domenica 28 luglio 2013

La cathedra è il cuore



"Siamo riuniti un po’ in disparte, in questo posto preparato dal nostro fratello ..., per rimanere da soli e poter parlare da cuore a cuore".

Eccolo lo stile sorprendente di Papa Francesco, rivelato anche solo dallo stile dei suoi discorsi. Stile sorprendente perché evangelico, semplice come il Vangelo. Francesco è in Brasile nel suo primo viaggio pastorale, celebratissimo dai media nazionali e internazionali. Le folle lo accompagnano e lui si ferma "in disparte" a parlare con i vescovi brasiliani, come Gesù faceva con gli apostoli. Niente sa di cattedratico del suo discorso, niente di "formale", il Papa parla "da cuore a cuore", ma questo non scalfisce neanche per un'istante la sua autorevolezza. La sua cathedra è il suo cuore.

"Voglio abbracciare tutti e ciascuno" dice ai suoi fratelli vescovi, come ad ogni folla che incontra. E qui - mi si perdoni la sfrontatezza dell'accostamento - mi viene addirittura in mente la giovialità e la fisicità del giullare Roberto Benigni. "Godiamo di questo momento di riposo, di condivisione, di vera fraternità". Usa il verbo "godere" senza vergogna, questo Papa.

Francesco rievoca un episodio centrale della tradizione religiosa brasiliana - il ritrovamento in mare della statua di Nostra Signora di Aparecida, patrona del Brasile, da parte di alcuni pescatori - per parlare dell'agire di Dio e della Chiesa. "C’è qualcosa di perenne da imparare su Dio e sulla Chiesa in Aparecida".

Il primo insegnamento è quello dell'umiltà, "che appartiene a Dio come tratto essenziale". L'umiltà "è nel DNA di Dio".

Il secondo insegnamento rivela il modo di agire di Dio: "Dio è sorpresa": anche quando "le acque sono profonde... nascondono sempre la possibilità di Dio". E poi: "Dio entra sempre nelle vesti della pochezza".

La statua della Madonna che i pescatori tirano su dal mare è senza testa. I pescatori gettano le reti di nuovo per recuperare la parte mancante. Il mistero si mostra sempre "incompleto", a "pezzi", in attesa della rivelazione della sua pienezza. E invece, "noi vogliamo vedere troppo in fretta il tutto e Dio invece si fa vedere pian piano".

Quindi il tema della semplicità. "La gente semplice ha sempre spazio per far albergare il mistero. Forse abbiamo ridotto il nostro parlare del mistero ad una spiegazione razionale; nella gente, invece, il mistero entra dal cuore. Nella casa dei poveri Dio trova sempre posto". E allora: "Dio chiede di essere messo al riparo nella parte più calda di noi stessi: il cuore". La Chiesa deve ricordare sempre che "non può allontanarsi dalla semplicità, altrimenti disimpara il linguaggio del Mistero e resta fuori dalla porta del Mistero". "Abbiamo disimparato la semplicità, importando dal di fuori anche una razionalità aliena alla nostra gente. Senza la grammatica della semplicità, la Chiesa si priva delle condizioni che rendono possibile pescare Dio nelle acque profonde del suo Mistero".

Pescata la statua, i pescatori la portano a casa e chiamano i vicini a vedere la bellezza trovata. "Solo la bellezza di Dio può attrarre. La via di Dio è l’incanto che attrae. Dio si fa portare a casa. Egli risveglia nell’uomo il desiderio di custodirlo nella propria vita, nella propria casa, nel proprio cuore. Egli risveglia in noi il desiderio di chiamare i vicini per far conoscere la sua bellezza. La missione nasce proprio da questo fascino divino, da questo stupore dell’incontro".

L'ultima lezione è sui luoghi della rivelazione di Dio. Aparecida è comparsa in un luogo di incrocio tra Rio e San Paolo. "Dio appare negli incroci" ricorda Francesco ai vescovi, alla Chiesa, ai cristiani amanti dei recinti e dei confini.

Dal ricordo dell'episodio di Aparecida il Papa passa alle domande: "Che cosa chiede Dio a noi?". Che cosa ci chiede, in questa che "non è un’epoca di cambiamento, ma è un cambiamento d’epoca".

Francesco ricorre ora all'immagine dei discepoli di Emmaus per descrivere la situazione di quanti - tanti - abbandonano o hanno abbandonato la Chiesa, per i motivi più disparati. Perché la Chiesa per loro non ha più risposte. Perché non cercano più risposte, né nella Chiesa né altro. "Di fronte a questa situazione che cosa fare?" si domanda Francesco.

E la prima risposta per me è bellissima, quasi sconvolgente: "Serve una Chiesa che non abbia paura di entrare nella loro notte. Serve una Chiesa capace di incontrarli nella loro strada. Serve una Chiesa in grado di inserirsi nella loro conversazione". Via da ogni autoreferenzialità, capaci di mettere in gioco le proprie certezze.

Di fronte ad un panorama di smarrimento, di solitudine, di abbandono e di dolore spesso anestetizzato, "serve una Chiesa in grado di far compagnia, di andare al di là del semplice ascolto; una Chiesa che accompagna il cammino mettendosi in cammino con la gente; una Chiesa capace di decifrare la notte ...; una Chiesa che si renda conto di come le ragioni per le quali c’è gente che si allontana contengono già in se stesse anche le ragioni per un possibile ritorno, ma è necessario saper leggere il tutto con coraggio...". Una Chiesa capace di "dare calore" e "riscaldare il cuore". Ma ne siamo ancora capaci? - domanda Francesco provocatoriamente.

"Serve una Chiesa capace di riscoprire le viscere materne della misericordia. Senza la misericordia c’è poco da fare oggi per inserirsi in un mondo di “feriti”, che hanno bisogno di comprensione, di perdono, di amore".

Ne siamo ancora capaci?


(foto da http://www.chiesacattolica.it/giovani/)

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