Non conoscevo il gesuita francese François Varillon prima di leggere le recensioni di Luca Doninelli su Il Giornale di oggi e quella di Antonio Spadaro su BombaCarta. E ora dovrò aggiungere anche questo libro – la sua biografia intitolata “Traversate di un credente", a cura di Charles Ehlinger, Jaka Book - alla lista di quelli da acquistare o farmi regalare.
Scrive Varillon, riportato da Doninelli: «Il compito dell’uomo è fare l’uomo». «Qualunque sia la nostra condizione - sposati, celibi - la nostra età, il nostro sesso, la nostra professione, si tratta sempre, direttamente o indirettamente, di fare in modo che l’uomo sia, perché l’uomo non è cosa fatta. Un mondo già fatto sarebbe un mondo di cose; un uomo già fatto sarebbe una cosa fra le cose, sarebbe insomma una natura fra le altre».
E ancora: «Penso di essere più attaccato che distaccato. Ora, il distacco è al centro della vita cristiana, non ha senso se non in rapporto all’attaccamento. Non mi fiderei di un religioso che dicesse di essere distaccato, puramente e semplicemente. Sarei portato a concludere che non è un uomo e, se non è un uomo, non vedo bene come potrebbe essere un amico di Dio».
Sulla ragione e l’esperienza: «L’esperienza è l’essenziale, il punto di partenza di tutto. Ma (...) bisogna spiegare che cosa s’intende. L’esperienza, ciò che i moderni chiamano il vissuto, il vissuto della fede, comporta un aspetto razionale (...). Un vissuto che non ha riferimenti alla ragione è un vissuto animale. E la ragione, se non vuole essere alienante, deve partire dall’esperienza».
Sono esempi – chiosa Doninelli - di un modo cristiano (raro, aggiungo io) di usare la ragione. Integro, coraggioso, spalancato. Senza negare né trascurare nulla di ciò che l’uomo è, compresi i suoi limiti e persino i suoi peccati.
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