M. Il figlio del secolo. Romanzo "documentario" di Antonio Scurati, dedicato all'ascesa al potere di Benito Mussolini, il duce del fascismo, dal 1919 al 1924. 838 pagine.
Cose che mi sono piaciute.
L'ambizione dell'opera, l'impresa della ricostruzione, il coraggio della lunga narrazione.
Il passo della cronaca, quasi il diario giorno per giorno degli eventi piccoli e grandi che si succedono, pubblici e privati.
La rassegna di piccoli e grandi personaggi, ciascuno protagonista o vittima degli eventi, volontario o involontario.
L'alternanza di racconto e documentazione (articoli, lettere, dispacci, dichiarazioni, volantini) con un linguaggio agile, sapido, asciutto e concreto.
Il senso di ineluttabilità della storia e insieme della sua aleatorietà, la forza e la fragilità della catena degli eventi, sospesi tra caso, destino e libera scelta degli uomini.
Cose che mi hanno colpito, che non sapevo, che non ricordavo.
Il clima d'odio e di violenza dei primi anni dopo la Guerra, da parte di tutti, compresi i socialisti. Gli arditi, i fasci, i bolscevichi, persino il mite Giacomo Matteotti: "Compagni, vendete il grano e comprate una rivoltella". La grande disponibilità di armi. La grande disinvoltura nel mostrarle ed usarle all'occorrenza. L'atmosfera da guerra civile. "Non vogliamo discutere con i nostri nemici; noi vogliamo a batterli" (Dal programma per le elezioni amministrative dei socialisti di Mantova, 1920). "Se la guerra civile ha da essere, ebbene sia! " (Il Fascio, organo dei fasci milanesi, titolo a tutta pagina, 16 ottobre 1920).
Mussolini che contempla, quasi un tragico presagio, lo scempio di piazzale Loreto del 1920. Il linciaggio di un brigadiere dei carabinieri, Giuseppe Ugolini, che aveva fatto fuoco, uccidendolo sul colpo, su un giovane operaio scioperante. "La storia italiana non ha episodi così atroci come quello del piazzale Loreto", scriverà Mussolini su Il Popolo d'Italia. "Nemmeno le tribù antropofaghe infieriscono sui morti. Bisogna dire che quei linciatori non rappresentano l'avvenire, ma i ritorni dell'uomo ancestrale".
L'incredibile vicenda di D'Annunzio a Fiume e la modernissima costituzione del Carnaro, che prevedeva già anche il divorzio. Nel 1920 Guglielmo Marconi, l'inventore del telefono, inviato (inutilmente) da Giolitti per convincere il poeta alla resa, prima di tornare ne approfitta per chiedere il divorzio dalla moglie.
Il rapporto controverso tra il Vate e il Duce, "camerata assente e frigido", che copia dal primo i motti (me ne frego), l'oratoria (il dialogo con le folle) e le idee (la marcia su Roma), ma lo abbandonerà sostanzialmente al suo destino, ingannandolo e tradendolo. Quando Mussolini vivrà la prima grossa crisi interna al partito, nel 1921, i ribelli (Balbo e Grandi) andranno da D'Annunzio ad offrire la guida del fascismo.
L'irresponsabilità e il suicidio politico dei socialisti, capaci di alimentare il clima di tensione con la minaccia della rivoluzione, gli scioperi generali, le aggressioni ai piccoli proprietari, e di dividersi poi una volta ottenuto il consenso (nel 1919 hanno conquistato l'Italia, ma non sanno che farsene) e poi ancora nei momenti più critici, contribuendo a consegnare il Paese a Mussolini. "Non abbiamo mai creduto e non crediamo alla marcia su Roma" (editoriale anonimo sull'Avanti!, pochi giorni prima della marcia).
La figura di Nicolino Bombacci, segretario del partito socialista dal 1919, il "Lenin di Romagna", il "Cristo degli operai", ex-seminarista dalla folta chioma e grande barba, che predica l'avvento della repubblica dei soviet anche in Italia: "Noi vogliamo che la Russia sia anche qui". "Tagliatemi pure la testa se entro un mese non avrò costretto il re, perdio, a fare le valigie. Voi dovrete tagliarmi la testa se entro un mese anche in Italia non avremo fatto la rivoluzione!"
La "nostalgia" di Mussolini per il suo passato socialista, le ambizioni socialiste dei primi programmi fascisti, e poi l'ammirazione per l'abilità e la spietatezza con cui Lenin era riuscito ad affermare lo Stato comunista, istituendo la Ceka, la polizia segreta, e utilizzando alla bisogna i metodi del terrore. Quando Mussolini istituirà la sua polizia segreta, la chiamerà, con soddisfazione, la "Ceka fascista".
Le continue crisi interne al fascismo, fin dall'inizio, le divisioni per bande, il tradimento delle "origini", la violenza incontrollata e quella organizzata, il sostegno dei proprietari terrieri, degli industriali, della borghesia, i passi falsi, la capacità di sfruttare errori e viltà altrui.
Gli affari e la corruzione degli alti dirigenti fascisti al potere, e dei loro collaboratori, in particolare lo scandalo dei residuati bellici e del traffico d'armi, persino "con un Paese nemico".
Il sostegno dei migliori intellettuali e artisti al primo governo Mussolini. Benedetto Croce, Luigi Pirandello e persino il grandissimo Giuseppe Ungaretti, che chiede e ottiene la prefazione del Duce per la nuova edizione del Porto Sepolto (1923).
Le gravi responsabilità del re in due momenti cruciali della storia del fascismo, che avrebbero potuto cambiare il corso della storia. In occasione della marcia su Roma, quando il sovrano si rifiuta di confermare lo stato d'assedio decretato dal governo, che avrebbe comportato l'arresto di tutti i dirigenti fascisti, compreso Mussolini. E in seguito al drammatico delitto Matteotti, le cui responsabilità coinvolgevano direttamente i vertici del governo e del partito fascista, quando Vittorio Emanuele III respinge l'appello delle opposizioni che gli chiedevano di imporre le dimissioni del governo.
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