Potrebbe essere forse questa la frase più esemplificativa - nella sua spietata lucidità - di quell'ennnesimo manifesto di puro nichilismo che è il romanzo Annientare di Michael Houllebecq.
Storie di donne e di uomini tutti rinchiusi nei loro piccoli inferni individuali, tra drammi personali e familiari, fallimenti coniugali, manovre politiche elettorali, minacce terroristiche internazionali.
Del resto, se l'obiettivo dei terroristi era quello di annientare il mondo come lui lo conosceva, di annientare il mondo moderno, non poteva dargli affatto torto.
Il mondo umano, infatti, pare fatto di tante piccole palline di m**** egoistiche, senza alcun rapporto tra loro; a volte le palline si agitavano e copulavano a modo loro, ciascuna secondo il suo registro, e ne derivava l'esistenza di nuove palline di m****, ancora più piccole. Allora, come gli capitava ogni tanto, fu preso da un improvviso disgusto per la religione della sorella: com'era possibile che un dio avesse scelto di rinascere sotto forma di una palla di m****?
Parrebbe un attacco frontale e brutale, ma la realtà è più complessa, più dolente, più banale e allo stesso tempo più misteriosa:
La vita umana è fatta di una successione di difficoltà amministrative e tecniche, intervallate da problemi medici; man mano che si invecchia, gli aspetti medici prendono il sopravvento. A quel punto la vita cambia natura, e comincia ad assomigliare a una corsa a ostacoli: esami medici sempre più vari e frequenti scrutano lo stato dei tuoi organi. Concludono che la situazione è normale, o almeno accettabile, finché uno di essi non pronuncia un verdetto differente. La vita allora cambia natura una seconda volta, per diventare un percorso più o meno lungo e doloroso verso la morte.
L'esperienza della malattia, che accompagna la trama del romanzo dall'inizio alla fine, mentre conferma da un lato la visione cruenta e disperata della vita, apre dall'altro lato sorprendentemente a soluzioni inedite e impreviste, a suggestioni che contraddicono quella visione che sembrava così incontrovertibile.
In questo sistema chiuso di totale annientamento di ogni cosa necessaria e umana, le relazioni di cura si rivelano una risposta che può apparire sconcertante, persino inaccettabile, perché tende a scardinare il bunker - l'inferno - dentro il quale l'uomo moderno si è fatto prigioniero, padrone della propria vita e quindi di niente:
Tu forse immagini che la tua vita ti appartenga - urla al protagonista malato l'ingenua sorella, dichiaratamente cattolica - ma non è vero, la tua vita appartiene a chi ti ama, tu appartieni prima di tutto a Prudence (la moglie, ndr), ma anche un po' a me, e forse ad altre persone che non conosco, tu appartieni agli altri, anche se non lo sai.
Le relazioni di cura aprono alla contemplazione, persino, di una bellezza soprannaturale:
L'immensa foresta che si estendeva davanti a loro non era immobile, una brezza leggera faceva ondeggiare le foglie, e quel movimento leggerissimo era ancora più rasserenante di quanto lo sarebbe stata un'immobilità perfetta, la foresta sembrava animata da un respiro calmo, infinitamente più calmo di qualsiasi respiro animale, al di là di ogni agitazione e di ogni sentimento, ma diverso dal puro stato minerale, più fragile e più tenero, un possibile intermediario tra la materia e l'uomo, era la vita nella sua essenza, una vita pacifica, ignara delle lotte e dei dolori. Non evocava l'eternità, non era questo il punto, ma quando ci si perdeva nella sua contemplazione la morte sembrava molto meno importante.
Non assomiglia forse tutto questo a quella speranza che il protagonista rimproverava al cristianesimo? Forse no, forse è tutta un'illusione, una menzogna, ma in fondo - si chiude così il romanzo nelle sue pagine più autentiche e profonde - avremmo avuto bisogno di meravigliose menzogne.
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