
Ieri ho ascoltato per la prima volta questa splendida poesia di Sergej Esenin, poeta russo morto suicida a 30 anni. In piena Rivoluzione di ottobre, nel 1917, il giovane Esenin scrive questi versi d'incanto che semplicemente ripropongo per un ascolto profondo:
Non invano i venti hanno soffiato,
non invano ha infuriato la tempesta.
Qualcuno, misterioso, di calma luce
ha imbevuto i miei occhi.
Qualcuno con tenerezza primaverile
nella nebbia turchina ha placato la mia malinconia
per un'arcana e bellissima
terra straniera.
Non mi opprime il latteo silenzio,
non mi turba la paura delle stelle.
Io amo il mondo e l'eterno
come il natio focolare.
Tutto in essi è benevolo e santo,
tutto ciò che turba è luminoso.
Il papavero scarlatto del tramonto
guazza sul vetro del lago.
E senza volerlo nel mare di grano
un'immagine scatta dalla lingua:
il cielo che ha figliato
lecca il suo rosso vitello
Esenin Sergej (1917), da "Poesia russa del Novecento" a cura di Angelo Maria Ripellino. La foto è presa da Wikipedia.