sabato 26 luglio 2008

La terza guerra


Surreale discussione in spiaggia tra due anziane e distinte signore. Ascolto incredulo sdraiato sul lettino sotto l'ombrellone.

"Io ho fatto ben 2 guerre, signora mia" dice una all'altra con un certo orgoglio. "Ma io ho fatto la seconda guerra mondiale - risponde quella - che è stata senza dubbio la peggiore". Al che la prima signora giustamente ribatte: "A parte che la seconda guerra mondiale l'ho vissuta pure io (le parole non erano esattamente queste ma il senso sì) come fa a dire che era peggio della prima, se la prima non l'ha vissuta? Mentre io invece sì?"

Mi viene in mente quello che ci diceva sempre mio nonno Rosario, napoletano di Procida, prigioniero e cuoco degli inglesi nella seconda guerra mondiale, che l'arteriosclerosi in vecchiaia aveva reso ancora più divertente e simpatico: "Io aggio fatto tre guerre - diceva a noi nipoti - 'a prima è chella del 15-18 e 'a seconda è chella del 1940-45". "E la terza guerra, nonno?", dicevamo noi seguendo ormai a memoria il suo canovaccio. " 'A terza guerra è chista", diceva lui soddisfatto parlando del suo presente.


Ti voglio bene, nonno!


(La foto non è di mio nonno, ma è presa da Flickr, creative commons, bobster1985)

Incipit



Alcuni scrittori non riescono mai a eguagliare il loro primo romanzo, io non riuscivo ad eguagliare la prima frase.

Chi parla è Firmino, il topo "letterato" protagonista dell'omonimo divertente e triste romanzo di Sam Savage (Einaudi, 2007). Se leggere è il vostro piacere e il vostro destino - ha scritto Alessandro Baricco in una recensione riportata in quarta di copertina - questo libro è stato scritto per voi.

Ma non è solo un libro sulla lettura, questo di Sam Savage. È anche un libro sul rapporto con la realtà, la solitudine, la tristezza, e l'immaginazione (e quindi la lettura) come rifiuto del mondo e alienazione. Firmino racconta di tutti noi il giorno in cui abbiamo scoperto che con un libro potevamo inventare la nostra vita, scrive appunto in recensione Valeria Parrella, con un entusiasmo però che non condivido e che non coglie secondo me l'ambivalenza di questo libro insieme bello, divertente e triste, finanche tragico. Come dice Domenico Starnone: il miele in bocca e un po' d'amaro nelle viscere.



Il mio unico lusso

Ho una tavoletta su cui metto le mie cose, cioè il mio zaino con i mei abiti e la Bibbia, che è il mio unico lusso.

Una perla di fede dall'inferno della prigionia di Ingrid Betancourt (post precdenti: 1 e 2).

Doni per i figli


Studiare vuol dire crescere: non solo perché si impara, ma anche perché è un'esperienza umana... in cui l'ego si riduce alla sua espressione minima per lasciare spazio all'umiltà e alla tempra morale. Vanno di pari passo. Ecco, questo significa vivere: crescere per mettersi al servizio degli altri.

Ai suoi tre figli, Sebastiàn, Méla e Loli, Ingrid Betancourt (vedi post precedente) dedica dalla prigionia nella giungla colombiana parole commoventi, semplici e al tempo stesso altissime. Come queste riportate sopra sul significato del crescere e l'importanza di studiare.

Sempre sullo studio, scrive pensando alle scelte universitarie della figlia:
Nella materia che preferisce, quella che le interessa di più, storia, filosofia, archeologia, teologia, che cerchi, sogni e si entusiasmi, e ne faccia la propria missione.

Vorrebbe essere con loro - scrive - per curare le loro ferite, per consigliarli, per dar loro la forza, la pazienza e l'umiltà per affrontare la vita. Forza, pazienza e umiltà: che doni grandissimi per dei figli!


La voce di ingrid


Leggi questa lettera. Leggila bene. La voce che ti parla ti terrà sveglio la notte.

Inizia così la prefazione di Elie Wiesel al piccolo grande libro "Lettera dall'inferno a mia madre e ai miei figli" di Ingrid Betancourt, prigioniera 8 anni nella giugla colombiana in mano ai guerriglieri delle Farc e scritta il 24 ottobre 2007, circa 8 mesi prima della sua inaspettata liberazione.

Ho scelto questa citazione perchè il tema della voce è davvero tra i più forti e ricorrenti di questa lettera, arrivata ai familiari di Ingrid dopo 4 anni di assoluto silenzio, prima vera notizia e prova della sua esistenza in vita. Una voce, dunque, questa di Ingrid, che concretamente portava e porta con sè la vita.

Così nelle parole dei figli, che rispondono per iscritto alla madre:

la tua immensa lettera ci è arrivata dopo così tanti giorni di separazione, di silenzio, d'attesa, di speranza. È arrivata da molto lontano, oltre lo spazio, oltre il tempo...Leggendo la tua lettera, ho ritrovato la tua voce...non posso più sfuggire alle tue parole, ovunque io vada sono lì...

E ad ascoltarle, queste parole di Ingrid, questa sua voce, si rimane colpiti - contenuti a parte - dalla forza della sua semplicità e immediatezza, capace di incidere come un coltello su una corteccia: ...ho cercato di conservare la speranza così come si tiene la testa sopra il pelo dell'acqua...quel dolore (la morte del padre, dopo un mese dalla cattura della figlia) ritorna e si avventa su di me come un cane infedele...è meglio non desiderare nulla, per restare almeno libera dai desideri...mi hanno preso tutto, ogni giorno mi resta un po' meno di me...ricordare vuol dire vivere e morire di nuovo...

Parole che hanno dovuto vincere il silenzio e l'oblio, che ci sommergevano più della giungla. Parole d' amore, di speranza, di sofferenza, di dolore, di intelligenza, di vita, trattenute per 4 anni ma destinate a riempire soli pochi fogli concessi dai rapitori.

Dire tutto l'amore di una vita in poche righe. E riempire quelle righe di benedizioni per i figli e ringraziamenti a Dio, ma anche consigli pratici per la scelta della scuola e l'affitto della casa.
La vita, maiuscola e minuscola, è il suono, la vibrazione, l'eco, il respiro della voce di Ingrid.

Lo dice in fondo lei stessa, riferendosi in realtà alle parole che ogni giorno la madre anziana pronunciava alla radio dei prigionieri, unico contatto con l'esterno concesso dai guerriglieri:

La tua voce è il cordone ombelicale che mi lega alla vita.




martedì 22 luglio 2008

La tòpola


In televisione c'è il nuovo programma di Fabrizio Frizzi. "Non girare canale, papà - mi fa Elisa, 4 anni - questo ci piace, è la tòpola".

Si chiama "La botola", in realtà, e ricorda per molti versi la più celebre "Corrida". C'è gente che sa fare qualcosa (a volte sì, a volte no) e va in televisione a farlo vedere. Finita l'esibizione, 2 concorrenti si posizionano ciascuno su una botola che apre su una piscina. Il più votato dal pubblico si salva, il peggiore va in acqua. Ma non prima di 30 secondi di suspance, che i miei bambini seguono con il fiato sospeso.

E ogni giorno, prima di cena, la domanda è: "Papà, la vediamo la tòpola?"

venerdì 18 luglio 2008

Love me tender



Non ci potevo credere questa mattina quando ho sfogliato l'Osservatore Romano e ho trovato, in apertura di pagina 4, la foto grande a figura intera di Elvis Presley! Proprio così, il mitico Elvis "the pelvis" ancheggiante sul giornale del Papa: davvero non me lo sarei mai 'creso' (per dirla alla Gigi Proietti).

Il titolo dell'articolo: Love me tender...di un amore più grande. E' la storia di Dolores Hart, la prima attrice negli anni Cinquanta a baciare sul grande schermo Elvis Presley nel film Loving you. Oggi è una suora di clausura, priora delle novizie nell'abbazia Regina Laudis a Bethlehem, Connecticut.

Le canzoni ma anche i film di Elvis hanno fatto parte della mia prima adolescenza grazie soprattutto al mio fratellone Fabrizio. Erano la versione americana di quelli che poi furono, in Italia, i film di Gianni Morandi, Little Tony, persino Albano e Romina (Dio li perdoni tutti...). A ripensarli oggi appaiono di una ingenuità quasi commovente.

E comunque, oggi ti ritrovo Elvis sull'Osservatore. Mi sa che aveva ragione Celentano: vuoi vedere che questo Papa è rock?

(Foto da flickr, creative commons, oddsock)


giovedì 17 luglio 2008

Il posto


Il posto di Cristo è veramente tra i poeti.

E' il titolo di un brano comparso nel 1970 nell'Annuale del parroco, una raccolta di testi e documenti di vita sacerdotale e di arte pastorale. L'autore del brano è Oscar Fingal O' Flahertie Wills Wilde, più noto come Oscar Wilde (1845-1900).

Da questa citazione, che mi ha colpito molto, per la mia storia personale e culturale, parte un lungo e come al solito interessante articolo di Antonio Spadaro sull'Osservatore Romano di ieri, pubblicato anche sul sito di Bombacarta.



(Foto da Flickr, creative commons, Boston Public Librery)



martedì 15 luglio 2008

Il valore supremo della vita


"Ho settantun'anni. Ho costruito la mia prima casa quando avevo diciasette anni e mezzo, e ho continuato a lavorare per più di cinquant'anni, tra avventure, difficoltà, catastrofi, e di quando in quando il successo".

Così inizia, quasi epicamente, l'ultimo capitolo - "le confessioni" - dell'autobiografia di Le Corbusier, architetto, urbanista, pittore, "uomo visivo", secondo la definizione che egli stesso dà di sé, "un uomo che lavora con gli occhi e con le mani". Artista tra i più grandi del '900, alla riedizione di questa sua biografia ("La mia Opera", Bollati Boringhieri, Torino) dedica un lungo articolo l'inserto domenicale del Sole 24 Ore (13 luglio).

"La mia ricerca - prosegue il testo - come i miei sentimenti, è diretta verso ciò che è il valore supremo della vita: la poesia. La poesia è nel cuore dell'uomo ed è per ciò che egli riesce ad attingere alle ricchezze della natura".



(Nella foto, tratta dal sito della Fondazione Le Corbusier, la celebre Chapelle de Ronchamp)


venerdì 11 luglio 2008

Istinti sessuali


La sorellina fa la doccia. Giosuè, 6 anni, si avvicina, la guarda incuriosito e a un certo punto esclama, tra il sopreso e il preoccupato: "Ma lì c'hai un buco profondo!"

Istinti razzisti


Elisa, 4 anni, cammina per strada e sente suonare l'antifurto di una macchina: "Papà - mi chiede -, di che colore sono i ladri?"

Giuro che non l'ha sentita da me...