Si parte dal racconto della sua adolescenza vissuta nel fondo della provincia italiana, tra i cafoni resi immortali dai suoi romanzi; si passa al periodo di militanza del partito comunista italiano, come esule antifascista, e al distacco da quel partito per il rifiuto assoluto di ogni totalitarismo, che è il nodo centrale, drammatico, della sua intera esistenza; si finisce alla riflessione sul nichilismo e sui motivi contraddittori che rendono ambiguo l'evolversi della società contemporanea del benessere diffuso.
Uscita di sicurezza è, in particolare, uno dei dieci scritti che compongono la raccolta e che dà il titolo all'intero volume. Apparso la prima volta in rivista nel 1949, destò inevitabilmente un clamore tale che lo stesso leader del partito comunista italiano, Togliatti, fu costretto a rispondere.
Si tratta di un racconto autobiografico di grande forza, lucidità e drammatica bellezza, mosso dall'assoluta necessità di testimoniare, di affermare il senso e limiti di una dolorosa ma definitiva rottura, e di una più sincera fedeltà.
Silone racconta da principio come da emigrato e poi esule antifascista diventa dirigente del partito comunista italiano, un partito che si faceva famiglia scuola chiesa e caserma.
Il suo ingresso nel partito aveva rappresentato l'esito di una prima uscita di sicurezza, l'uscita dalla solitudine insopportabile della sua terra, alla scoperta di un nuovo continente, la città di Milano e il primo contatto con il movimento operaio.
La partecipazione ai congressi e alle riunioni del partito a Mosca, il contatto con i dirigenti comunisti più autorevoli, Stalin e Tortzky su tutti, gli aveva drammaticamente rivelato la loro assoluta incapacità di discutere lealmente le opinioni contrarie alle proprie. Il dissenziente, per il semplice fatto che osava contraddire, era senz'altro un opportunista, se non addirittura un traditore e un venduto. Un avversario in buonafede sembrava per i comunisti russi inconcepibile.
Mentre osserva la rivoluzione divorare i suoi figli prediletti, Silone si interroga sullo scandaloso paradosso di "Come si possa, militando nel movimento comunista, diventare fascista".
Con l'ingenua spontaneità del sovversivo provinciale, Silone denuncia un sistema gli si era manifestato, puramente e semplicemente, come regno dell'arbitro.
Il comunismo, sorto dalle più profonde contraddizioni della società moderna, le riproduceva tutte nel suo seno, e con esacerbata virulenza.
Silone vive queste contraddizioni come un dramma personale e familiare, richiamando la memoria di quanti comunisti vivono in clandestinità e vengono perseguitati dal regime fascista. "In Italia, finché governa il fascismo non puoi tornare", gli ricorda Giuseppe Di Vittorio. "All'estero, senza carte non puoi fermarti. Non hai i mezzi di sussistenza. Non hai buona salute. Tuo fratello è in carcere per il Partito (morirà di lì a poco). Tutti i tuoi amici sono nel Partito e romperebbero con te appena tu ne uscissi. Contro il fascismo non v'è altra forza fuori della nostra".
La situazione all'interno del partito diventa per Silone insostenibile. La sua espulsione, la sua seconda uscita di sicurezza, arriva nel 1931.
La verità è questa: l'uscita dal Partito comunista fu per me una data assai triste, un grave lutto, il lutto della mia gioventù.