sabato 29 giugno 2024

E nella morte vivremo

SENZA FINE

E nella morte vivremo, 
solo diversamente, con delicata dolcezza, 
dissolti nella musica; 
chiamati a uno a uno in corridoio, 
soli, seppure in schiere, 
come compagni di una stessa classe che si estende sin oltre gli Urali 
e arriva fino al Quaternario. Affrancati
dalle eterne discussioni politiche,
aperti e sinceri, liberi, anche se proprio allora
si chiuderanno sbattendo le persiane
e la grandine suonerà sul davanzale
la sua marcia turca, spavalda come sempre.
Il mondo delle apparenze non svanirà
d'un tratto, a lungo farà ancora
i capricci accartocciandosi come un foglio
umido gettato dentro il fuoco.
La sete di perfezione si avvererà
quasi contro voglia, eviterà tutti
gli ostacoli, come i Teutoni impararono
a eludere la linea Maginot. Cose
minime e dimenticate, aquiloni fatti
con la cartavelina più sottile, fragili foglie
degli autunni passati ritroveranno la loro
dignità immortale, e i grandi
sistemi vittoriosi si contrarranno
come il sesso di un gigante. Non ci sarà più
la nostalgia, perché raggiungerà se stessa, stupita
per aver così a lungo cacciato la propria
artica ombra. Neppure noi ci saremo,
poiché ancora non sappiamo
vivere a una simile altitudine.

(Adam Zagajewski, Dalla vita degli oggetti, Adelphi)





E poi mi camminasti sopra il cuore

Lungamente travolto dai marosi,

tu sia sbattuto contro Salmidesso,

nudo, di notte, mentre in noi fa quiete.

E spossato, con ansia della riva

tu rimanga a ciglio del frangente,

nel freddo, stringendo i denti,

come un cane, riverso sulla bocca;

e il flusso continuo dell'acque

ti copra fitto d'alghe.

Così ti prendano i Traci, che in alto

annodate portano le chiome,

e con loro tu nutra molti mali

mangiando il pane dello schiavo.

Questo vorrei vedere che tu soffra,

tu che m'eri amico un tempo

e poi mi camminasti sopra il cuore.


(Archiloco, All'amico d'un tempo)


Dai Lirici Greci, tradotti da Salvatore Quasimodo (Mondadori, 1951)




Profondamente tu dormi

Quando nell'arca regale l'impeto del vento

e l'acqua agitata la trascinarono al largo,

Danae con sgomento, piangendo, distese amorosa

le mani su Perseo e disse: "O figlio,


quale pena soffro! Il tuo cuore non sa;

e profondamente tu dormi

così raccolto in questa notte senza luce di cielo,

nel buio del legno serrato da chiodi di rame.

E l'onda lunga dell'acqua del passa

sul tuo capo, non odi; né il rombo

dell'aria: nella rossa

vestina di lana, giaci; reclinato

al sonno il tuo bel viso.


Se tu sapessi ciò che è da temere,

il tuo piccolo orecchio sveglieresti alla mia voce.

Ma io prego: tu riposa, o figlio, e quiete

abbia il mare; ed il male senza fine

riposi. Un mutamento


avvenga ad un tuo gesto, Zeus padre;

e qualunque parola temeraria

io urli, perdonami!

la ragione m'abbandona".


(Simonide di Ceo, Lamento di Danae)


Dai Lirici Greci, tradotti da Salvatore Quasimodo (Mondadori, 1951)


John William Waterhouse, Danae e Perseo ritrovati nella cassa (1892)


Non il muschio, né il tempo

Di quelli che caddero alle Termopili

famosa è la ventura, bella la sorte

e la tomba un'ara. Ad essi memoria

e non lamenti; ed elogio il compianto.

Non il muschio, né il tempo che devasta

ogni cosa, potrà su questa morte.

Con gli eroi sotto la stessa pietra,

abita ora la gloria della Grecia.


(Simonide di Ceo)


Dai Lirici Greci, tradotti da Salvatore Quasimodo (Mondadori, 1951)


Jacques-Louis Davis, Leonida alle Termopili (1815)


A me non dà quiete

Poi che raramente la Musa

allieta soltanto, ma rievoca

ogni cosa distrutta:


a me non dà quiete il dolce

sonante flauto dalle molte voci

quando comincia soavissimi canti.


(Stesicoro)


Dai Lirici Greci, tradotti da Salvatore Quasimodo (Mondadori, 1951)




Vino celeste

Venite al tempio sacro delle vergini

dov'è più grato il bosco e sulle are

fuma l'incenso.


Qui fresca l'acqua mormora tra i rami

dei meli: il luogo è all'ombra di roseti,

dallo stormire delle fronde stende

profonda quiete.


Qui il prato ove meriggiano i cavalli

è tutto fiori della primavera,

e gli aneti vi odorano soavi.


E qui con impeto, dominatrice, 

versa Afrodite nelle tazze d'oro

chiaro vino celeste

e insieme gioia.


(Saffo, Invito all'Eràno)

Dai Lirici Greci, tradotti da Salvatore Quasimodo (Mondadori, 1951)


Antoine-Jean Gros, Saffo a Leucade, 1801






Tramontata è la luna

Tramontata è la luna

e le Pleiadi a mezzo della notte;

anche giovinezza già dilegua,

e ora nel mio letto resto sola.

Scuote l'anima mia Eros,

come vento sul monte

che irrompe entro le querce;

e scioglie le membra e le agita,

dolce amaro indomabile serpente.


Ma  a me non ape, non miele;

e soffro e desidero.


(Saffo)


Dai Lirici Greci, tradotti da Salvatore Quasimodo (Mondadori, 1951)




lunedì 10 giugno 2024

Posseduto dalla verità

Gustav Janouch, Conversazioni con Kafka. Uscito per la prima volta nel 1951, in seconda versione nel 1968, rappresenta un documento "unico e imperdibile", perché riporta pensieri e considerazioni inedite del grande scrittore praghese, raccolte in via colloquiale dal giovane Gustav, aspirante scrittore anche lui, in una frequentazione amicale e intellettuale risalente agli anni 20 del secolo XX. Il padre di Gustav era collega di Kafka presso l'Istituto di Assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, luogo principale dove si svolgono la gran parte di queste conversazioni.

Franz Kafka parla di tutto: la scrittura, l'arte, la verità, la guerra, la società, l'ebraismo, la fede, la malattia, la sua personale condizione esistenziale.
Ne emerge un ritratto intenso e misterioso dello scrittore - un "santo posseduto dalla verità" - che offre al lettore inesauribili spunti di riflessione.