A che gioco giochiamo" di Eric Berne colui che ha, (mi piace dire così)
costruito un nuovo metodo terapeutico,L'analisi transazionale
che rappresenta la realtà, sotto forma di gioco.
Penso li abbiate letti, a me s sono stati utilissimi, non solo nel rapporto con i figli, ma in tutti i rapporti umani. ciao Alessandro. Maria
no maria, non li ho letti, spero di riuscire a farlo. grazie della segnalazione. a presto
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