"La comunicazione è sempre più una questione di relazioni". A volte occorre fare i salti mortali per arrivare a scoprire o riscoprire ad un nuovo livello di profendità le verità più semplici e apparentemente banali. Così questo virgolettato di Monica Fabbris, presidente di GPF, uno dei più autorevoli istituti di ricerca e consulenza strategica in Italia, fa il paio con le osservazioni contenute nel post del 24 ottobre, dove si diceva: "La finalità delle attività di comunicazione è costruire relazioni".
Spiega autorevolmente Monica Fabbris, letta sul sito della Ferpi: "Il segreto del successo di un prodotto, di un bene o di un servizio è nella capacità dell'organizzazione, sia essa privata, un'azienda, ma anche pubblica o sociale, di gestire i sistemi di relazioni, interni ed esterni, quelli che io chiamo 'le reti di reti' su cui viene veicolata la marca innanzitutto ma anche le altre attività. Insomma la comunicazione è sempre più una questione di relazioni. Si è passati, in pochi anni, da una comunicazione di marca one to many, ad una one to one a quella che sta caritterizzando i nostri tempi meny to many". Un esempio di gestione delle relazioni dovrebbe essere il blog, linkabile dal sito GTF, La Galassia delle Reti.
"Esiste uno stile cristiano di presenza anche nel mondo digitale: esso si concretizza in una forma di comunicazione onesta ed aperta, responsabile e rispettosa dell’altro" (Benedetto XVI)
mercoledì 28 novembre 2007
lunedì 26 novembre 2007
Particolari...
"La realtà particolare trascende il pensiero concettuale". Esattamente il contrario di ciò che pensiamo comunemente. L'affermazione del poeta e critico francese Yves Bonnefoy, letta su Avvenire di domenica 18 novembre, spiazza il nostro modo comune di ragionare. Noi pensiamo infatti che sia il concetto, l'idea a trascendere la realtà. Per questo ci piace tanto 'generalizzare', ci piace trarre leggi generali dai fatti particolari. E' la nostra natura che ci spinge a farlo. Ma la poesia, l'intelligenza poetica, ci ricorda che "il concetto non rappresenta il vero reale": "i concetti possono ricostruire una idea dell'albero, ma non dire questo albero che è qui di fronte a noi, con gli infiniti elementi della sua presenza tutti percepibili e tutti percepiti nello stesso istante". E' dunque il particolare che rivela l'universale, non il contrario. E lo rivela proprio in quanto particolare, sempre unico e per questo misterioso, indefinibile perchè definito, trascendente perchè immanente, incarnato. Non esiste l'uomo in poesia, e nella vita, esiste questo uomo.
sabato 24 novembre 2007
L'inconscio è anche luce
«L'inconscio non è soltanto male, ma è anche la sorgente del bene più alto; non è solo buio ma anche luce, non è solo bestiale, semi-umano, demoniaco, ma è anche sovrumano, spirituale e, nel senso classico del termine, 'divino'». Trovo citata questa frase di Carl Gustav Jung nel mattutino di Gianfranco Ravasi. Dal libro "La pratica della psicoterapia" del grande autore svizzero (1875-1961). Dedicata a tutti quelli che sono 'costretti' dalla vita a guardare dentro di sé. E anche a quelli che per paura di trovarvi dei mostri rinunciano a farlo.
venerdì 23 novembre 2007
E' alla vita che non siamo rassegnati...
"Noi tutti siamo rassegnati alla morte: è alla vita che non siamo rassegnati". Non ho ben capito cosa voglia dire ma sento che è bella e soprattutto vera. La frase è di Graham Green, tra i maggiori scrittori inglesi del 900, "cattolico"
La fame non è negoziabile
"La lotta alla fame tra i principi non negoziabili". Così titola l'editoriale di prima pagine di Avvenire di oggi, a firma Fulvio Scaglione. Che fa da spalla all'apertura grande del quotidiano, con foto, "Scandalo fame". Il Papa incontra i partecipanti alla 34^ Conferenza generale della Fao e chiede di "raddoppiare gli sforzi affinché ogni persona riceva il pane quotidiano". Perchè ogni persona - sintetizza l'Osservatore Romano - ha il diritto ad essere libera dalla fame. "Mai più fame", si legge alla fine del discorso del Papa.
Ora registro 2 cose. La prima, positiva, è che finalmente leggo nero su bianco su Avvenire che anche la fame è tra i principi non negoziabili. Certo, si dirà, l'ha detto Avvenire, non espressamente il Papa. Ma il concetto è quello, e ci accontentiamo ben volentieri. La seconda, negativa, è che non solo nessuno si ricorderà, nel dibattito sui "non negaziabili", di questa svolta 'culturale'. Ma soprattutto nessun giornale ha riportato la notizia della Fao non dico in prima pagina, nemmeno all'interno. Tranne, ovviamente, Avvenire e Osservatore.
Ora registro 2 cose. La prima, positiva, è che finalmente leggo nero su bianco su Avvenire che anche la fame è tra i principi non negoziabili. Certo, si dirà, l'ha detto Avvenire, non espressamente il Papa. Ma il concetto è quello, e ci accontentiamo ben volentieri. La seconda, negativa, è che non solo nessuno si ricorderà, nel dibattito sui "non negaziabili", di questa svolta 'culturale'. Ma soprattutto nessun giornale ha riportato la notizia della Fao non dico in prima pagina, nemmeno all'interno. Tranne, ovviamente, Avvenire e Osservatore.
giovedì 22 novembre 2007
Fissione nucleare
Come nel post precedente, mi permetto di rubare dal blog di Accattoli altre 2 citazioni di Benedetto XVI. Sono per queste debitore ad Andrea Macco, alias Feynman82, fisico e giornalistico scientifico, che le ricorda nel suo commento. Mi perdoneranno se dico che rubo spinto dalla bellezza?
La prima frase è in riferimento all’Eucaristia, dall'omelia del Papa alla Gmg di Colonia: “La vittoria dell’amore sull’odio, la vittoria dell’amore sulla morte e’ la fissione nucleare portata nel piu’ intimo dell’essere. Soltanto questa intima esplosione del bene che vince il male può suscitare poi la catena di trasformazioni che poco a poco cambieranno il mondo”. Ogni cuore ha bisogno di questa fissione nucleare per guarire le sue ferite ed iniziare il suo cammino di trasformazione.
E ancora, immagine ripresa al convegno di Verona:
“La risurrezione di Cristo è stata dunque come un’esplosione di luce, un’esplosione dell’amore che scioglie le catene del peccato e della morte. Essa ha inaugurato una nuova dimensione della vita e della realtà, dalla quale emerge un mondo nuovo, che penetra continuamente nel nostro mondo, lo trasforma e lo attira a sé”.
La prima frase è in riferimento all’Eucaristia, dall'omelia del Papa alla Gmg di Colonia: “La vittoria dell’amore sull’odio, la vittoria dell’amore sulla morte e’ la fissione nucleare portata nel piu’ intimo dell’essere. Soltanto questa intima esplosione del bene che vince il male può suscitare poi la catena di trasformazioni che poco a poco cambieranno il mondo”. Ogni cuore ha bisogno di questa fissione nucleare per guarire le sue ferite ed iniziare il suo cammino di trasformazione.
E ancora, immagine ripresa al convegno di Verona:
“La risurrezione di Cristo è stata dunque come un’esplosione di luce, un’esplosione dell’amore che scioglie le catene del peccato e della morte. Essa ha inaugurato una nuova dimensione della vita e della realtà, dalla quale emerge un mondo nuovo, che penetra continuamente nel nostro mondo, lo trasforma e lo attira a sé”.
Tutto il senso dell'universo
“In ogni piccolo ma genuino atto di amore c’è tutto il senso dell’universo“. Dal blog di Luigi Accattoli rubo questa citazione da Benedetto XVI, detta all’Angelus di domenica. Condivido l'entusiasmo di Luigi per bellezza, la dolcezza e la semplecità di queste parole, da 'ruminare' nella mente e nel cuore. Luigi poi ricorda queste altre due frasi. “L’amore basta e salva l’uomo. Chi ama è un cristiano”, scritta da teologo (Joseph Ratzinger, Tempo di Avvento, Queriniana 2005, p. 63 - l’originale tedesco è del 1965). Quindi nella Deus caritas est: “Il cristiano sa che Dio è amore e si rende presente proprio nei momenti in cui nient’altro viene fatto fuorché amare” (n. 31). Perle di splendore.
martedì 20 novembre 2007
La verità...di tre quarti
"Quando si guarda la verità solo di profilo o di tre quarti la si vede sempre male. Sono pochi quelli che sanno guardarla in faccia". Così dice Gustave Flaubert. Chi guarda la verità di profilo normalmente non fa molti danni, si rende conto abbastanza facilmente che si tratta di mezza verità. I più tristi finiscono per pensare che la verità sia sempre mezza, e arrivano a dimezzare così la loro stessa vita. Ma i più pericolosi sono quelli che arrivano a guardare la verità di tre quarti, perchè sono spesso molto intelligenti, ma non abbastanza sobri da ricordarsi che tre quarti non vale mai un intero. Infine quei "pochi" che la verità "sanno guardarla" in faccia. L'unica cosa qui che riesco a immaginare è che gli occhi di quei pochi non saranno più gli stessi.
lunedì 19 novembre 2007
Un giorno che non sia importante
"Non esiste nella vita di nessuno un giorno che non sia importante". Così avrebbe detto, o scritto, tale Alexander Woolkott, critico e giornalista statunitense della prima metà del '900 (almeno secondo Wikipedia). A prendere sul serio questa frase, la vita ne uscirebbe capovolta. Quante giornate passano via senza memoria, senza significato, senza attesa. Se invece uno iniziasse il proprio giorno nell'attesa fiduciosa di qualcosa di importante - magari solo un volto, un gesto, una parola -avremmo un altro sguardo la mattina, e un altro cuore. Dacci oggi il nostro pane quotidiano.
mercoledì 14 novembre 2007
Il giocatore invisibile - 4
A gentile richiesta, ancora qualche battuta dal libro di Pontiggia "Il giocatore invisibile".
Il collega al professore: «Forse ti è mancata una crisi, ma c'è ancora tempo»!
In pasticceria. La commessa al professore 'panciuto': «Lei non combatte più per la linea?». «Oh sì - rispose -. Ogni giorno. Ma soccombo, come vede».
La moglie al marito.
- «Non so mai quello che pensi veramente»
- «Neanch'io»
Lei a lui: «E' infantile...voler convincere sempre gli altri, tutti, che tu vali, che hai ragione» (credo di essere un po' infantile...)
Ancora lei a lui, moglie a marito: «Certe volte mi domando se tu sia infantile o malato»!
Infine per il mio amico moralista: «...è un moralista malcontento di sè e degli altri, quindi il massimo di aggressività repressa. E' una bomba a orologeria che esplode al momento sbagliato...»
Il collega al professore: «Forse ti è mancata una crisi, ma c'è ancora tempo»!
In pasticceria. La commessa al professore 'panciuto': «Lei non combatte più per la linea?». «Oh sì - rispose -. Ogni giorno. Ma soccombo, come vede».
La moglie al marito.
- «Non so mai quello che pensi veramente»
- «Neanch'io»
Lei a lui: «E' infantile...voler convincere sempre gli altri, tutti, che tu vali, che hai ragione» (credo di essere un po' infantile...)
Ancora lei a lui, moglie a marito: «Certe volte mi domando se tu sia infantile o malato»!
Infine per il mio amico moralista: «...è un moralista malcontento di sè e degli altri, quindi il massimo di aggressività repressa. E' una bomba a orologeria che esplode al momento sbagliato...»
Sono belli quelli bravi
Dalla rubrica "parole d'autore" di Vita (n.45 del 10/16 novembre) leggo e annoto questa bella frase dell'attrice Mariangela Melato: «Ricordo che i primi anni di me si diceva "racchia ma bella". La bellezza è un movimento. Sul palcoscenico sono belli quelli bravi».
martedì 13 novembre 2007
Il giocatore invisibile - 3
Ancora su Pontiggia, dal "Giocatore invisibile", un esempio della sua ironia capace insieme di divertire e svelare le contraddizioni e le miserie degli uomini.
Uno dei protagonisti del romanzo, Daverio, innamorato di una donna sposata, la moglie del professore, entra in Chiesa:
«Fa’ che lei mi ricambi, Signore» pregò avanzando. «Lo so che sto chiedendo una cosa assurda, ma tu aiutami, Signore, ti prego». Era arrivato a metà della navata e cercava con gli occhi l’acquasantiera. «Non dovrei chiederlo proprio a te». L’acquasantiera era alla sua destra, accanto a un pilastro. Immerse le dita nell’acqua e si fece il segno della croce. Poi riprese ad avanzare verso l’altare, mentre le gocce gli scivolavano sulla fronte. «Io sento che tu mi aiuterai mormorò». Si era inginocchiato su una panca. «Espierò il peccato, Signore, pagherò il mio debito» continuò con gli occhi a terra. «Sarò più buono» (p. 52)
Uno dei protagonisti del romanzo, Daverio, innamorato di una donna sposata, la moglie del professore, entra in Chiesa:
«Fa’ che lei mi ricambi, Signore» pregò avanzando. «Lo so che sto chiedendo una cosa assurda, ma tu aiutami, Signore, ti prego». Era arrivato a metà della navata e cercava con gli occhi l’acquasantiera. «Non dovrei chiederlo proprio a te». L’acquasantiera era alla sua destra, accanto a un pilastro. Immerse le dita nell’acqua e si fece il segno della croce. Poi riprese ad avanzare verso l’altare, mentre le gocce gli scivolavano sulla fronte. «Io sento che tu mi aiuterai mormorò». Si era inginocchiato su una panca. «Espierò il peccato, Signore, pagherò il mio debito» continuò con gli occhi a terra. «Sarò più buono» (p. 52)
Il giocatore invisibile - 2
Il giocatore invisibile contiene anche - come spesso nei libri di Pontiggia - utili indicazioni sulla scrittura e sul linguaggio. Qui non solo il protagonsita è filologo, e filologi sono i suoi colleghi, ma intrattiene anche una relazione con una giovane aspirante poetessa. Qualche frase tra le tante:
Sulla fatica di scrivere:
Scrivere gli costava una fatica enorme, «Sono un lago che deve uscire da un contagocce» gli aveva detto un giorno (p. 33)
Sulla sincerità in poesia:
«Mi sembra un po’ falso» dice il professore commentando il dattiloscritto della ragazza. E lei: «Se c’è una poesia sincera è questa». «Forse dovresti pensare meno alla sincerità». «Sei sempre stato tu a parlarne». «Sì, ma sbagliavo. Parlavo di un’altra sincerità. Tu adesso non fai che mentire in buona fede» (p.64-65)
Quello che vuole l'autore:
«Tanti testi corrispondono perfettamente a quello che vuole l’autore. Ma spesso è proprio questo il loro guaio» (p. 113)
Consigli:
«Parli molto di te con le parole degli altri. Andrà molto meglio quando parlerai agli altri con le parole tue» (p. 160)
«Quando togli va sempre bene» (p. 163)
Sul "tono":
«…Il tono è tutto. Oppure tu credi che contino le parole? Hai la superstizione che siano solo le parole a contare? » (p.49)
Sulla fatica di scrivere:
Scrivere gli costava una fatica enorme, «Sono un lago che deve uscire da un contagocce» gli aveva detto un giorno (p. 33)
Sulla sincerità in poesia:
«Mi sembra un po’ falso» dice il professore commentando il dattiloscritto della ragazza. E lei: «Se c’è una poesia sincera è questa». «Forse dovresti pensare meno alla sincerità». «Sei sempre stato tu a parlarne». «Sì, ma sbagliavo. Parlavo di un’altra sincerità. Tu adesso non fai che mentire in buona fede» (p.64-65)
Quello che vuole l'autore:
«Tanti testi corrispondono perfettamente a quello che vuole l’autore. Ma spesso è proprio questo il loro guaio» (p. 113)
Consigli:
«Parli molto di te con le parole degli altri. Andrà molto meglio quando parlerai agli altri con le parole tue» (p. 160)
«Quando togli va sempre bene» (p. 163)
Sul "tono":
«…Il tono è tutto. Oppure tu credi che contino le parole? Hai la superstizione che siano solo le parole a contare? » (p.49)
Il giocatore invisibile
Giuseppe Pontiggia è uno degli scrittori che preferisco, per intelligenza, acutezza di sguardo, rigore morale e stilistico, ironia disvelatrice di verità. Ho finito di leggere "Il giocatore invisibile", del 1978, che mi ha regalato maria Cristina per il mio ultimo compleanno (Mondadori, Classici moderni, febbraio 2007). Il protagonista è un professore di filologia classica all'apice della sua carriera, che riceve una stroncatura impietosa e soprattutto anonima ad un suo articolo. Il pretesto è l'etimologia sbagliata della parola "ipocrita". Di lì parte l'affannosa ricerca del nemico misterioso, che porterà al crollo della mascherà di falsità, del castello di certezze culturali e sopratutto esistenziali non del solo protagonista ma
di tutti i personaggi.
«Andando avanti non ci resta che la verità - dice uno dei personaggi al protagonista - . Una compagna odiosa, lo ammetto». «Io non ne ho mai avuto paura» disse il professore. «Lo credo» disse Salutati. «Tu non la conosci. È solo adesso che stai aprendo gli occhi» (p.151).
Mentire, però, resta la soluzione apparentemente più comoda, la soluzione "perfetta", anche quando si scoprono verità sconvolgenti, che si ignoravano o forse si fingeva di ignorare (perché in fondo: «Scopriamo sempre quello che sappiamo già» - p. 56).
«E adesso cosa devo fare?» chiede il professore protagonista all'amico, dopo aver scoperto il tradimento della moglie. «Fare finta di niente. Solo la menzogna è perfetta» (p.178)
Ci si può illudere di controllare il gioco, di guidare la partita, fin quando non arriva la mossa decisiva, lo scacco matto del "giocatore invisibile". «Tu vivi continuando a non escludere niente disse lei. Tanto poi ci pensa la vita a escludere» (p. 145)
Anche il linguaggio serve sostanzialmente per coprire la verità: «Ma siamo ancora a questo!... che tu credi al linguaggio. Il linguaggio serve per difendersi, per aggredire, per ingannare e ingannarsi, non per capire. Tutto va reinterpretato…è un lavoro immane» (p. 177)
Ma più resiste la finzione, più cresce il cinismo, l'istinto distruttivo, il cupio dissolvi: «Hai notato che da giovani non si parla che di costruire?...E dopo non si pensa che a distruggere, pazientemente, senza trascurare nulla, e non si fa neanche tanta fatica, perché tutto si sfalda tra le mani» (p. 77). Distruggere, in fondo, «Può essere anche una consolazione» (p. 114), quando si vive la vita da "morti": «Ma dimmelo che cosa è vero, per te... Io credo che tu li veda (gli studenti, i propri allievi - ndr) tutti morti». «Morti?» «Sì, morti, tu e loro, tutti morti. È questo il tuo senso dell’attualità» (p. 152)
Lo stesso rigore intellettuale, filologico, accademico, rimanda all'immagine della morte anziché della vita. Così tra professori: «Sono stanco del rigore, gli ho sempre sacrificato le idee migliori. Hai mai pensato che il rigore è cadaverico, rigor mortis?» (p. 40)
Letteralmente 'lapidaria' la descrizione del matrimonio: «…Mia moglie, quando eravamo entrati nella nostra stanza, dopo il viaggio di nozze, mi ricordo che aveva detto, sedendosi sul letto: “Ecco, adesso siamo sistemati”. E io mi ero subito visto in una tomba e tutti e due che la costruivamo, pietra su pietra. Da allora non ho pensato che a uscirne, almeno mentalmente» (p. 76).
Ma l'unica via d'uscita, in questo romanzo, sembra essere la morte (il suicidio): «Ci ha preceduto, non credi?»
di tutti i personaggi.
«Andando avanti non ci resta che la verità - dice uno dei personaggi al protagonista - . Una compagna odiosa, lo ammetto». «Io non ne ho mai avuto paura» disse il professore. «Lo credo» disse Salutati. «Tu non la conosci. È solo adesso che stai aprendo gli occhi» (p.151).
Mentire, però, resta la soluzione apparentemente più comoda, la soluzione "perfetta", anche quando si scoprono verità sconvolgenti, che si ignoravano o forse si fingeva di ignorare (perché in fondo: «Scopriamo sempre quello che sappiamo già» - p. 56).
«E adesso cosa devo fare?» chiede il professore protagonista all'amico, dopo aver scoperto il tradimento della moglie. «Fare finta di niente. Solo la menzogna è perfetta» (p.178)
Ci si può illudere di controllare il gioco, di guidare la partita, fin quando non arriva la mossa decisiva, lo scacco matto del "giocatore invisibile". «Tu vivi continuando a non escludere niente disse lei. Tanto poi ci pensa la vita a escludere» (p. 145)
Anche il linguaggio serve sostanzialmente per coprire la verità: «Ma siamo ancora a questo!... che tu credi al linguaggio. Il linguaggio serve per difendersi, per aggredire, per ingannare e ingannarsi, non per capire. Tutto va reinterpretato…è un lavoro immane» (p. 177)
Ma più resiste la finzione, più cresce il cinismo, l'istinto distruttivo, il cupio dissolvi: «Hai notato che da giovani non si parla che di costruire?...E dopo non si pensa che a distruggere, pazientemente, senza trascurare nulla, e non si fa neanche tanta fatica, perché tutto si sfalda tra le mani» (p. 77). Distruggere, in fondo, «Può essere anche una consolazione» (p. 114), quando si vive la vita da "morti": «Ma dimmelo che cosa è vero, per te... Io credo che tu li veda (gli studenti, i propri allievi - ndr) tutti morti». «Morti?» «Sì, morti, tu e loro, tutti morti. È questo il tuo senso dell’attualità» (p. 152)
Lo stesso rigore intellettuale, filologico, accademico, rimanda all'immagine della morte anziché della vita. Così tra professori: «Sono stanco del rigore, gli ho sempre sacrificato le idee migliori. Hai mai pensato che il rigore è cadaverico, rigor mortis?» (p. 40)
Letteralmente 'lapidaria' la descrizione del matrimonio: «…Mia moglie, quando eravamo entrati nella nostra stanza, dopo il viaggio di nozze, mi ricordo che aveva detto, sedendosi sul letto: “Ecco, adesso siamo sistemati”. E io mi ero subito visto in una tomba e tutti e due che la costruivamo, pietra su pietra. Da allora non ho pensato che a uscirne, almeno mentalmente» (p. 76).
Ma l'unica via d'uscita, in questo romanzo, sembra essere la morte (il suicidio): «Ci ha preceduto, non credi?»
giovedì 8 novembre 2007
"Lasciamo cadere le nostre maschere"
Ancora sull'importanza del "deporre", nella pratica della preghiera. Dalla rivista Pregare dei carmelitani, nel numero di novembre, leggo questo passaggio di Benedetto XVI dall'udienza del 22 agosto dedicata all'insegnamento di San Gregorio Nazanzieno: "...Gregorio - dice il Papa - ci insegna anzitutto l'importanza e la necessità della preghiera. Egli afferma che «è necessario ricordarsi di Dio più spesso di quanto si respiri» (Oratio 27,4: PG 250,78), perché la preghiera è l'incontro della sete di Dio con la nostra sete. Dio ha sete che noi abbiamo sete di Lui (cfr Oratio 40, 27: SC 358,260). Nella preghiera noi dobbiamo rivolgere il nostro cuore a Dio, per consegnarci a Lui come offerta da purificare e trasformare. Nella preghiera noi vediamo tutto alla luce di Cristo, lasciamo cadere le nostre maschere e ci immergiamo nella verità e nell'ascolto di Dio, alimentando il fuoco dell'amore".
Quel "lasciamo cadere le nostre maschere" rientra senza dubbio tra le azioni del "deporre", con un linguaggio che tra l'altro richiama in maniera esplicita le tecniche e gli obiettivi fondamentali della meditazione, comuni a tutte le tradizioni spirituali.
Quel "lasciamo cadere le nostre maschere" rientra senza dubbio tra le azioni del "deporre", con un linguaggio che tra l'altro richiama in maniera esplicita le tecniche e gli obiettivi fondamentali della meditazione, comuni a tutte le tradizioni spirituali.
Il cambio di stagione
Nel post del 29 ottobre avevo parlato dei due verbi della preghiera, "deporre" e "rivestire", sottolinenado in particolare l'importanza del
primo perchè il secondo non sia vanificato. "Deporre l'uomo vecchio" - da San Paolo (Efesini 4, 17-24) - per "rivestire l'uomo nuovo". E' come voler indossare un abito nuovo lasciando sotto quello vecchio. Come pretendere di fare il cambio di stagione senza svuotare l'armadio. E tutti sappiamo quanto l'operazione sia ardua e noiosa, quante scuse ci inventiamo per non farla. Così mettiamo i vestiti nuovi sopra i vecchi, spingiamo schiacciamo e pressiamo finchè c'è spazio. Fino a quando, ad un certo punto, l'armadio è pieno e non l'apriamo più. Forse è così che smettiamo di pregare.
primo perchè il secondo non sia vanificato. "Deporre l'uomo vecchio" - da San Paolo (Efesini 4, 17-24) - per "rivestire l'uomo nuovo". E' come voler indossare un abito nuovo lasciando sotto quello vecchio. Come pretendere di fare il cambio di stagione senza svuotare l'armadio. E tutti sappiamo quanto l'operazione sia ardua e noiosa, quante scuse ci inventiamo per non farla. Così mettiamo i vestiti nuovi sopra i vecchi, spingiamo schiacciamo e pressiamo finchè c'è spazio. Fino a quando, ad un certo punto, l'armadio è pieno e non l'apriamo più. Forse è così che smettiamo di pregare.
"Scrivegnare"
lunedì 5 novembre 2007
"Noi siamo santi"
"Lo sai papà che Dario, Michele e Andrea ridono per il santo?" Così mi dice improvvisamente Giosuè alzando la testa dal foglio su cui sta disegnando. E aggiunge subito: "Ma io gli ho detto che noi siamo santi". La cosa si fa interessante. Capisco che tra compagni della scuola materna devono aver giocato sulla parola "santo" per una canzoncina, spiega Giosuè. Ma sento soprattutto che è uno di quei momenti in cui Giosi tira fuori i suoi pensieri mistici, creativi, rielaborando alla maniera dei bambini le cose che ha ascoltato chissà quando. Allora gli do spago e gli chiedo, preparandomi a godere l'ascolto - "che cosa vuol dire essere santi?" "Santo vuol dire volere bene - risponde lui - Il santo vuol dire amore". E ancora: "Santo vuol dire pregare per nostro Signore Gesù e Dio". Lo provoco e gli dico "continua, fammi sentire che dice il tuo cuore". E Giosi: "Grazie Gesù che hai fatto questa vita bellissima. Grazie anche a Dio perchè ha creato gli uomini e perchè ha liberato Gesù dai cattivi e lo ha fatto risorgere". Infine, ancora "Grazie a Gesù che ha promesso ai cattivi di diventare buoni". Il senso di quel "promesso" mi sfugge, ma sento che è meglio così.
domenica 4 novembre 2007
La grazia di Elisa
Il naso rotto
Dove sono i dinosauri?
I pensieri dei bambini. Giosuè ha 5 anni e mezzo e inizia a fare
pensieri da grande, con l'immaginazione di un bambino. I risultati
sono strepitosi. Questa estate siamo in macchina io e lui, sul lungomare tra Tor San Lorenzo e Lavinio, dove abbondano i cartelloni pubblicitari che annunciano il circo con gli animali.
"Ma quegli animali esistono, papà?" è la prima domanda. "Sì Giosuè". "E anche i dinosauri esistono, papà?" "I dinosauri esistevano un tempo, Giosuè". "E ora dove sono?" incalza lui.
"Non lo so dove sono" arranco io. Finchè lui fa, dopo qualche secondo di silenzio assorto: "Papà, quando tu vai in Cielo ti
porti il telefono? Così se vedi i dinosauri mi chiami e me lo dici?"
Io ho il cuore in piedi per una standing ovation e gl dico ovviamente di sì. Ma lui non ha smesso di ragionare su quanto mi ha chiesto e cerca conferme. "Papà - mi chiede ancora - ma quando uno viene messo nella bara ha gli occhi chiusi, vero?". "Sì, Giosi". "Ma poi quando va in Cielo li riapre?". Voleva essere sicuro che potessi 'vedere' i dinosauri.
pensieri da grande, con l'immaginazione di un bambino. I risultati
sono strepitosi. Questa estate siamo in macchina io e lui, sul lungomare tra Tor San Lorenzo e Lavinio, dove abbondano i cartelloni pubblicitari che annunciano il circo con gli animali.
"Ma quegli animali esistono, papà?" è la prima domanda. "Sì Giosuè". "E anche i dinosauri esistono, papà?" "I dinosauri esistevano un tempo, Giosuè". "E ora dove sono?" incalza lui.
"Non lo so dove sono" arranco io. Finchè lui fa, dopo qualche secondo di silenzio assorto: "Papà, quando tu vai in Cielo ti
porti il telefono? Così se vedi i dinosauri mi chiami e me lo dici?"
Io ho il cuore in piedi per una standing ovation e gl dico ovviamente di sì. Ma lui non ha smesso di ragionare su quanto mi ha chiesto e cerca conferme. "Papà - mi chiede ancora - ma quando uno viene messo nella bara ha gli occhi chiusi, vero?". "Sì, Giosi". "Ma poi quando va in Cielo li riapre?". Voleva essere sicuro che potessi 'vedere' i dinosauri.
sabato 3 novembre 2007
La cromba e il mutifone
Ho detto nel post precedente della lingua dei bambini, della loro involontaria
e irresistibile creatività. Da qualche tempo (poco purtroppo) ho iniziato
a raccogliere frasi e 'neologismi' dei miei due figli, Giosuè ed Elisa, 5 e 4 anni
(manca un mese). Ecco una serie di parole rivedute e corrette da Elisa: la cromba è la tromba; il mutifone è il termosifone; la tevelisione sta per la televisione. La pottagna (questo è di qualche mese fa) vale la montagna. 'Qualcuno' poi, diventa caccuno. E ancora: mi sono menticata, per dire 'dimenticata'. Oppure t'ho scoprito! (scoperto).
Ci sono poi le frasi, che svelano l'ingenuità folgorante del pensiero dei bambini. Sempre Elisa, questa estate, all'uscita della Messa di Ferragosto a Tor San Lorenzo. La mamma, Maria Cristina, le fa: vedi, Elisa, la gente è felice perchè ha incontrato il Signore. Lei: e come si chiama questo signore? Sempre alla madre: mamma, ma io da grande divento una ragazza o una mamma? E ancora: Stasera, Elisa, è la festa di Tor San Lorenzo. E chi spegne le candeline?
e irresistibile creatività. Da qualche tempo (poco purtroppo) ho iniziato
a raccogliere frasi e 'neologismi' dei miei due figli, Giosuè ed Elisa, 5 e 4 anni
(manca un mese). Ecco una serie di parole rivedute e corrette da Elisa: la cromba è la tromba; il mutifone è il termosifone; la tevelisione sta per la televisione. La pottagna (questo è di qualche mese fa) vale la montagna. 'Qualcuno' poi, diventa caccuno. E ancora: mi sono menticata, per dire 'dimenticata'. Oppure t'ho scoprito! (scoperto).
Ci sono poi le frasi, che svelano l'ingenuità folgorante del pensiero dei bambini. Sempre Elisa, questa estate, all'uscita della Messa di Ferragosto a Tor San Lorenzo. La mamma, Maria Cristina, le fa: vedi, Elisa, la gente è felice perchè ha incontrato il Signore. Lei: e come si chiama questo signore? Sempre alla madre: mamma, ma io da grande divento una ragazza o una mamma? E ancora: Stasera, Elisa, è la festa di Tor San Lorenzo. E chi spegne le candeline?
giovedì 1 novembre 2007
Papi, mi porti a ccàle?
La lingua dei bambini mi fa impazzire, soprattutto quella dei miei bambini: Elisa e Giosuè. Potrei dire lo stesso dei loro pensieri, del loro modo di ragionare, ma è la traduzione linguistica il vero capolavoro, che mi scioglie il cuore come un gelato al sole. L'immediatezza delle intenzioni e delle emozioni unita all'incertezza della pronuncia. La semplicità siderale del ragionare calata in una sintassi e in un lessico poveri e per questo innocenti, creativi, realmente 'poetici'. Un balbettare del pensiero, delle emozioni e della parola che continua a sembrarmi l'unico modo 'adulto' di stare al mondo.
Ed ecco allora Elisa, 3 anni e mezzo, sul pianerottolo della nonna, davanti all'ascensore, che mi dice: "papi, andiamo a ccàle?" Che vorrebbe dire: andiamo a piedi? scendiamo per le scale? e insieme: tu mi accompagni? vieni con me? mi tieni la mano? La risposta ovviamente è scontata: siamo scesi, mano nella mano, "a ccàle".
Ho iniziato, purtroppo da poco, a raccogliere queste espressioni. Penso di inserirle nei prossimi post.