martedì 26 maggio 2009

Perché tu sia il mio canto


Schiodate i catenacci dalle porte!

Schiodate le porte stesse dai cardini!

Se il poeta Majakovskij rimaneva crocifisso sulla carta "coi chiodi delle parole", l’opposto sembra accadere a un altro poeta e alle sue parole, che “schiodano” invece di inchiodare. Parliamo di Walt Whitman (1819-1892), il gigante della poesia americana. Il padre fondatore, l’Adamo della poesia degli Stati Uniti come Emily Dickinson può esserne considerata l’Eva, la donna originaria.

La lettura del suo capolavoro – Foglie d’Erba (Leaves of Grass) – mi ha accompagnato per molti mesi. E alla fine, sono tantissimi i versi che mi rimangono da “cantare”. Cos’altro chiedere, del resto, ad un poeta?

Dammi belle parole da cantare! Prenditi tutto il resto

I versi di Whitman si cantano non perché siano in rima, ma perché sono un inno, una lunga e ininterrotta celebrazione. (Io e i miei versi non convinciamo con argomenti, similitudini o rime, / Ma convinciamo con la nostra presenza…)

Una celebrazione della vita:

Grande è la vita, concreta e mistica, ovunque e per chiunque,



Il più piccolo germoglio mostra che in realtà non esiste la morte…



L’essere nati è una risposta sufficiente a ogni obiezione


Celebrazione del presente:

Non c’è niente di meglio di questo minuto, adesso



Ogni momento e tutto quello che accade, mi fa fremere di gioia



Non c’è mai stato più inizio di quanto ce ne sia ora



La felicità in nessun alto posto che qui – in nessuna altra ora che questa


Celebrazione del corpo:

Se c’è qualcosa di sacro, il corpo umano è sacro
(If any thing is sacred, the human body is sacred)



Ogni parte e frammento di me è un miracolo
Divino sono, dentro e fuori, e rendo santa ogni cosa che tocco o da cui sono toccato,
L’odore di queste ascelle è un aroma più sottile della preghiera,
Questa testa è più delle chiese, delle bibbie, dei credo.



Celebrazione della realtà:

Penso che un filo d’erba non sia da meno di un movimento delle stelle,
e la formica sia altrettanto perfetta, e un granello di sabbia, e l’uovo di una gallina,



E credo che non troverò nulla nelle stelle di più maestosamente bello che già non abbia trovato sulla terra


Celebrazione della democrazia:

L’unico governo possibile è quello che tiene conto degli individui



E nessuno, nemmeno il Presidente, ha diritto a qualcosa in più di te o di me,
E nessun abitante d’America ha diritto a qualcosa in meno di te o di me


Celebrazione dell’America:

...questa America siamo solo tu ed io
il suo potere, le sue armi, la sua testimonianza, siamo tu ed io


Celebrazione dell’umanità:

Trovo la mia casa ovunque ci siano dimore di uomini



Nei volti di uomini e donne vedo Dio, e nel mio stesso volto allo specchio,
Trovo lettere lasciate cadere per strada da Dio e ognuna è firmata col nome di Dio,


Celebrazione di ogni singolo uomo.

Ognuno di noi altrettanto divino qui come chiunque altro

A cominciare dall’autore:


I celebrate my self
(Celebro me stesso)

E’ il primo verso di Foglie d’Erba, dalla prima “Poesia di Walt Whitman, un americano”, che diverrà poi, nelle successive rielaborazioni, “Song of myself”.

Il canto di me stesso che mi alzo dal letto e vado incontro al sole

Ma non è un io chiuso su se stesso quello che parla. E’ un io che mantiene con l’altro un rapporto speciale, aperto, si può dire di identificazione, o “incarnazione”

Io divento qui ogni presenza o verità umana



Sono il pompiere schiacciato con una costola rotta...



Io sono l’uomo, ho sofferto, ero lì



L’altro cui si rivolge il poeta è sempre un tu. E dietro il tu c’è il lettore, che Whitman unisce a sé in una sequela d’amore che non può non ricordare – nei toni, negli accenti, nei riferimenti più o meno espliciti - quella del Cristo coi suoi discepoli, con ognuno degli uomini.

Se non riesci ad afferrarmi subito, non ti scoraggiare,
se non mi trovi, cercami in un altro
io da qualche parte mi fermo ad aspettare te



hai sognato abbastanza a lungo spregevoli sogni,
Ora ti lavo il fango dagli occhi,
ti devi abituare al fulgore della luce, e di ogni momento della tua vita



tu sei colui o colei per il quale il sole e la luna sono sospesi nel cielo



Chiunque tu sia, metto ora la mia mano su dite, perché tu sia il mio canto,
Accosto le mie labbra per sussurrarti all’orecchio,
Che ho amato molti uomini e donne, ma non amo nessuno più di te


(Foto di Whitman, da Wikipedia)


4 commenti:

Marco Statzu ha detto...

Mi piace quel verso che hai citato:
Trovo la mia casa ovunque ci siano dimore di uomini.
Come pure il
Pensiero
D’obbedienza, fede, adesione,
Mentre me ne sto in disparte e osservo, trovo qualcosa di
molto commovente nello spettacolo di grandi masse
di uomini, che seguono la guida di quelli che negli
uomini non credono.

E poi quest'idea che le sue foglie hanno continuato a comporre sino agli ultimi giorni della sua vita un grande albero...
è bello Whitman! anch'io lo rileggo ogni tanto!

E Emily Dickinson?
Dove e quando è esistita una creatura più sensibile?

Alessandro Iapino ha detto...

Conosci Marco questi versi di Emily Dickinson? Io ce li ho sul salva schermo del pc:

Nel nome dell’ape
e della Farfalla
e della Brezza
Amen!”


E' o non è il canto della nuova creazione?

Marco Statzu ha detto...

no, non li conoscevo e sono stupendi.
Ma tutte le sue poesie sono un bosco infinito di richiami, allusioni, messaggi, sacramenti.
Custodisco gelosamente il Meridiano di Emily e lo regalo, talvolta, a un amico/a fidato/a! :-)

del resto è suo quel verso:
Essere un fiore è profonda
responsabilità.

Anche questa è sua:
1176
Non conosciamo mai la nostra altezza
Finché non siamo chiamati ad alzarci
E allora se siamo conformi al progetto
Le nostre stature toccano i cieli -

L'Eroismo che recitiamo
Sarebbe una cosa normale
Se non curvassimo noi stessi i Cubiti
Per paura di essere un Re -

Alessandro Iapino ha detto...

sono versi che fanno venire i brividi...credo che ne farò un post solo per farli "cantare" nel cuore di chi legge.
Marco, sono contento di averti conosciuto. Abbiamo tante cose in comune. Grazie