giovedì 30 luglio 2009

Stiamo bene così


«Miei cari corvi, tutti occupati a strapparvi l'un l'altro la regal carogna, solo lui c'è che vorrebbe rifare di questo che sono io, che sei tu, che è tutto il mondo, una cosa viva. Solo Giovanni. Ma non troverà neppure uno disposto a risuscitare, stiamo bene così, in questa tomba».

Chi parla è Erode Antipa, marito di Erodiade, rivolto alla sua corte di corvi nell'opera teatrale La testa del profeta di Elena Bono, poetessa e scrittrice di cui dissi qui qualcosa proprio all'inizio di questo blog, ormai quasi 2 anni fa. Il profeta è Giovanni Battista, e sua è la testa che Salomè chiederà di ricevere in dono su un piatto d'argento, come raccontano i vangeli seguiti da una vastissima produzione letteraria, artisitica e cinematografica.

Il dramma della Bono, pubblicato dalla Garzanti nel '65, piacque tanto tra gli altri a Pasolini, che avrebbe voluto trarne la sua Salomè cinematografica, ma l'autrice non volle, temendo "insormontabili incompatibilità". Lo apprendo con piacevole sorpresa - sono entrambi autori che amo tantissimo - da un articolo sull'Osservatore Romano di oggi, da cui traggo anche la citazione iniziale che trovo terribilmente vera.

La frase allude al fatto che spesso preferiamo vivere da morti (Stiamo bene così, in questa tomba) piuttosto che rinascere da vivi (risuscitare). Piuttosto che lasciarsi rifare da Qualcuno capace di rovesciare le pietre dei nostri sepolcri. Qualcuno capace di trasformare me, te e il mondo che ci circonda in una cosa viva.

La Vita ci fa paura, preferiamo continuare a masticar carogne


(Foto da Flickr/suchitra prints)



mercoledì 29 luglio 2009

Fino alla seppia


Parlo al telefono con mia figlia Elisa, che è al mare con i nonni.

Le chiedo se ha fatto il bagno e lei risponde fiera:

- Sì, papà, e sono arrivata con la tavoletta fino alla seppia!!!!


Voleva dire "secca", ovviamente. Come si fa a non adorarli i bambini?


(Foto da Wikipedia)

martedì 28 luglio 2009

Anche all'inferno


"Se anche all'inferno si potesse pregare, l'inferno non esisterebbe più"

Giovanni Maria Vianney, il curato d'Ars (1786-1859). Il mio spacciatore di citazioni preferito, almeno ultimamente, è Lucio Brunelli, vaticanista del tg2. Ogni settimana cura su Vita la rubrica Pani e Pesci, che termina sempre con un Ipse dixit.





(La foto è tratta dal sito ufficiale del Santuario d'Ars)

giovedì 23 luglio 2009

Popolare


Sul Corriere della Sera di oggi, un lungo articolo di Claudio Magris dedicato a Giovanni Guareschi, "l'anticomunista che amava i compagni".

Al di là del tema politico-ideologico, sempre legato in modo controverso all'autore di Don Camillo e Peppone, l'articolo di Magris ci aiuta a capire il valore della "vera" scrittura "popolare", spesso misconosciuta per una "concezione falsamente sofisticata e raffinata della letteratura", un "pregiudizio supponente nei confronti di ciò che appare facile e popolare".

Guareschi, scrive Magris, "è stato un vero scrittore popolare, qualità che oggi appare particolarmente carente nella nostra narrativa. Guareschi è popolare nel senso che sa realmente parlare a molti, raccontando qualcosa di essenziale (ad esempio il senso dell'amicizia, il piglio picaresco, gagliardo e malinconico del vivere) con una semplicità accessibile anche a chi non ha una profonda cultura, ma non a chi non ha cuore e non sa cosa significhi far baldoria con gli amici o preparare il Presepe quando si avvicina il Natale".

"Esattamente il contrario - precisa giustamente Magris - della fasulla popolarità costruita a tavolini di tanti odierni bestseller romanzeschi, apparentemente profondi per i problemi che esibiscono e in realtà superficiali per il semplicismo ancorchè serioso con cui li affrontano".


(L'immagine è recuperata dal sito www.cinemabaroni.com)





martedì 21 luglio 2009

Benvenuta la vita


"Sono diventato vecchio senza annoiarmi. L'esistenza è ancora una cosa mirabile per me, e le do il benvenuto come ad un forestiero".

Un articolo a tutta pagina di Pietro Citati sulla Repubblica di ieri, mi dà l'occasione di tornare per un momento sul grande e amatissimo Gilbert K. Chesterton.

Non conoscevo questa frase "bellissima" che - racconta Citati - Chesterton disse poco prima di morire. Forse oggi i forestieri ci fanno paura, perchè ci fa paura la vita, o bene che vada ci annoia.


(L'immagine, con citazione altrettanto bella, è tratta da Flickr/raymaclean)




lunedì 20 luglio 2009

I nostri peggiori nemici


"I nostri peggiori nemici, e quelli con cui dobbiamo combattere più di tutti, sono dentro"



(Miguel De Cervantes, Don Chisciotte della Mancia)











(Foto da Wikipedia: Honoré Daumier)




lunedì 13 luglio 2009

La scuola dei dittatori


«Vi raccomando in particolare il termine “valori”. Potete servirvene a tutto spiano, suona bene e non impegna a nulla»

Consigli per aspiranti dittatori dal libro di Ignazio Silone del 1938 (!) "La scuola dei dittatori" (Oscar Mondadori, Scrittori del Novecento). Un saggio ironico scritto sotto forma di dialogom in cui un democratico esiliato in Svizzera, Tommaso il Cinico, impartisce lezioni sull'argomento a un aspirante dittatore americano e al suo ideologo, in viaggio di "istruzione" in Europa tra fascismo, nazismo e comunismo.

«Come deve regolarsi, a parere vostro, un uomo di buona volontà che nel suo paese aspira alla dittatura?»

Gli spunti di interesse (attualità?) che offre il libretto - 179 pagine - sono davvero tanti, a partire dal tema dell'identificazione della massa col Capo. Non è infatti il tiranno «a creare i servi, ma i servi il tiranno» scrive Silone. «La grandezza del capo» - citando Trotzkij - «è una funzione sociale». «Il re presuppone i sudditi». Il dittatore «diventa il prodotto individualizzato d’un irresistibile bisogno collettivo». La sua persona - ce l'ha con Mussolini - viene rivestita di «virtù difetti aspirazioni dell’io-ideale di milioni d’italiani». Inutile a quel punto «discutere oggettivamente la sua persona o la sua condotta con un italiano qualunque»: «Criticare il capo presso un credente equivale ad attaccare la parte sublimata di lui stesso, nella quale egli attinge il conforto per sopportare le difficoltà della sua misera vita».

Posta la premessa, la postilla è conseguente: «Il culto del capo è la funzione principale del monopolio dei mezzi di informazione e propaganda».

Ma forse ancora più interessante è il ragionamento che Silone fa (o meglio il suo alter ego) sul "suffragio universale", sulla tendenza anche oggi a giustificare ogni azione politica col riferimento alla volontà popolare, "la gente ci ha votato", o a minacciareo se occorre "il ricorso alle elezioni".

«Quali e quanti oltraggi alla libertà dei cittadini - dice Tommaso il Cinico - non sono stati sanzionati dal suffragio universale». La verità è che il suffragio universale è «uno strumento della democrazia, non la sua essenza». Non sempre, infatti, l’allargamento del suffragio ha avuto come risultato un rafforzamento della democrazia. «Né mancano esempi in cui il suffragio è stato allargato dai reazionari proprio per fiaccare la democrazia». Vale a dire che «il numero, senza la coscienza, è zavorra servibile a tutti gli usi».

Tanto più che il dittatore moderno «ha bisogno di qualificare il proprio regime come una forma superiore di democrazia, addirittura come la vera democrazia, la democrazia diretta». Né «si è mai vista una tirannia imporsi a una nazione agitando altra bandiera di quella della “vera libertà”».

Ma chi è, insomma, questo dittatore? Silone - dopo essersi dilungato in molte pagine - risponde semplicemente con Montesquieu: “colui che fa abbattere un albero per cogliere una mela”.




giovedì 9 luglio 2009

La brutalità dei sani


"L'uomo malato e la brutalità dei sani" è il titolo di un articolo su L'Osservatore Romano di oggi dedicato al pensiero del grande filoofo e teologo Romano Guardini sulla malattia, la vita, il rapporto tra medico e paziente.

Gli argomenti sono in parte quelli legati alle questioni oggi dibatutte intorno alla bioetica, ma la cosa bella è che nelle parole di Guardini non ci sono gli accenti polemici della nostra attualità politica, perchè il testo di cui si parla è stato scritto nel 1947, ad appena due anni dalla fine delle guerra, in quella Germania che aveva conosciuto l'orrore dello sterminio nei confronti dei malati mentali e degli handicappati, oltre che degli ebrei, degli omosessuali, degli zingari.

Le tribolazioni umane

La principale attenzione di Guardini (morto del 1968) è per le "tribolazioni umane" ed il modo in cui vi ci si possa accostare. Ci sono "due modi" scrive. "Uno è ovvio. Consiste nel lenire i dolori ed eliminare le cause immediate dei guai. L'altro non è così evidente, ma è altrettanto importante, anzi lo è ancora di più. Consiste nell'aiutare l'uomo affinché conservi nelle tribolazioni la visione della vita nella sua totalità, il sentimento di ciò che è essenziale, il senso delle distinzioni assolute, e superi con tale animo quanto gli accade. Per quanto sia importante il primo modo, se contraddice il secondo si trasforma in danno".

Contro l'approccio "meccanicistico" alla malattia, per cui "il singolo diviene irrilevante, il trattamento si fa schematico, le prescrizioni divengono burocratice", "il malato - dice Guardini - vuole sentire che la malattia è concepita come un processo di vita (!) e che la guarigione è un atto che aiuta a vivere e non la riparazione di un guasto in una macchina".

Ma il cuore ancora più caldo delle sue riflessioni è la questione del rapporto tra malati e sani, paradigma concreto del rapporto tra l'uomo e la Società, l'uomo e il Potere.

La brutalità dei sani

Il medico - dice Guardini utilizzando un'espressione che trovo eccezionale - "rappresenta il diritto dell'uomo malato di fronte alla brutalità dei sani". Il tema è quello dell'inviolabilità della vita umana. E perchè "un uomo è inviolabile"? "Non già perchè vive e ha quindi diritto alla vita. Un simile diritto l'avrebbe anche l'animale, poiché anch'esso vive (...) ma la vita dell'uomo non può essere violata perchè l'uomo è persona".

Contro ogni utilitarismo e ogni pretesa di possesso sugli altri, Guardini ha in mente il risvolto pratico - nella Germania nazista - dello "spaventoso concetto di vita priva di valore vitale: prime vittime furono i malati mentali e gli idioti, sarebbero seguiti gli incurabili - e, infatti, molti di loro vennero uccisi - e i vecchi e gli inabili al lavoro avrebbero chiuso la serie".

La persona come contrappeso al male e la salvezza che viene dagli ammalati

Di fronte a questi pericoli, è il concetto di "persona" e la sua "intangibilità" a rappresentare secondo il filosofo italo-tedesco l'unico "contrappeso". Fino al paradosso che sono gli "ammalati", i "minorati", gli "sprovveduti", gli "inutili" a salvare la società, i "sani", dalla propria "crudeltà".

Così Guardini: "Senza il contrappeso del carattere di persona proprio di ogni uomo e della sua intangibilità, le strutture del potere sono destinate alla rovina di per se stesse; se rettamente intesi, gli ammalati, i minorati, gli sprovveduti sono i difensori dei sani e li custodiscono dall'hybris e dalla crudeltà, possibilità sempre presenti nella condizione di chi è sano e forte".


(La foto di romano Guardini è presa dal sito de L'Osservatore Rmano)





venerdì 3 luglio 2009

Beata ignoranza


Per finire con il romanzo di Petru Cimpoesu, la scena in cui Il Santo, ancora chiuso nell'ascensore, è interrogato da uno dei condomini:

«Signor Simion, ho sentito che lei fa miracoli, vero?»
«E io che ne so, figliuolo? E’ senz’altro possibile»
«Cioè, come? Fa miracoli senza saperlo? »

«
Ma, che Dio mi perdoni, tu pensi che l’icona prodigiosa della Madre di Dio, quando fa qualche miracolo, sa qualcosa del miracolo compiuto? Ad esempio, è ben possibile che ogni volta che schiocco le dita, uno stormo di piccioni si alzi in volo dal Palazzo Comunale, ma io da qui non li vedo. Che specie di prodigio sarebbe mai questo? I miracoli li fa solo Dio, mio caro»


(Foto da Flickr/Wonderlane: Mary of Miracles)



giovedì 2 luglio 2009

Offese


«Simion vuole diventare santo, vuole arrivare in Paradiso».
«Temistocle, non è bello parlare così di un uomo anziano. Devi rispettarlo», lo rimproverò lei.

Ancora da Il Santo nell’ascensore.








(Foto da Flickr/jeremy burgign)

mercoledì 1 luglio 2009

Le ferite delle spine


Maura ha quattro anni ed è pronta per andare a nanna.
La mamma Maria le dice di fare il segno della croce e di dire la preghiera.
Lei inizia: "...in nome del Padre, del Figlio, dello Spirito....".
Si ferma, ci pensa un momento e poi dice: "...ah già, lo spirito per guarire le ferite delle spine..."


(Foto da Flickr/Luigi Scorcia)



Italieni


«I romeni (ma qui il lettore può mettere chi vuole...) hanno una morale particolare, le cui regole generali sono riconosciute da tutti a gran voce (...) ma le regole generale non trovano mai applicazione nei casi singoli degli individui concreti. Si potrebbe arrivare ad ammettere che i romeni credono in un Dio un po' strano che, anche se vieta in linea di principio la bugia, il furto, l'inganno e gli altri peccati, in certi casi particolari sembra tollerarli con grande larghezza di manica. Un Dio che ci permette di fare male con la coscienza a posto... »

Da Il Santo nell’ascensore, romanzo di angeli e moldavi. Dedicato all’amico Moralista.