giovedì 22 maggio 2008

La ferita dell'altro

"Non c'è vita buona senza passare attraverso il territorio buio e pericoloso dell'altro...qualunque via di fuga da questo combattimento e da questa agonia conduce inevitabilmente verso una condizione umana senza gioia".

Queste parole scandalosamente cattoliche di Luigino Bruni le dedico ai tanti "cattolici" che hanno immaginato e voluto introdurre (in un disegno di legge) il reato di immigrazione clandestina. Che vale l'arresto e l'espulsione per coloro che si trovano in Italia in condzione irregolare. Eliminare il problema dell'altro - "la ferita dell'altro" la chiama Bruni nel suo libro dedicato all'economia- nell'illusione di una vita senza traumi, conduce ad una "parodia della vita", perchè "senza ferite non si vive" - ci ricorda Casoli commentano Bruni - "ecco il vitale paradosso: nell'egoistico benessere - che necessariamente deve essere piccolo e misero, anche se miliardario, per sussistere - ...si atteggia la propria morte vivente, perchè manca l'altro/Altro". È "un girare sensa senso intorno all'inesistente o nullificante se stessi".

Se ne vanno via

Tra i compagni di classe di mio figlio, alla scuola materna, c'è Matteus, un bambino bellissimo e dolcissimo, figlio di genitori polacchi, in Italia da 17 anni.

Ieri la mamma di Matteus mi ha detto che hanno deciso di tornare a casa, in Polonia. Non ce la fanno più ad andare avanti. Lei, Erica, fa le pulizie nelle case. Martino, il marito, fa il cameriere in un ristorante del centro. Pagano 800 euro di affito mensili. L'anno prossimo diventeranno 1200, per decisione dei proprietari. Si sentono soli, sfiduciati e delusi. Amici e parenti in giro per il mondo si sono tutti "sistemati". Loro invece tornano in Polonia, non si sono sentiti aiutati dal nostro Paese, che pure hanno amato, in cui lasciano - dice lei - "un pezzo di cuore".

Il clima, poi, si è fatto ostile. L'immigrazione clandestina è un reato, dice il nuovo governo, bisogna rispettare le regole. "Ma quando ero io che chiedevo di essere messa in regola - sbotta Erica - i miei datori di lavoro italiani non ne volevano sapere". "Non è giusto" commenta Erica, che ha scelto di tornare in Polonia dove spera di trovare "gli amici di un tempo" e sogna di aprire un negozio di scarpe per bambini. Buona fortuna Matteus, Erica e Martino: senza di voi il mio Paese mi sembrerà più triste.